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La via della ragione

3 agosto 2015

Gli immigrati sono un problema: i problemi si risolvono con la ragione, non con il sentimento

Ma la dott.ssa Serra si trova tra Scilla e Cariddi

Scilla e Cariddi

Facendo clic sull’immagine è possibile richiamare sullo schermo del computer un suo ingrandimento. A sinistra, vediamo l’andamento del consenso elettorale di aziendalsimilprogressisti e fascioleghisti, in funzione di un atteggiamento benevolo nei confronti dei profughi. Tale benevolenza è stata indicata convenzionalmente dalla locuzione “convivialità delle differenze” attualmente molto in voga presso gli ambienti cattoprogressisti.
La curva ABCD mostra che gli aziendalsimilprogressisti possono contare su uno zoccolo duro (A-B) di cittadini che voteranno comunque per loro, quale che sia l’operato dell’ensemble serrano. Quando però l’entusiasmo della dott.ssa Serra per la convivialità delle differenze superasse una certa soglia, oltre il punto B, il consenso elettorale andrebbe gradualmente diminuendo, attestandosi su un altro zoccolo (C-D), ancora più duro, costituito da fedelissimi appartenenti all’indotto delle svariate e pirotecniche iniziative serrane.
La curva EFGH mostra invece come gli elettori leghisti reagirebbero a un eventuale (e improbabile) sbandata della dirigenza fascioleghista a favore di una convivialità delle differenze: i fascioleghisti perderebbero immediatamente una delle due stampelle della loro predicazione, quella del timor panico nei confronti degli immigrati. La curva fa riferimento alla situazione italiana, in generale. L’altra stampella è l’insofferenza per l’euro, e il tripudio irrazionale per un ritorno dell’Italia alla liretta.
[1]
A destra vediamo invece il dramma della dott.ssa Serra, che è strappata in due diverse direzioni, secondo che intenda curare il proprio successo elettorale o il proprio gradimento negli ambienti della Bergamo che conta e che designa le persone che contano, o che conteranno, nei posti che contano. La curva ABCD è confrontata con la curva IL: come abbiamo già visto, il consenso elettorale (che qui abbiamo chiamato “successo”, per omogeneizzare le variabili) diminuisce via via che aumenta nella dott.ssa Serra la sua attitudine alla convivialità delle differenze; invece il suo successo nella Bergamo che può decidere del suo destino OltreCurno aumenta. Il punto M potrebbe essere un punto di equilibrio, ma non è detto. Le due curve presentate a destra, infatti, prescindono da tutte le altre variabili che entrano in gioco: quella che abbiamo presentato è soltanto una situazione astratta, per orientarci nel problema. In concreto, la posizione della dott.ssa Serra potrebbe essere ancora più difficile.

 …

Vale senz’altro la pena leggere un articolo di Ernesto Galli Della Loggia sul Corriere della Sera del quale sentiremo ancora parlare, immagino, a meno che non si faccia circolare la parola d’ordine di soffocare il dibattito con ogni mezzo: in prima istanza creando intorno all’articolo un muro di gomma che lo renda invisibile; nel caso in cui il dibattito tuttavia prendesse piede, demonizzando l’articolo e il suo autore. L’articolo è:

Sui migranti non servono sermoni

Estratto dell’articolo

Provo a fare un estratto dell’articolo, levando tutti gli incisi e le figure retoriche (per esempio, di preterizione) che il giornalista ha impiegato per tenere a bada i cani del politicamente corretto, il cui latrato, com’è noto, ha il significato che in altri tempi aveva l’anatema pronunciato dalle gerarchie cattoliche. Ridotto all’essenziale, e senza la preoccupazione di gettar l’offa ai cani, il discorso apparirà crudo. Ma abbiamo il dovere di essere chiari. Ribadiamo comunque, a parte, e una volta per tutte, che siamo lontani le mille miglia dalla spregevole demagogia dei fascioleghisti che, guardando al bottino elettorale, profittano dello stato di emarginazione in cui versa obiettivamente una parte della popolazione italiana e fanno leva sull’ignoranza, sui sentimenti peggiori della plebe e sui suoi complessi di inferiorità (intellettuale e non solo). Scrive dunque Ernesto Galli Della Loggia:

L’Italia è un Paese con una forte disoccupazione e un alto indice di povertà. Sono molti gli italiani che vivono male, in abitazioni insufficienti, che anche se hanno un lavoro non sanno come arrivare alla fine del mese, e non godono di nessun aiuto pubblico. Stando così le cose è mai ammissibile che l’Italia abbia davvero bisogno di vedersi arrivare decine di migliaia di immigrati, e che possa permettersi di impiegare le sue risorse per accoglierli? Non solo, ma dopo quanto è accaduto in Gran Bretagna e in Francia, con i giovani africani e asiatici di seconda generazione convertitisi allo jihadismo islamico e al terrorismo, è davvero ancora possibile credere all’integrazione?
[…] Chi protesta contro l’immigrazione lo fa mosso in genere da due stati d’animo molto forti: il senso d’insicurezza e il bisogno di eguaglianza.
1) L’insicurezza è prodotta dal vedere un estraneo comportarsi senza alcun riguardo verso la comunità di cui si fa parte. Per esempio orinare a proprio piacere contro i muri [..] Per simili gesta le forze dell’ordine e le polizie locali non solo non intervengono quasi mai, ma quando lo fanno la cosa di regola non ha alcun esito significativo. Non so se i ministri dell’Interno e della Giustizia, i sindaci, si rendono contro che assecondando questo andazzo essi si assumono la grave responsabilità di contribuire ad esasperare lo spirito pubblico, ad eccitarlo al massimo contro gli immigrati. Se invece si trovasse il modo di intervenire contro le suddette infrazioni con frequenza e in senso immediatamente punitivo (sì, punitivo: guai ad aver paura delle parole), ciò avrebbe un importantissimo effetto di rassicurazione.
2) Il secondo sentimento che, specie negli strati popolari, è colpito più negativamente dall’immigrazione è il sentimento della giustizia, ovvero il bisogno di eguaglianza. Ogni beneficio concesso agli immigrati è visto come qualcosa tolto agli italiani, gettando così le basi per una contraddizione, politicamente micidiale, tra spesa sociale e spesa per l’accoglienza, tra «noi» (che paghiamo le tasse) e «loro».
[…] Sta perciò a chi è favorevole pensare e adottare misure concrete per attenuare o cancellare una tale ostilità. Misure concrete però, concrete: non sermoni buonisti sull’obbligo dell’«accoglienza» che lasciano il tempo che trovano.

Commento

L’articolo così sforbiciato mette in luce ciò di cui i similprogressisti solitamente non parlano e di cui non vogliono sentir parlare, perché non sta bene (dicono loro), perché non è politicamente corretto, perché non è bon-ton, perché il problema è un altro, perché la solidarietà, perché anche gli italiani furono emigranti ecc.
Ripeto, il nostro punto di vista non può essere confuso con quello dei fascioleghisti. Come del resto non vi si confonde il pensiero di Ernesto Galli della Loggia, il quale il 15 giugno aveva scritto, suscitando indignazione a destra e a sinistra (si veda Il realismo saggio sui migranti):

L’integrazione: l’unica via per rendere compatibili l’immigrazione e la democrazia. Un’integrazione senza se e senza ma: cioè buttando a mare una buona volta tutte le chiacchiere insensate sulla società multiculturale e invece adottando consapevolmente l’obiettivo di fare degli immigrati altrettanti nuovi italiani.

Perfetto. E aggiungo quel che vado ripetendo da tempo. La nostra società è marcia, slombata, depressa, senza struttura morale: i “barbari” potrebbero rivitalizzarla e salvarla, come è avvenuto in altre fasi della storia. Lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco non ha voluto attendere l’arrivo dei barbari salvatori e, per salvare se stesso, ha abbracciato la religione islamica, così dice. Rimane il fatto che questa è una società di merda, e sappiamo bene chi dobbiamo ringraziare. Ma non lo ringraziamo qui, per non perderci strada facendo.

Potrei aggiungere che non mi trovo completamente d’accordo con Ernesto Galli Della Loggia sullo sviluppo proposto al punto 2) dell’articolo da me compendiato. Ma non vale la pena parlarne. Mi preme invece buttare giù alla bell’e meglio, in vista di un approfondimento successivo, poche considerazioni riferite al quadro curnense. Immagino che la dott.ssa Serra le ignorerà con un sorrisetto di sufficienza e asseverativa superbia. Lei è libera di sorridere, o anche di ridere rumorosamente, come ha fatto nel corso dell’ultima seduta di Consiglio comunale (ma — capisco benissimo — quella risata pantagruelica aveva il significato di una rottura della tensione nervosa accumulata, innescata dai petulanti interventi improvvidi, virulenti e fanciullescamente ridicoli di Cavagna il Giovane). Io sono libero di ragionare e di fare una modesta proposta.

Proiezione del tema sullo scenario curnense

Il punto di partenza è che oggi come oggi la dott.ssa Serra si trova come tra Scilla e Cariddi: da un lato non ignora che la popolazione di Curno – nonostante che Curno, a sentire lei, sia ormai un paese bello da vivere e dunque “buono” e generoso – non vedrebbe di buon occhio un incremento della popolazione alienigena. [2] Dunque davanti al popolo la dott.ssa Serra è costretta a mettere le mani avanti: non prendetevela con me, se a Curno arriveranno nuovi profughi, è il prefetto che lo vuole, ed è tutto pagato, 30 euro al giorno, voi cittadini non ci rimettete niente ecc.
Però è anche vero che la dott.ssa Serra non soltanto è genericamente progressista, filo-società civile, politicamente corretta ecc., ma soprattutto è legata mani e piedi agli ambienti della Bergamo “nomenclatrice”. Cioè si trova nella condizione di dover rendere conto del suo operato, prima ancora che al popolo, a coloro che dovrebbero nominarla (come nelle “nomination” delle competizioni televisive) in quanto idonea a ricoprire cariche politiche e istituzionali OltreCurno. In particolare, la dott.ssa Serra ha puntato parecchio su un gruppo molto attivo in tutta Italia ma – credo – particolarmente a Bergamo che opera all’insegna della “Convivialità delle differenze”.[3] Credo che i lettori sappiano chi sono costoro: furono loro a promuovere la lettura dei salmi in piazza Dante a Bergamo, cui partecipò la dott.ssa Serra insieme con il più bel mondo similprogressista bergamasco, come pure sono loro quelli che hanno confezionato il pacchetto di pubbliche relazioni per la peregrinazione di Vera Baboun, la sindachessa betlemita, in terra bergamasca, Curno compresa. E costoro chiedono che la dott.ssa Serra prenda una posizione entusiastica in vista dell’accoglimento di stranieri che godano della qualifica di “profughi”, e che in ogni caso la dott.ssa Serra e costretta ad accettare, visto che è il prefetto che lo comanda. Ma, fermo restando il rispetto dei trattati internazionali e, soprattutto, dei Diritti dell’uomo, il punto è che non di entusiasmo si ha bisogno, ma di una gestione razionale dell’emergenza, perché – inutile nascondersi dietro un dito – di emergenza oggi si tratta. Domani chissà.
Ecco, questo è il dilemma della dott.ssa Serra: consenso elettorale a Curno, o successo d’immagine OltreCurno?

Bisognerebbe seguire la via della ragione, dicevamo, proprio come ci esorta Ernesto Galli della Loggia. Anzi, bisogna. Ma la Serra ne avrà la forza e la volontà? Viene qui la mia modesta proposta alla dott.ssa Serra, una proposta che non ignora, anzi valorizza il suo essere similprogressista con addentellati sia aziendalisti sia altolocati nella Bergamo che conta, quella che nomina le persone che contano nei posti che contano (la Bergamo “nomenclatrice”).

1) Per quanto riguarda il tema della sicurezza, dovendo convincere la popolazione (certo non i fascioleghisti: loro sono irriducibili, a prescindere) che la situazione è sotto controllo, occorrerà incrementare la repressione di tutti i comportamenti incivili, di sopraffazione, di danneggiamento dei beni pubblici ecc. Ovviamente, non si dovrà procedere contro gli stranieri in esclusiva, ma contro gli italiani e gli stranieri insieme. Anzi più contro gli italiani, mi sembra giusto. Insomma, è anche una questione di buon senso: la microcriminalità va repressa, quale che ne sia l’origine: fra l’altro è quella che colpisce le fasce sociali più indifese.
Ma come fare? Per la dott.ssa Serra, se vuole, non dovrebbe essere difficile: indossi pure, se le piace, la fascia tricolore e crei una squadra di repressione dell’illegalità. In particolare: a) si distolgano le forze di polizia locale dall’umiliante compito di appioppare multe spietate agli automobilisti incautamente trasgressori di divieti che fan cassa, per dedicarle, invece, a compiti che migliorino la qualità della vita a Curno, in termini di sicurezza; b) utilizzi le sue relazioni altolocate per ottenere che chiunque abbia commesso un’infrazione a Curno (e a Bergamo, perché no?) sia effettivamente punito, e immediatamente: per esempio, se non può pagare l’ammenda, che svolga lavori utili. I cittadini, in particolare le fasce deboli della popolazione devono essere rassicurati, non dovranno più esserci zone franche per l’illegalità. Abbiamo notato che tra le persone che recitavano i salmi in piazza Dante c’era anche il pubblico ministero Carmen Pugliese, la quale è presentata dalla stampa locale come una donna intrepida. Bene, poiché la dott.ssa Serra ha recitato i salmi con lei, prenda a pretesto questa loro simultanea appartenenza alla Bergamo che conta e che nomina, non esiti un attimo a coinvolgerla (la Pugliese, ma non solo lei) per ottenere che a Bergamo e dintorni la repressione dei reati, anche quelli minori, sia immediata ed efficace.

2) Veniamo al problema dell’eguaglianza e della disparità di trattamento (italiani vs. profughi), al quale accennava Ernesto Galli della Loggia: cioè, perché si danno soldi agli stranieri, e a me, invece, non si dà un soldo, anche se ho perso il lavoro e sono io stesso bisognoso? Anche qui la dott.ssa Serra avrebbe la possibilità di cavarsela benissimo, se solo pensasseun po’ più ai cittadini e un po’ meno alla sua carriera OltreCurno. Dovrebbe valorizzare e far lavorare sodo tre meravigliose risorse delle quali dispone: ed è, credo, uno dei pochi sindaci così fortunati da avere la soluzione a portata di mano. I cittadini di Curno non si sentirebbero più discriminati, se i profughi in età di lavoro lavorassero proprio per loro, svolgendo mansioni socialmente utili, o anche individualmente utili, convenzionati con il Comune. Non capisco perché la Serra non abbai ancora creato una commissione immediatamente ed efficacemente operativa, con l’apporto di: a) dott.ssa Luisa Gamba, un’aziendalista di prima grandezza finora, a nostro avviso, sottoutilizzata, considerato che i fogli Excel sono una parte verisimilmente minima del ventaglio delle sue competenze; b) dott. Max Conti, segretario della locale sezione Pd, che nella vita privata opera nel settore del reclutamento del personale (d’accordo: oggi si chiamano risorse umane, ma concordo con Bianciardi nel ritenere ridicola questa espressione) e che ha in seno al Pd provinciale una delega sul lavoro; c) Enèrgheia, un’«impresa sociale» accreditata presso la Regione lombarda, un crogiolo di idee quale non se ne vedeva nemmeno nell’Inghilterra del primo governo laburista del dopoguerra, un risolutore globale di problemi nel settore del mercato del lavoro, un’impresa benemerita con la quale l’amministrazione curnense attuale è, come si dice, “culo e camicia”. Ebbene, noi pensiamo che facendo interagire queste tre risorse, la Serra potrebbe ottenere risultati formidabili. Per quanto riguarda l’aspetto legislativo (non ignoriamo che la legislazione attuale potrebbe frapporre ostacoli all’impiego dei profughi in lavori socialmente utili), ancora una volta la dott.ssa Serra faccia leva sulle sue conoscenze nella Bergamo che conta e che nomina.

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[1] Cioè, si potrebbero anche voltare le spalle all’euro, ma seguendo le direttrici di un progetto messo a punto da scienziati, con il consenso delle forze produttive del paese e non sull’onda di un entusiasmo suscitato da demagoghi ed avallato da “economisti” lecchini.

[2] È una parola latina: ălĭēnĭgĕna significa letteralmente “generato in altro ambiente”, cioè di altra stirpe. In pratica vuol dire “straniero”, ma con sfumatura di significato generalmente peggiorativa. Questo è precisamente il significato assegnato alla parola “immigrato” dai fascioleghisti. Se praticamente tutte le iniziative serrane portano un nome inglese, giusto per dare la supercazzola ai cittadini, non vedo perché non potrei usare una parola latina per riassumere un concetto fascioleghista, che essi stessi non sono mai riusciti a esprimere efficacemente, con in più un pizzico di ironia per la cultura mostruosa che solitamente i fascioleghisti mostrano di avere. Non faccio nomi, perché so che i fascioleghisti curnensi sono modesti.

[3] A proposito di questa strampalata espressione, frutto dell’ingegno fervido ed entusiastico di don Tonino Bello, scrivevo qualche tempo fa che «la “convivialità delle differenze” è un calcio sferrato da un somaro sui denti di una bella signora, la lingua italiana». Si veda La “convivialità delle differenze”: inutile pretendere di capire, è un mistero; e tale deve rimanere.

128 commenti
  1. Via dai miasmi della politichetta


    Chiesetta di S. Isidoro, patrono degli agricoltori, addossata al sasso di Preguda, in un pianoro (647 m s.l.m.) alle pendici del monte Moregallo (1276 m s.l.m.) nel lecchese. Il “sasso” di Preguda è un masso erratico, trasportato dai ghiacciai giù dalla Valtellina.

    E adesso concediamoci una pausa: per un momento, ci dilettiamo di lasciar andare la fantasia, immaginiamo un mondo bello da vivere regolato dalla ragione, dove i demagoghi, gli ambiziosetti senz’arte né parte, i furbastri, i traditori, i lecchini e tutta la genìa di brutta gente con la quale siamo costretti ad aver che fare quotidianamente, siano fatti oggetto della riprovazione sociale. In un “mondo bello da vivere” non possiamo impedire a questa gente di esistere, anche perché sono sempre esistiti, ma almeno sono disprezzati. Altro che la “Curno bella da vivere” dove gli amministratori somministrano ai cittadini la supercazzola politica, da condividere, naturalmente, e dove Cavagna il Giovane indice battute di caccia grossa politica contro i due Gandolfi (tra l’altro, senza nemmeno ottenere quella benevolenza politica che si aspettava, tant’è che è stato sfanculato dalla Lega nord).

    Un’escursione in montagna (o quasi) ci aiuterà a sgombrare la mente. Perciò ci siamo recati in automobile a Valmadrera, abbiamo parcheggiato il mezzo vicino alla parrocchiale e di qui abbiamo preso il sentiero che porta al “sasso di Preguda”.
    Con questa disposizione d’animo, sarebbe stato sbagliato prendere la strada più spedita per Valmadrera, come fanno tutti gl’indaffarati che in realtà non hanno niente da fare, come già acutamente osservava il poeta latino Lucrezio. Perciò, partendo dal nostro antro abduano, abbiamo scelto di fare la strada che passa per Paderno d’Adda, lambisce il parco di Montevecchia (sul quale avremo modo di tornare, per via di certe baggianate esoteriche che aleggiano su un posto così bello), e si snoda a est del lago di Oggiono. Anche sul lago di Oggiono, quando verrà il momento, spenderemo prima o poi qualche parola, perché fu teatro di una disavventura amorosa di Stendhal. È una strada bellissima che in certe belle giornate autunnali conduce a scorci di paesaggio quali si ammirano nel film I duellanti, tratto da un racconto lungo di Conrad.
    Ero già stato al sasso di Preguda: anni fa, tanti anni fa. Ma il bello è proprio questo, tornare nei posti che ci piacciono, mettere alla prova la nostra memoria, trovare il bandolo di un “discorso” che potrebbe valer la pena riprendere, salvandolo dall’indifferenza e dal soffocamento di tanti altri discorsi inutili. D’altra parte, perché correre sempre, perché voler sempre e a tutti i costi vedere posti nuovi, possibilmente molto lontani? Scriveva in proposito Orazio, giustamente:

    Caelum non animum mutant qui trans mare currunt

    cioè “cambiano il cielo, nel senso di ‘coordinate geografiche’, e non l’animo, quelli che corrono per i mari”.
    Il sentiero per Preguda non è difficile; se ci fossero meno sassi tra i piedi sarebbe meglio, ma non fa niente. L’unica difficoltà si manifestò a metà del percorso di salita, quando ho visto su una pietra che serviva di gradino, posta com’era di traverso lungo il sentiero, una freccia rossa sbiadita, rivolta a sinistra. Ho guardato intorno alla ricerca di qualche supplemento d’informazione, cercavo cioè la bandierina segnasentieri con il numero “6” in nero su fondo bianco, affiancato da due rettangoli, giallo e rosso. Ma non ho trovato niente. In effetti, a sinistra cominciava un altro sentiero, e ai piedi di quel sentiero c’era un sasso, parzialmente coperto dalla vegetazione, con un’altra freccia e sotto la freccia una scritta in rosso, sbiadita e smangiata, illeggibile. Poiché la scritta era abbastanza lunga, più lunga di quanto sarebbe necessario per scrivere Preguda, ho pensato che indicasse un sentiero che porti direttamente al monte Moregallo (“Moregallo” è più lungo di “Preguda”). In ogni caso, non vedendo alcun segnale che più decisamente mi invitasse a cambiare direzione, sono andato diritto. Però dopo dieci minuti che procedevo sempre in quella direzione avevo l’impressione che il sentiero scendesse, come se davvero dovesse portare a un punto di quota più bassa; e non si vedevano indicazioni di sorta. Perciò sono tornato indietro, deciso a svoltare per quell’altro sentiero, nella speranza di trovare qualche indicazione. Che per fortuna trovai.
    In effetti, era stato imprudente partire senza una carta. Tornato a casa, provai a cercare qualcosa di soddisfacente in rete. Non trovandolo, ma continuando a saltabeccare da un sito all’altro, ho finalmente scoperto che esiste una mappa che avrebbe potuto fare al caso mio. Si chiama OpenStreetMap. Ho indicato il punto di partenza e quello di arrivo e ho ottenuto il seguente itinerario:


    Facendo clic sull’immagine, si richiama sullo schermo del computer un suo ingrandimento. Per ingrandire ulteriormente, agire sulla rotellina del “topo” (mouse).

    Si osserva che, effettivamente, occorreva svoltare a sinistra: proseguendo sempre nella stessa direzione, sarei sceso al livello del lago, qui lo si vede bene. Ho capito: la prossima volta porterò con me la tavoletta-gingillino elettronico (tablet), tanto più che adesso ho scoperto la meraviglia di OpenStreetMap, cioè delle mappe a licenza libera, ergo gratuite.
    Al termine dell’ultimo tratto di sentiero, arrivato allo spiazzo dove ho subito riconosciuto la chiesetta addossata al “sasso”, la fatica della salita, peraltro modesta, è stata ricompensata da un panorama meraviglioso: a destra, la città di Lecco con il ponte nuovo e il ponte vecchio, intitolato ad Azzone Visconti; a sinistra, il basso lago, in direzione di Abbadia Lariana e Mandello.

    Ma veniamo alla parte “scientifica” dell’escursione: perché quel “sasso” è così importante, tanto da essere “monumento regionale” e per quale ragione ha meritato una targa, addirittura scritta in latino?

    Il fatto è che qui, sopra Lecco, le rocce sono calcari e dolomie e che il masso acuto (Preguda < prea aguda), invece, è granitico: per la precisione, è di quel tipo di granito che è chiamato “ghiandone”, o serizzo. Dunque, che cosa ci sta a fare qui questo masso alto 7 m? La risposta ce la dà l’abate-geologo Antonio Stoppani, che abbiamo nominato spesse volte su Nusquamia (anche recentemente, a proposito di Esino Lario). È lui l’autore di quel libro meraviglioso, scritto per l’educazione della gioventù, che intitolò Il bel paese dove, in piacevole forma di esposizione divulgativa indirizzata ai nipotini, trattò delle bellezze naturali, della geologia e della geografia fisica d’Italia. “Il bel paese” (da non confondere con “il paese bello da vivere”) fa riferimento esplicito all’Italia cantata dal Petrarca: «il bel paese // ch’Appennin parte e ’l mar circonda e l’Alpe». Per farla breve: quel sasso a forma di cuspide è un masso errante, o “trovante” trasportato dai ghiacciai, giù dalla Val Masino fin sopra Lecco. Questo trasporto avvenne in epoca antichissima quando, dopo la grande glaciazione della prima parte dell’Era quaternaria, i ghiacciai cominciarono poco per volta a scendere a valle. E fu proprio lo Stoppani che, nel corso di una sua escursione al monte Moregallo, nel 1878, osservandolo ben bene e ragionando, arrivò a formulare la sua teoria di un’epoca glaciale precedente al periodo di sollevamento delle Alpi. Sosteneva Stoppani che in epoca glaciale i ghiacciai avevano incontrato il mare, che allora arrivava al piede delle Alpi, che in seguito si sarebbero sollevate. Questa sua teoria era in contrasto con l’opinione prevalente dei geologi italiani e stranieri. Nacque di qui un acceso dibattito che si chiuse con la conversione degli studiosi alle idee dell’abate-geologo. La targa affissa al masso erratico riassume la questione in questi termini:


    Per vedere l’immagine ingrandita, fare clic sulla stessa.

    Cioè: “Questo sasso /che, in epoca preistorica / strappato alle Alpi Retiche / e trasportato da basso con lo scorrimento del ghiaccio / qui si fermò / mostrando nei secoli a venire la possanza dell’artefice supremo / fu descritto e spiegato /da Antonio Stoppani sacerdote / ed esimio naturalista. / Nell’anno del Signore 1878”.

    Tre noterelle di terza “F”
    – In questa lapide di elegante latinità varrà la pena osservare:
    a) l’espressione “in epoca preistorica” è stata resa come “ante hominum memoriam”, con parole che un romano antico capirebbe benissimo; il concetto di “epoca preistorica” non appartiene alla latinità classica, ma può essere reso efficacemente e comprensibilmente facendo riferimento al periodo in cui gli uomini non lasciarono memoria di sé;
    b) l’uso di heic, al posto di hic: heic è una forma arcaica di hic, usata di proposito dagli umanisti che intendevano fare differenza tra hic pronome dimostrativo, “questo”, e hic avverbio di luogo, “qui”; heic, inoltre, si legge abbastanza spesso nelle epigrafi;
    c) “naturalista” è stato reso come naturalium rerum interpres: e anche questa è una bellissima locuzione che dà l’idea del lavoro del quale si sobbarcava Antonio Stoppani spiegando a parole quale fosse la natura delle cose. Lui che fu scienziato vero (mica come certi “esperti” petulanti e onnipresenti, protagonisti di ogni dibattito a fine di cazzeggio: soprattutto gli “economisti”) e divulgatore scientifico serio.

      • I burocrati della cultura stiano alla larga dalla cultura

        1. Merda ai necrofori della cultura
        Sì, ho letto con interesse l’articolo pubblicato sul Fatto quotidiano e, proprio perché l’ho letto con interesse, nutro qualche apprensione. Leggo infatti che tale Luca Bruschi, della «direzione progetti dell’Associazione Europea delle Vie Francigene» auspica una sistemazione della via a sud e a nord della Toscna, «con progetti mirati» di ampio respiro, con la «creazione di infrastrutture […] ostelli e bed & breakfast, servizi di trasporto bagagli» con l’approntamento di «guide e punti informazioni e servizi, anche grazie all’innovazione di startup». Inoltre — dice — «ci sono i viaggi organizzati, le iniziative per promuovere i prodotti Dop e Igp delle zone attraversate dalla Via, i progetti di documentari e libri e perfino un programma radio dedicato». Infine, il colpo di grazia: «Le infrastrutture ci sono, ma abbiamo calcolato che servirebbero circa 10 milioni di euro per migliorare la sicurezza delle tappe ancora a rischio».
        A parte il fatto che bisognerebbe capire che cosa s’intende per «tappe ancora rischio», cioè si tratterebbe di definire il rischio o, meglio, il pericolo, qui c’è veramente da mettersi una mano davanti e una mano dietro. Perché colui che parla di una cosa nobile, com’è la traversata della via Francigena da parte di un libero pensatore, non è un libero pensatore, ma è un burocrate che vorrebbe captare, in nome della cultura, naturalmente, una bella sommetta, per poi approntare tutto un bailamme di cosucce in stile simil-curnense: startup, guide da assegnare a qualche cooperativa di amici degli amici (in realtà, già esistono: ottime quelle che si ritirano al British Museum di Londra), marketing dei prodotti Dop e Igp, un programma radio dedicato da mettere in mano al figlio sfigato del potente di turno, e così via cazzeggiando. E poiché osano perfino parlare di «sinergie» (maledetti!), magari sono anche capaci di combinare una bella sinergia con il treno ad alta velocità Roma-Reggio Calabria del quale ha ultimamente ciarlato il bullo fiorentino. Merda!

        2. Ma perché la via francigena dovrebbe essere «sicura»?
        Il mio punto di vista è che la via francigena andrebbe segnalata meglio, questo sì; ma per questo basta rivolgersi per soccorso ad alcune persone serie, che saranno liete di lavorare gratis per la cultura. E senza che gli assessorucoli gli stiano con il fiato sul collo, senza inaugurazioni, senza sindaci fasciati e tricolorati ecc. Persone serie che, comunque, costano poco proprio perché offrono cose serie e non “prog[g]getti” similprogressisti e inculanti. Quanto al «mettere in sicurezza», la via Francigena, credo che non sia necessaria tutta questa sicurezza (ma di quale sicurezza si va parlando?) La quale, anzi, toglierebbe fascino all’avventura. Soprattutto non posso dimenticarmi che siamo in Italia e che è nostro preciso dovere pensar male di tutte le operazioni ammantate di istituzionalità, soprattutto quando già sul nascere siano intrecciate di certe paroline e certi concetti che preludono inesorabilmente alla supercazzola. O il Bibliomostro non ci ha insegnato niente?
        Fra l’altro, non è neanche vero che in Toscana sia proprio tutto perfetto, come vuol darci a intendere il burocrate che bussa a quattrini. Proprio qui sta il bello: perché dovrebbe essere tutto perfetto? Forse per far guadagnare qualche associazione?
        Si veda per esempio la tratta della via Francigena che porta da Siena a Radicofani: il sentiero da Bagno Vignoni a San Quirico d’Orcia è perfetto, fin troppo, anche perché coincide, in parte, con una strada agricola; tutt’altro discorso si dovrà fare per il sentiero, anzi, per il sistema di sentieri che da Bagno Vignoni conduce a Castiglione d’Orcia. In alcuni tratti i cambiamenti di direzione sono segnati accuratamente, come si vede nella foto qui sotto (il cartello nella foto risulta in ombra, ma c’è): peccato però che che ci sia il cartello per chi sale, ma non per chi scende, questo lo ricordo bene.

        Altre volte la segnalazione potrebbe essere meno perspicua, quando la vegetazione si facesse abbondante, ma il sentiero è comunque ben tracciato, come vediamo qui:

        Ma ci sono casi in cui non solo la bandierina di segnalazione potrebbe essere oblit(t)erata, ma il sentiero è lasciato all’intuito del viaggiatore, per non dire alla sua immaginazione:

        Però – ripeto – il fatto che vi siano difficoltà di tragitto, sia riguardo all’orientamento, sia riguardo a una non meglio definita “sicurezza” — una specie di supercazzola che potrebbe dare il destro a qualche furbacchione per mettere a segno un’operazione di quattrino e di potere — non è un male assoluto; forse non è un male, proprio per niente. Affanculo il diritto alla sicurezza! Il pericolo è che in nome di questo diritto vogliano mettere le transenne ai canali di Venezia: ma con tutti gli startup a puntino, ovviamente, e con la consulenza di Energheia, di Max Conti e della dott.ssa Gamba.

        3. Un altro itinerario: la via Appia antica
        Sempre a proposito di itinerari culturali, trovo interessante quello «alla ricerca dell’Appia perduta», pubblicato a puntate su Repubblica, proprio questo mese. La puntata di sabato scorso descriveva la tappa di Terracina ed è forse la più interessante, già nel titolo: Sulle tracce dei Romani, dove ora regna il cemento. Il riferimento è alla speculazione edilizia e al degrado di una città un tempo bellissima divorata oggi — nella parte bassa — dall’ingordigia dei palazzinari in “sinergia” (parlando di merda, questa parolina dei politici “immerdanti” ci sta proprio bene) con l’ignoranza e l’avidità dei politici indigeni. Scrive Paolo Rumiz, l’autore del viaggio:

        Ieri Roma costruiva strade, oggi chiude ferrovie, e a Terracina la decadenza è leggibile in perfetta sequenza altimetrica. In alto il marmo del magnifico foro romano, poi scendendo la pietra delle mura medievali, poi le strade papaline con la piazza Valadier a ridosso del pendio, in basso la speculazione edilizia e infine, sulla battigia, il ballo sull’abisso. “Qui ci vorrebbe la penna al veleno di Ceronetti” sorride Riccardo, insonne per via di Alex, il quale dorme con lui e russa in Do di petto alla Pavarotti. “Ah, se Guido venisse con noi, me lo porterei sulle spalle come Anchise”.

        Ma ecco il disegno di Riccardo Mannelli, che riassume benissimo l’orrore di un antichista costretto suo malgrado a fare i conti con la plebe e, sopraffatto, a invocare il nume vìndice di Ceronetti:

        A sinistra, sullo sfondo, si vede la rupe di Pisco Montano, e si intravede il tempio cosiddetto di Giove Anxur (altri dicono che fosse, invece, il tempio di Venere); in primo piano, invece, «la spiaggia divenuta bolgia di musica bum-bum, con ragazze assatanate a dimenarsi e orde in preda a “selfie”: giovani, ma anche famigliole con nonnetto e bimbi vestiti come damerini. “What’s happening in the beach?” sento dire da una coppia di svedesi allibiti nella terrazza contigua alla mia. Non sanno che in Italia la gente ha paura del silenzio». A destra, unacagnaccio che latra, richiamando il latrato di altri cani, i cui diritti sovrastano i diritti degli umani.

      • Serrate le porte o quel che volete permalink

        È notizia di oggi, 18 agosto 2015, che il ministro Franceschini, nel nominare i nuovi responsabili di importanti istituzioni culturali (Uffizi etc.), ha largamente privilegiato professionisti di chiara fama, ma stranieri o con importanti esperienze all’estero.
        Quindi, ha in primo luogo pesantemente e senza appello bocciato i nostrani prodotti della burocrazia e delle università italiane, largamente controllate dai gruppi partitici. Significa anche che la mentalità di costoro non è stata giudicata in grado neppur di capire il valore culturale di ciò che abbiamo in Italia e di rapportarlo alla sua effettiva fruizione. Quel che non pare essere stato affrontato è il problema della relazione fra costoro e i futuri loro dipendenti, pure essi normalmente raccomandati da quegli stessi partiti, volti soltanto a conservare e coltivare il proprio orticello: prevedo un flop, e non per colpa dei nominati, probabilmente non abbastanza incriccati nei partiti.
        In secondo luogo, l’implicito giudizio del ministro si estende a maggior ragione a tutti coloro che hanno avuto il potere di determinare gli assetti territoriali in Italia (vedi la stessa Curno), con gli obbrobriosi esiti che vediamo. Come si può pensare di valorizzare con grandi esperti singole istituzioni se non si provvede immediatamente al contorno? Ma qui si vanno a toccare i loschi profitti dei partiti e gli interessi di qualche loro alfiere… e saranno quasi effetto normale le dimissioni o la sterilizzazione delle personalità scelte, se non avranno saputo adeguarsi.

        • Potenza delle pubbliche relazioni

          Apprezzo la buona volontà di Franceschini, ma, come lei, non credo che basti mettere a capo di un’istituzione italiana una persona che ha ben meritato all’estero, se poi deve operare in Italia in un contesto marcescente, che non dà le garanzie di serietà e di onestà che, bene o male, caratterizzano le istituzioni d’oltralpe.
          Senza entrare nel merito delle competenze e dei meriti dei singoli nominati, abbiamo tutti potuto constatare, chi per esperienza personale, chi semplicemente osservando lo stato delle cose senza fette di prosciutto sugli occhi, che il “sistema” è vischioso, impenetrabile, non riformabile, se la riforma è seria. Se invece la riforma è poco seria, allora vedrai tutti favorevoli al “cambiamento”, al “moderno”, al “digitale”, dall’ultimo degl’impiegati su su fino al direttore megagalattico. Purché il cambiamento sia inculante, con acquisizione di nuove competenze burocratiche, corsi di formazione e premi di produzione ecc. Basti vedere l’uso che si fa dei computer. Potrebbero servire per distruggere la burocrazia, invece i burocrati se ne sono appropriati per rendere la vita ancora più difficile ai cittadini. Oppure ci fanno le slàid. Merda!
          Un discorso a parte meritano gli esperti stranieri. Tralascio di affrontare l’argomento “provincialismo” e vengo al sodo. Il fatto è che la qualità di “straniero”, se lo straniero è cooptato da certi marpioni, non è di per sé una garanzia. Bisogna, al solito, giudicare caso per caso. Anche se in origine onesto, uno straniero catapultato in Italia corre il rischio di essere fagocitato: non ha gli anticorpi, è troppo ingenuo, solitamente. E poi la carne è debole, quando si riceva una buona proposta. Uno straniero che normalmente è in grado di resistere alla corruzione nel proprio paese, spesso, arrivato in Italia, è lentamente e inesorabilmente inglobato nel pantano. I nostri marpioni se lo lavorano poco per volta, gli fanno mille moine, se lo spupazzano nei posti più belli, gli dànno una bella residenza, privilegi vari, pranzi da Fortunato al Pantheon, quando sono a Roma, o da Giannino, quando sono a Milano. Da principio l’illustre straniero è titubante, poi si accorge che in Italia fanno tutti così, infine si fa l’idea che non ci sarà nessuno a fargli le pulci, perché in Italia non esiste un sistema di pesi e di contrappesi, veri, non mistificati. Fare l’opposizione per alcuni, con poche eccezioni (fra cui noi di Nusquamia), è un modo come un altro per far quattrini e carriera: cioè, io sono l’opposizione e ho visto che tu hai fatto questo e quello; bene, a questo punto tu mi dài qualcosa, per esempio con il meccanismo della triangolazione nell’assegnazione degli incarichi, di sistemazione dei figli ecc., e io non ho più visto niente.
          Ed è così che l’illustre straniero casca come una pera cotta. Perché ci vuole cascare, naturalmente, e perché ha capito che in Italia si rischia di più a essere onesti che a essere disonesti. Nella vita professionale mi è capitato di essere testimone di casi come quelli qui prospettati.
          Oh, potenza delle pubbliche relazioni! Perciò non le disprezzeremo mai abbastanza.

    • Al bar uncina golf permalink

      Passeggiate come quella descritta, tanto ben preparata ed effettuata, sono salutari non solo per il corpo, ma anche per la mente. Soprattutto per la mente, che nell’applicazione concreta può distendersi a tessere nel vivo ciò che fino a quel momento era avvolto nelle pur sempre imprecise visioni dell’immaginazione.

  2. Ancora a proposito di immigrati

    Ho già accennato alla seduta del Consiglio comunale curnense del 1° agosto (ricordo bene? non ho voglia di controllare). Ricordavo che Cavagna il Giovane si è prodotto in atteggiamenti che dir politicamente petulanti sarebbe poco, non fosse che ha pensato lui stesso a stemperare il disagio che la giovanile e determinata baldanza creava nei consiglieri e nel pubblico, sempre più rado alle riunioni di Consiglio.
    Così l’espressione del nostro volto si faceva sempre più indecisa, tra la costernazione e il riso. Ed era un riso che veniva dal cuore, un ridere genuino, mica un sorrisetto asseverativo, studiato ad arte, avente funzione di “Punto, basta, non m’interessa!”. Non era nemmeno la risata scrosciante della dott.ssa Serra che a un certo punto riempì l’aula consiliare: ma, come abbiamo già osservato, era quella una reazione alla tensione nervosa creata dagli interventi a rffica del baldanzoso Cavagna il Giovane, spesso a capocchia, che nelle sue intenzioni, però, dovevano essere distruttivi. Tra i passaggi più divertenti degli interventi a raffica di Cavagna il Giovane, vale la pena ricordare tutte le volte in cui si intrometteva nel dibattito chiedendo spiegazioni – per giunta in tono accusatorio, come un giovane domenicano del Tribunale dell’Inquisizione, ma un giovane domenicano in carriera – riguardo a fatti e circostanze dei quali era possibile leggere negli allegati, o che addirittura erano stati appena illustrati. Ma lui non capiva e, se non capiva, dava la colpa agli altri, alzava lo voce, ohibò!
    Perché Cavagna il Giovane si è comportato così, ancora più petulantemente del solito? Forse perché erano assenti Gandolfi e la fasciofemminista, dunque lui si sentiva l'”opposizione”, nonostante il fatto che sia stato di recente sfanculato da Marcobelotti, per conto della Lega nord curnense. O forse perché proprio di quel giorno era la lettera inviata da Marcobelotti alla dott.ssa Serra [vedi Palestra o Moschea?], che grondava preoccupazione elettorale per l’avanzata islamica a Curno: e poiché a Curno non si scherza in quanto a demagogia, a captatio benevolentiae senza ritegno, e a disinvoltura nell’impiego dei mezzi di lotta politica, poiché a Curno si combatte fino all’ultimo cane, Cavagna il Giovane non voleva lasciare a Marcobelotti l’esclusiva di una fetta di mercato elettorale costituita dalla plebe spaventata, bastonata dalle bùbbole politicamente corrette dei similprogressisti, costretta alla condivisione contro i propri interessi e tormentata da vari complessi di inferiorità (intellettuale, culturale, sessuale ecc.). O, infine (terza ipotesi) forse Cavagna il Giovane voleva dimostrare a Marcobelotti, peraltro assente, che le sue posizioni in fatto di immigrazione sono largamente coincidenti con quelle della Lega nord, dunque perché non tornare insieme d’amore e d’accordo?
    Il fatto è che Cavagna il Giovane è stato particolarmente aggressivo riguardo all’eventualità che Curno possa vedere l’arrivo di nuovi immigrati, questa volta con lo status di profughi. Lo stesso Cavagna il Giovane aveva presentato un’interrogazione convergente con la lettera di Marcobelotti. Per cui la dott.ssa Serra, avendo premesso che non era tenuta a rispondere alla lettera di Marcobelotti, a norma di cacata carta, perché Marcobelotti non siede in Consiglio e oltretutto il suo rappresentante Cavagna il Giovane è stato sfanculato dal leader sommerso della Lega nord curnense, ha comunque fatto presente che la risposta all’interrogazione di Cavagna il Giovane sarebbe stata implicitamente anche una risposta alla lettera di Marcobelotti.
    In particolare la dott.ssa Serra ha mostrato, come abbiamo scritto nell’articolo di apertura di questa pagina, di trovarsi come tra Scilla e Cariddi. Conseguentemente da un lato ci tiene ad affermare che l’eventuale arrivo di nuovi immigrati a Curno, con la qualifica di profughi, non comporterà aggravi per i cittadini curnensi, infatti per i profughi ci sono 30 € al giorno, che vengono dalle autorità centrali e non dalle tasche dei cittadini; d’altra parte, pur consapevole –ancne se non lo dice — del fatto che codesti 30 € al giorno sono un po’ un pugno sui denti per coloro che a Curno cercano inutilmente un lavoro, e che certamente non lo troveranno grazie ad Energheia, ha voluto mettere agli atti dichiarazioni buoniste indirizzate, più che ai cittadini di Curno, agli ambienti di Bergamo che contano e che nominano le persone che contano o che conteranno nei posti che contano.
    Che cosa noi pensiamo di questa impostazione del problema è stato già detto e non sto qui a ripetermi.
    Intendo invece condannare ancora una volta le posizioni demagogiche della Lega nord e di Cavagna il Giovane per i quali, come si dice, pire ça va mieux ça est, cioè “tanto peggio, tanto meglio”. [*] A loro non interessa trovare una soluzione razionale del problema, non interessa mettere la Serra spalle al muro perché si faccia carico dei cittadini invece che della sua carriera. Interessa trarre un vantaggio politico dal disagio dei cittadini emarginati, invece che aiutarli a uscire dalla loro emarginazione. Interessa imbastire una speculazione politica, dalla quale si ripromettono un vantaggio elettorale immediato, come sul tema dell’immigrazione, o mediato, cioè indiretto, come fece Cavagna il Giovane quando si fece promotore della “guerra dei due Gandolfi” e indisse una battuta di caccia grossa (politica) che, tra l’altro, non gli portò bene.
    Cavagna il Giovane a un certo punto ha interrotto la dott.ssa Serra e le ha domandato: «Ma perché non ve li prendete a casa voi, questi immigrati?». A mio parere la dott.ssa Serra ha risposto pessimamente, affermando che il prefetto non lo consente. Ma questo è un altro discorso. Qui ha luogo osservare che Cavagna il Giovane converge, oltre che con la Lega nord, con la fasciofemminista (non chiedetemi in quale partito o movimento si riconosca oggi, perché oggi è diverso da ieri e domani è diverso da oggi, e ogni giorno è un diverso oggi; e, soprattutto, perché non lo sa nemmeno lei). Anche la fasciofemminista – lo ricordo benissimo – aveva chiesto in Consiglio alla dott.ssa Serra di prendersi in casa qualche immigrato.
    Ma ecco in proposito alcune osservazioni di Concita de Gregorio, la brava e intelligente giornalista di Repubblica, prestata all’Unità, e adesso tornata alla Repubblica. Scrive oggi nell’articolo L’Europa non può fermarsi a Calais:

    L’immigrazione è il più impopolare dei temi. Juncker lo sa, è per questo che dice: non bisogna inseguire il consenso. […] C’è sempre qualche Salvini, qualche onnipresente candidato leader televisivo, che dice salutato dagli applausi: portateveli a casa vostra, se vi piacciono tanto. Ola di pubblico.
    […] Nel 2014 sono morte annegate 3279 persone, nel Mediterraneo centrale. Fra l’Africa e l’Europa, al largo delle spiaggie dove siamo in questo momento in vacanza. […] Cercano l’Europa. Ma l’Europa cos’è, esattamente? Quali sono i suoi confini? Ieri la commissione Ue ha stanziato 20 milioni di euro per l’emergenza Calais, in favore della Francia. 20 milioni per fronteggiare l’assalto all’Eurotunnel attraverso il quale moltitudini di persone poi tradotte in numeri cercano un approdo ad una diversa vita, ad una vita possibile. 27 milioni erano stati già stanziati per la Gran Bretagna. Si tratta di somme erogate dal Fondo Asilo, dicono le fonti ufficiali. 47 milioni. C’è un Fondo Asilo. C’è sicuramente anche per l’Italia, per il Mediterraneo centrale attraverso il quale la maggior parte dei migranti cerca approdo. Forse bisogna riempire un modulo. Chissà se i nostri lo sanno, magari si scarica da Internet.

    Concita De Gregorio ha inserito due argomenti sui quali vale la pena meditare in un articolo che pure è politicamente corretto, ma che almeno è scritto bene. E poi lei, almeno lei, è intelligente, non dà la supercazzola ai lettori: chi dà la supercazzola, oggi come oggi, suscita irritazione e nient’altro, non solo in chi è in grado di demistificarla ma, ormai, anche in chi non è attrezzato culturalmente per farlo. Ecco i due argomenti:
    • inadeguatezza dell’Europa, in particolare nei confronti dei paesi che si affacciano Mediterraneo
    • faciloneria e incapacità cronica di portare a soluzione i problemi da parte dell’Italia renzista.
    Essendo politicamente corretta, Concita De Gregorio non arriva a chiedere che l’Europa diventi una potenza mondiale (ma proprio questo chiedeva Scalfari, domenica scorsa) e non arriva a chiedere un intervento armato europeo nelle aree che producono profughi. Certo, bisognerebbe discutere, e non è cosa da poco, il chi, il che cosa, il quando e il come. Ma si potrà ben ragionare, in questo paese di merda?
    Insomma non chiediamo a Concita De Gregorio di “condividere” le nostre posizioni. Una posizione è giusta, o sbagliata, indipendentemente dal grado di condivisione. Fra l’altro, Concita De Gregorio è intelligente – questo sì – ma la sua è un’intelligenza bloccata da un vissuto blandamente femminista. Un’intelligenza libera arriverebbe a considerare la ferita che il femminismo ha inferto al mondo occidentale e alle sue conseguenze, in termini — anche — di calo della libido maschile: i livelli di testosterone nei giovani sono ai minimi storici. Conseguenza di questa conseguenza è l’accumulo nel mondo occidentale, come per reazione, di una dose di aggressività apparentemente inspiegabile. Cioè l’aggressività maschile svolge il ruolo di succedaneo della libido sessuale, mentre quella femminile è un portato diretto della determinazione femminista. E qui torniamo a una delle cause del disagio della popolazione sul quale fa leva Matteo Salvini. Insomma, come si dice, tout se tient.

    ——————————
    [*] Così rispondo alla dott.ssa Serra che in Consiglio disse – per la gioia di Cavagna il Giovane e dei gatti padani – À chaque jour suffit sa peine, che in toscano si dice “Ogni dì ha il suo affanno”. Così perlomeno mi disse un certo Cesaretti lucchese, un po’ fannullone, amico ai suoi tempi di Mario Tobino (che, lui sì, era una persona seria).

    • Politicamente scorretto. Il disagio dell’Occidente in relazione al femminismo

      Premessa – Per cominciare, riporto un brano tratto dalla recensione, apparsa sull’Avvenire del 22 aprile 2015, del libro Il maschio selvatico/2, scritto da Claudio Risé, psicanalista junghiano.

      «Mi chiedo se la cosiddetta teoria del gender non sia anche espressione di una frustrazione e di una rassegnazione che mira a cancellare la differenza perché non sa più confrontarsi con essa». Queste ferme parole di Papa Francesco, pronunciate nell’udienza pubblica di mercoledì 15 aprile, incoraggiano a non farsi intimidire dalla «colonizzazione ideologica» (Papa Francesco) che i fautori della teoria del gender stanno tentando nel mondo.
      Abolire la differenza tra il maschile e il femminile auspicando una sorta di neutralità sessuale è una guida all’infelicità, oltre che un’aberrante contorsione mentale.

      Di Claudio Risé ci siamo già occupati nell’articoletto Importanza della figura paterna nella famiglia naturale. Se torno a farne menzione non è perché mi senta particolarmente vicino a Claudio Risé nella sua concezione junghiana, intrecciata con alcuni punti fermi dell’antroposofia. Lo faccio – lo confesso – per paraculismo, per non essere sbranato dalle femministe e dalla lobby Lgbt. Il messaggio, cioè, è il seguente: prima di sbranare me, che non conto niente, andate a sbranare Claudio Risé, che è uno psicanalista di risonanza internazionale (credo che per lorsignori la cosa abbia una certa importanza).
      E, tanto per essere più espliciti, riporto due brani tratti da un articolo di Risé (si veda: La società al femminile? Una fregatura):

      La “società femminilizzata” è una grandissima fregatura per tutti, uomini e donne. Le donne perché sono state spodestate anche della loro «regalità» domestica, ormai contesa da maschi petulanti, che sanno tenere la cucina spesso meglio di loro. I maschi perché ricacciati dal circo politico-mediatico (del resto ancora in gran parte maschile) nel girone dei violenti, gente da sottoporre a schedature di massa del Dna, come propongono le Commissarie Europee, o da non lasciar viaggiare accanto a bambini soli, come prevede British Airways. Donne spregiudicatamente sfruttate sul lavoro, come i maschi, e uomini controllati e tenuti in permanenza sotto lo stigma del pregiudizio sociale: questo, e non altro, è la «società femminilizzata» sviluppatasi in modo accelerato dagli anni Settanta in poi.
      […] Se non comandano le donne però, e anzi ci stanno malissimo (basta guardare le liste dei presidi psichiatrici, o le statistiche sullo sviluppo dell’alcolismo, o dei disturbi alimentari) perché si parla di “società femminilizzata”? È un altro modo, più spostato sul versante degli orientamenti culturali, per descrivere la «società senza padri», come psichiatri, antropologi, e sociologi della politica chiamano già da quarant’anni la società occidentale. L’Occidente viene così identificato perché i padri non svolgono più la loro funzione nell’aiutare durante l’adolescenza i figli ad uscire dalla simbiosi con la madre.

      Il femminismo (apparentemente) imperante vs. il disagio sociale – Nell’articoletto pubblicato qui sopra avevo accennato alla «ferita che il femminismo ha inferto al mondo occidentale e alle sue conseguenze». Esse sono un grande disagio per la comunità di coloro che in altri tempi si sarebbero chiamati “maschi” e che oggi, nella più benevola delle ipotesi, potrebbero essere chiamati “pecchioni”. Ma, come mette in luce Claudio Risé, il disagio non è soltanto nella popolazione maschile, è strisciante, e ancor più devastante, in quella femminile. È un disagio generale che, come avviene sovente, si traduce in aggressività, maschile e femminile. Tale disagio è una concausa del successo che ride ai movimenti populisti: intendo soprattutto la Lega nord, guidata dallo spericolato Matteo Salvini, e il Pd del quale si è insignorito il catto-aziendal-berlusconian-populista Matteo Renzi. Una concausa, evidentemente non è la causa: ma può giocare un ruolo paritetico con le altre cause. Per esempio, nel caso degli elettori che la Lega nord vorrebbe uccellare, il disagio psicologico non è da meno rispetto al disagio materiale, derivante dal fatto che “le plebi” sono trattate a pesci in faccia dal governo centrale.
      Dal contesto di tutto quel che vado scrivendo su Nusquamia, ormai da due anni – lo dico per coloro che non capiscono, per obiettivi limiti intellettuali o che fanno finta di non capire – dovrebbe essere chiaro che: a) sono contrario a ogni tipo di prevaricazione, sia maschile sia femminile; b) ritengo spregevole la posizione di chi si mette dalla parte del più forte, in questo caso dalla parte delle femministe alleate con la lobby Lgbt, per passare all’incasso di un vantaggio elettorale, salottiero, accademico, di carriera o di qual che si voglia genere. In particolare, mi fanno pena i maschi “femministi”.
      Dunque, da parte mia non c’è alcuna indulgenza nei confronti dei comportamenti scorretti per non dire violenti, fino al cosiddetto feminicidio (che però si scrive con una M), nei confronti del cosiddetto sesso debole, un’espressione che ha tutta l’aria di essere un calco del latino sexus sequior, “il sesso che vien dopo”.
      Quel che qui vale la pena mettere in rilievo – dirò parafrasando Claudio Risé – è il disagio derivante dall’evanescenza delle specifiche identità sessuali maschili e femminili, prevaricata da una vulgata politicamente corretta che sfacciatamente professa indifferenza verso il dato naturale biologico. Ed è proprio questa l’indifferenza alla quale fa riferimento papa Francesco nelle accorate parole sulla «cosiddetta teoria del gender». Con questo non intendiamo “cammellare” il papa come fanno un giorno sì e un giorno no gli aziendalsimilprogressisti curnensi. Ho scritto così per ragioni di concinnitas: l’articolo è cominciato con le parole di papa Francesco, ed è piaciuto richiamarle a chiusura di questo ragionamento.

      • Bill Clinton? Non è migliore di Bill Crosby, ma l’ha fatta franca.
        Invece Monica Lewinsky è stata demonizzata


        Copertina della rivista New York Magazine, recante la fotografia delle 35 donne che accusano di stupro Bill Crosby, il “carismatico” ideatore e interprete della fortunata serie televisiva ‘I Robinson’.

        La femminista intelligente Camille Paglia, colei che liquidò la patrona di Curno, l’ormai famigerata Marta Nussbaum, come «vestale del politicamente corretto», attacca le femministe americane. E lo fa, ormai da un po’ di tempo, quando sarebbe stato così facile per lei, femminista storica, salire sul carro delle femministe vincitrici. Leggiamo questa sua presa di posizione nella sezione “R2 Cultura” della Repubblica oggi (7 agosto) in edicola.
        Prende lo spunto dalle traversie giudiziarie di quel simpaticone di Bill Crosby, colui che interpretava il dott. Robinson, accusato di stupro facilitato dall’ingurgitazione condivisa di stupefacenti da parte delle sue vittime. E osserva:

        L’orrenda verità è che l’establishment femminista degli Stati Uniti, Gloria Steinem [‘una femminista storica’: N.d.A.] in testa, di fatto riservò un trattamento di favore a Bill Clinton perché apparteneva al partito democratico. […] Il dato di fatto è che Bill Clinton era un molestatore seriale di donne della working class: anche quando era governatore dell’Arkansas aveva sfruttato questa disparità di potere. Quanto a Monica Lewinsky, il fatto che Gloria Steinem e compagne non l’abbiano difesa rappresenta una macchia terribile nella storia del femminismo.
        […] Hillary ha molte responsabilità perché ha assunto una posizione ostile e sprezzante verso chi accusava suo marito.
        […] Nessuno parla oggi di sessualità in termini di bisogni emotivi, simbolismo, retaggio dell’infanzia. La sessualità è stata politicizzata: “Nessuna domanda!”. “Niente discussioni!”. “I gay sono assolutamente identici agli eterosessuali!”.

        Balza agli occhi la differenza tra una femminista intelligente e le femministe pecorone: Camilla Paglia, femminista intelligente, aborre dalla determinazione assertiva e ritiene che gli slogan, cominciando da quelli più efferati, debbano essere “notomizzati” come sul tavolo dell’anatomopatologo. Altro che condivisione, bisogna ragionare. E adesso, care femministe, provate a sbranarmi, se ci riuscite.

    • Le club sud permalink

      Nemmeno la Chiesa sembra aver idee appena appena chiare su immigrazione e accoglienza. Basta leggere l’editoriale di Avvenire di ieri 11 agosto, a cura di certo Giulio Albanese. Anche i preti dovrebbero fare ragionamenti più scientifici e meno pressapochisti e oscuri, per non dire altro.

      • Quelli che vogliono “cammellare” papa Francesco: oh yeah!


        La ‘Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del cittadino’ del 1789. La rivoluzione francese ebbe meriti e demeriti, ma i meriti prevalgono sui demeriti. La stessa cosa può dirsi della Chiesa cattolica, in una prospettiva storica. Gran parte di questa Dichiarazione è confluita nella ‘Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo’ adottata dalle Nazioni Unite nel 1948. Abbiamo fatto riferimento più volte a quest’ultima Dichiarazione quando i similprogressisti curnensi fecero finta di non accorgersi della violazione dell’art. 18 comportata dall’iniziativa del Pedretti (ispezione della c.d. moschea, in modalità di provocazione, fortunatmente sventata in extremis da Gandolfi). In quell’occasione i similprogressisti, spalleggiati dalla stampa anglorobicosassone, coprirono il Pedretti, per astio antigandulfiano. Abbiamo perfino curato una bella edizione della Dichiarazione dei diritti dell’Uomo (vedi), ma lorsignori sprezzantemente fecero lo gnorri, perché così gli conveniva. O,a quel tempo, gli sembrava che convenisse. In compenso, adesso, vorrebbero “cammellare” il papa.

        Ho letto l’articolo sull’Avvenire e mi sembra che, da un lato, renda un pessimo servizio a papa Francesco; d’altro lato il suo autore, che è un giornalista, ma soprattutto è un padre comboniano sorridente e moderno, docente di “Giornalismo missionario/giornalismo alternativo” [*] presso la Pontificia Università Gregoriana di Roma, fa un’analisi politica disastrosa. Si veda Migranti, il dovere della Chiesa e quello dei media.
        Riguardo a papa Francesco, ribadisco quanto ho già scritto: non dimentichiamo che papa Francesco è un gesuita, non dimentichiamo che colui che fu sul punto di innescare una terza guerra mondiale fu John Kennedy, il presidente “buono”, e che colui che diede inizio alla politica di distensione con la Cina, disinnescando una possibile terza guerra mondiale, fu Nixon, il presidente “cattivo”. Dunque coloro che, credendo di essere furbi, pensano di “cammellare” papa Francesco, farebbero bene a indossare mutande di cuoio, perché potrebbero ben presto assaggiare la frusta evangelica di papa Francesco sulle loro chiappe.
        Questo discorso vale in particolare per tutto quel sottobosco di markettari, aziendalisti e idolatri di una mal digerita “modernità”, della quale ovviamente non capiscono niente, in difetto degli strumenti intellettuali per capire qualcosa. In sostanza, non dimentichiamo l’eterogenesi dei fini (e se la sciura Rusina non capisce, chissenefrega: quando si ragiona, si ragiona; e si ragiona con le persone con cui interessa ragionare, tanto più che la sciura Rusina non capirà mai). [**]
        Ecco, a me sembra che padre Giulio Albanese, che voleva fornire argomenti a coloro che intendono cammellare papa Francesco, abbia reso un pessimo servizio al pontefice. Purtroppo non è il solo. Purtroppo la cosa non appare in tutta la sua drammaticità come, a nostro avviso, dovrebbe. E la ragione è tutta qui: sono pochi, troppo pochi, coloro che, come noi, contrastano con argomenti razionali le manovre dei furbastri che potremmo chiamare i “professionisti del terzomondismo”, per analogia ai “professionisti dell’antimafia” dei quali parlò a suo tempo Sciascia, per cui fu coperto di insulti (vedi Leoluca Orlando Cascio, che poi cercò di appropriarsi di Sciascia, raccontando la storia di esserlo andato a trovare in punto di morte ecc.). Invece tutti hanno nelle orecchie le intemerate di Salvini che fa leva sulla parte bestiale dell’animo umano che alberga in tutti noi e, come se non bastasse, la alimenta per trarne un lucro elettorale. E allora si fa il seguente ragionamento:
        • Salvini contrasta i professionisti del terzomondismo;
        • Salvini è becero;
        • dunque, chi contrasta i professionisti del terzomondismo è becero.
        Ma è un ragionamento del cavolo. Potrei dimostrarlo facilmente, ma avrei bisogno di un blocchetto di testo che appesantirebbe il discorso, semmai daremo la dimostrazione a parte (bella e intuitiva è la dimostrazione che fa ricorso ai diagrammi di Venn).
        Padre Albanese esordisce da un presupposto ineccepibile: «Il primo impegno per tutti, ma davvero per tutti, è chiedersi quali siano le vere ragioni del grande esodo, rispetto al quale l’Europa, nel suo complesso, ostenta un algido cinismo». Dice bene anche quando afferma che «la propaganda di sospetto e d’odio condotta da jihadisti e politici senza scrupoli lascia il segno, persino in persone generose e sensibili». Proprio come dicevamo noi, quando in una precedente pagina di Nusquamia, parlavamo della necessità di contrastare gli «opposti paraculismi».
        Ma ecco dove casca l’asino, dove l’analisi politica di padre Albanese, nel fornire argomenti di pronto uso per i “cammellanti” di papa Francesco, risulta disastrosa. Dopo aver correttamente affermato che il nodo del problema è nelle cause dell’emigrazione, si dimentica che buona parte dei profughi che oggi approdano alle sponde dell’Italia fuggono da paesi dove vigono dittature feroci, dove i cristiani sono ammazzati, dove comunque si ammazzano gli oppositori o coloro che hanno la colpa di appartenere a etnie diverse e non gradite. A questo punto il Nostro (cioè, padre Albanese) – oplà! – si produce nella generica affermazione terzomondista sulla «miseria di popoli ai quali abbiamo imposto oneri a non finire e negato ogni rappresentazione mediatica per poter continuare a condurre un’indisturbata predazione delle risorse delle terre dove vivono». Attenzione: non nego che sia esistita, e che esista, una «predazione». Dico che se dobbiamo abbattere le cause per cui tanti profughi abbandonano le loro case e si mettono in viaggio, pur consapevoli dei pericoli che affrontano, dobbiamo cominciare con l’estirpare la causa principale, quella alla quale non possiamo essere indifferenti, cioè i dittatori e coloro che seminano terrore.
        In altre parole, dobbiamo chiedere che in Europa comincino a occuparsi un po’ meno del raggio di curvatura delle banane e si pensi a una politica di dissuasione – a vari livelli, e, se necessario e in ultima analisi, prendendo in considerazione l’ipotesi di un intervento bellico – inteso a contrastare e, se possibile, estirpare le cause.
        Insomma, propongo ancora una volta un ritorno alla ragione:
        • Esiste innegabilmente un’emergenza dei profughi costretti ad abbandonare le loro case, i quali hanno diritto d’asilo in base ai principi fondativi delle moderne democrazie, stabiliti nella Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del cittadino formulata al tempo della Rivoluzione francese (1789) e riformulati dalle Nazioni Unite nel 1948. A questa emergenza è giusto e doveroso rispondere, nell’immediato, con una politica di accoglienza che, tra l’altro, potrebbe non essere quella jattura che Salvini vuol darci a intendere. Già ma lui fa leva sulla paura e sui complessi di inferiorità della plebe, figurati se desiste, visto che ne ha un lucro elettorale. Ma bisognerebbe mettere in atto una strategia di coordinamento dell’accoglienza gestita da persone capaci e disinteressate, nell’interesse congiunto dei profughi e del paese di accoglienza, l’Italia, resistendo al canto delle sirene terzomondiste, quando le sirene intonino il coretto della solidarietà mistificata, che in realtà è una solidarietà egoista. Cantano infatti pro domo sua.
        • La persistenza delle cause che spingono tanti profughi ad abbandonare il tetto natio [***] e i loro cari non può essere considerata un’emergenza. È un dato di fatto che è permanente, oggi come oggi; e che continuerà a esser tale soltanto se si rinuncia ad abbattere le cause. Dunque bisogna pensare seriamente a un sistema di abbattimento, nell’ipotesi di un intervento che, per quanto graduale, dev’essere immediato. Una risposta efficace non è necessariamente quella più, per così dire, devastante: è quella che mostra al meglio la volontà di combattere e che dispiega tale volontà nelle modalità più giuste e nel momento giusto. Insomma siamo al vecchio adagio Si vis pacem, para bellum.

        Concludo esortando le gerarchie cattoliche, in particolare quelle periferiche, a non farsi cammellare dai furbetti che “cammellano”, o hanno intenzione di “cammellare”, papa Francesco, Fanno così perché pensano fondamentalmente al proprio vantaggio in termini di accreditamento di se stessi come anime belle o, quel che è peggio, in termini di progressione di carriera nei partiti, nelle correnti dei partiti e, più in generale, negli ambienti che contano della stramaledetta e cosiddetta società civile. Sono consapevole del fatto che è difficile resistere all’azione avvolgente di certi gruppi cattoprogressisti, per esempio quello della “Convivialità delle differenze” operante anche a Bergamo. Questi gruppi offrono pacchetti di pubbliche relazioni già belli e confezionati e con ritorno mediatico garantito: basti pensare alla gestione di Vera Baboun, sindachessa di Betlemme e ricercatrice a livello universitario nell’ambito della tematica di “genere”, in qualità di madonna pellegrina in terra orobica. Ma, se volgiamo lo sguardo indietro, se sfogliamo le pagine degli annali della Storia, troviamo che la Chiesa ha dato il meglio di se stessa proprio nei momenti difficili. Questo è un momento difficile, che non tollera le scappatoie facilone dei convivialisti.
        Le gerarchie cattoliche farebbero bene a non sopportare di essere tenute sotto schiaffo dai gruppi organizzati cattoprogressisti che sempre più si configurano come gruppi di pressione non dissimili da quelli dell’odiata massoneria cosiddetta deviata del «materassaio» (copyright di Cossiga) Licio Gelli. Quelli, se tu gli dài un dito, ti prendono il braccio.

        —————————————-
        [*] Qualcuno potrebbe pensare che questa cattedra me la sono inventata io. Invece no, basta leggere il diario in rete (cosiddetto blog) di padre Giulio Albanese, significativamente intitolato, con evidente ansia di modernità, Missionari digitali [http://missionidigitali.blog.testimonidigitali.it/wordpress-mu/chi-sono/]
        [**] Dal Dizionario di filosofia Treccani: «Eterogenesi dei fini – Principio formulato da Wundt, secondo il quale le azioni umane possono riuscire a fini diversi da quelli che sono perseguiti dal soggetto che compie l’azione; in partic., ciò avverrebbe per il sommarsi delle conseguenze e degli effetti secondari dell’agire, che modificherebbe gli scopi originari, o farebbe nascere nuove motivazioni, di carattere non intenzionale».
        [***] Come nel coro O Signore dal tetto natìo nei Lombardi alla prima crociata, intonata da crociati, pellegrini e donne. Vedete? Ci fu un tempo in cui la Chiesa promuoveva le crociate. E i crociati, i crucesignati, combattevano, mica t’ho detto cotica! Ma qui non si tratta di una expeditio crucis, come si diceva per “crociata” (o bellum sacrum). Qui si tratta, più semplicemente, per dirla con un termine renzista, di asfaltare i dittatori, perché noi non abbiamo risorse sufficienti per accogliere tutti i profughi che essi “producono” a getto continuo.

      • Il golden afgano permalink

        Sembrerebbe che dalle parti di Avvenire abbiano letto quel che lei ha scritto più sopra, e in parte abbiano cambiato (ma non aggiustato) il tiro. Coi due editoriali di ieri e oggi, da leggere congiuntamente in quanto scritti in obbligata difesa delle parole del segretario della Cei, Mons. Galantino, mi sembra si siano avvitati in una posizione senza dubbio comprensibile, ma assai discutibile e scomoda, insostenibile in relazione alla realtà sociale, economica e politica.

        • Quando i preti “digitali” tengono sotto schiaffo le gerarchie cattoliche

          Non credo proprio che dalle parti di Avvenire siano stati indotti alla ragionevolezza dalle mie parole. Vedo dei tentativi di correggere la rotta. Ma non vedo ancora il capitano che sale su per la biscaglina e porta la nave dell’episcopato italiano in acque ragionevoli. Credo che avvenga nelle gerarchie cattoliche qualcosa di simile a quel che avvenne nel ’68 nella cosiddetta società civile (che allora era un po’ meglio di quella attuale, ma che comunque non fu all’altezza del momento storico) e nelle istituzioni. Peggiore ancora fu il dopo ’68, che in Italia sembrava sempiterno, finché non si arrivò alla reazione dell’edonismo reaganiqano, con Craxi. E fu come cadere dalla padella nella brace. Sia come sia, tutto, cioè tutto il male, comincia di lì.
          In quegli anni che segnarono la strada della decadenza irreversibile, ormai, dell’Italia, alcuni in buona fede, i più per codardia, altri per calcolo si adagiarono alle mode del momento, alle richieste più folli. C’era chi cercava di accumulare energia sessuale rinchiudendosi nelle casse orgoniche (erano i seguaci di quel pazzo, di Wilhelm Reich), chi pensava di costruire una società senza maschi, chi voleva dare uno stipendio alle casalinghe, proprio come oggi si pensa di dare accoglienza a tutti i rifugiati, senza tener conto del I principio della Termodinamica e così via.
          Tutti credevano, o facevano finta di credere, che esistesse l’albero degli zecchini d’oro. Chi lo negava era politicamente scorretto. In questo delirio alcuni pazzi di talento fecero anche cose interessanti, ma soprattutto di quel clima di confusione, di quell’orrore ideologico, per cui il desiderio di una realtà diversa faceva aggio su ogni considerazione intorno alla struttura della realtà da rivoltare, si avvantaggiarono, non poco, i mediocri, coloro che avevano segreti rovelli acquattati nelle pieghe tenebrose della mente. Ma, proiettati su uno scenario di mistificazione politica, quei rovelli diventarono punti di merito. Di quella confusione si avvantaggiarono soprattutto coloro che, di estrazione popolare ma furbi — com’erano furbi gli scugnizzi napoletani nel dopoguerra, perché avevano assaggiato le difficoltà di una vita che non faceva sconti a nessuno — diventarono capitani d’industria, alti funzionari dello Stato, gran papaveri nei partiti e nelle istituzioni. Per loro sottomettere i frocetti della buona borghesia fu uno scherzo, tanto più che i frocetti parevano contenti. Ci fu la grande infornata dei buzzurri al potere. Facevano carriera a norma di cacata carta, oltre tutto, perché sventolavano lauree estorte con la violenza.
          La borghesia all’inizio del “movimento” o reagì male (cosiddetta maggioranza silenziosa, spesso sediziosa, fascisti ancora legati, a Milano, al ricordo di Leccisi, colui che aveva trafugato la salma di Mussolini ecc.) oppure non reagì, anzi le “anime belle, come direbbe Goethe, sembravano inebriate. Le vecchie zie offrivano alloggio e denaro ai nipoti che si pretendevano rivoluzionari (ma i dirigenti del Pci storcevano il naso, i fatti avrebbero mostrato che avevano ragione): per loro era una botta di giovinezza, si sentivano “ggiovani”, se tutto andava bene ci scappava anche una scopata con l’amico del nipotino: un dono insperato, una benedizione! Le mogli degli industriali si sentivano giovani, volevano carne fresca, e quelli volevano dimostrare alle mogli che erano giovani anche loro, anche se a giudicare dalla panza non sembrava. E comunque, per quanto si adoperassero, non potevano scongiurare le corna.
          Padre Eligio, cappellano del Milan, si vantava di portare le mutande rosse, padre David Maria Turoldo scriveva pessime poesie, alquanto narcisistiche, mentre Silvano Girotto meglio conosciuto come “fratello mitra”, frate francescano inquieto, cercava l’avventura in America latina, combatteva contro il fascismo cileno; poi tornò in Italia, fu collaboratore prima delle Brigate rosse, poi del generale della Chiesa.
          Ci sono due film di Scola che rappresentano bene quel clima, C’eravamo tanto amati, più sul lato popolare, e La terrazza, che analizza lo smarrimento (per esempio, dei comunisti all’antica) e l’estasi (per esempio, delle femministe in carriera) della borghesia.

          Ecco, mentre la società cosiddetta civile italiana oggi si trastulla con ideuzze minimaliste, preoccupata di mantenere i propri privilegi, ma per niente rivoluzionaria e, anzi, pretendendo di soffocare ogni iniziativa con la sua autorevole e — per definizione — istituzionale tutela, mi pare che le gerarchie cattoliche siano sotto schiaffo. Ci sono gruppi di cattoprogressisti organizzati, ben presenti nel sistema della comunicazione e delle pubbliche relazioni, preti e frati “digitali”, che in nome della Chiesa prendono iniziative, stringono alleanze con pezzi delle istituzioni più o meno deviati, o devianti, in funzione di un comune desiderio di affermazione della propria sfera d’influenza. La Chiesa reagisce male, proprio come reagì male la borghesia italiana all’ubriacatura del ’68.

      • Fossa lignea permalink

        Mi complimento con lei per il paragone colto e molto appropriato, che mi ha fatto ragionare su pezzi di storia che anch’io ho vissuto. Non mi dispiacerebbe leggere qualche tentativo di discussione sullo spinoso argomento da parte del signor Max Conti, rappresentante a Curno del Pd tendente a calarsi nella fossa e scomparire.

      • Il nord ingoia clave permalink

        Ci dovremmo aspettare commenti degni d’esser tali dal solito (e prematuramente scomparso) Salice frignante? Magari! Max Conti ha importanti incarichi in Provincia, rappresenta il Pd a Curno, ambisce ad alte cariche nella scia della domina Maria Antonia Svizzera, ma, come tutti i politicanti del Nord, non ha mai mostrato d’essere in grado di saper sostenere argomentazioni valide su temi importanti e interessanti. Così, siamo in balia di parolai toscani o di più giù, capaci di tenere banco per ore senza dire mai nulla di concreto. E noi siamo in braghe di tela.

      • Ambisci arte sonatina permalink

        La suonata, anzi, la sonatina è sempre quella: se ci sono questioni serie sul tavolo, la loro arte è quella di nascondersi in qualche buca e scomparire.
        In questo caso, poi, quello del mrtito della polemica sollevata dal monsignore, i felloni hanno più paura del solito, perché è in ballo quello stesso sistema che qualcuno a Roma ha potuto trasformare in mafioso e violatore dei diritti umani, per assenza di doverosi controlli, e che pari pari, come schema di base, lasciato alla sola onestà e buona volontà degli operatori, è stato applicato a Curno. Del resto, è stato per decenni lo schema socio-economico di base del P.c.i., assunto oggi dal Pd.
        Attenzione! Perché la sonatina potrebbe anche cambiare e forse non basterebbe più un certo tipo di arte.

      • Tombini saran asciate permalink

        Questo voler nascondere la testa sotto la sabbia da parte della comunicazione cattolica pone anche tale questione in un vicolo cieco. Salvini parla di tombini, quasi a voler chiudere una stagione politicante per andare in un’altra direzione (quale di preciso?).
        [Salvini non lo sa, dice di chiedere a Claudio Borghi, l’“economista”. E l’economista dice tutto quel che dice Salvini. Hanno inventato il moto perpetuo, alla faccia del primo principio della termodinamica. Ma Salvini & Borghi non sono gli unici buontemponi. Potrebbero un giorno attovagliarsi tutti insieme, a Roma, al ristorante di Giggetto er pescatore: Salvini, Borghi e quelli della convivialità delle differenze. N.d.Ar.]

        Ma anche i tombini hanno bisogno di basi solide per essere posizionati e sigillare qualcosa, mentre qui le basi sono sgretolate. La nuova direzione deve essere perciò qualcosa di epocale e non se ne vede traccia all’orizzonte. Il rischio è di finire ad asciate, per tutto un po’, a partire dal grandissimo problema dell’immigrazione

        • Tombini di ghisa

          Salvini parla dei tombini di ghisa, come simbolo di concretezza. Bene, bravo, quasi meglio di Berlusconi, quando ancora doveva prendere il potere (ma quando vi arrivò, si accorse con rammarico che non bastava entrare nella “stanza dei bottoni” per comandare. Anche perché di stanze dei bottoni ce ne son tante; e così Berlusconi, che pure all’inizio voleva far qualcosa, non fece un bel tubazzo di niente).
          Ecco un discorso di Salvini, nel quale i tombini di ghisa non potevano mancare:

      • Petra Groa permalink

        Il segretario generale della Cei, mons. Galantino, scelto direttamente da Papa Francesco in sostituzione del precedente segretario e non particolarmente “amato” dal cardinale Bagnasco, presidente della Cei stessa, ha cambiato tiro: nella relazione presentata alla Fondazione de Gasperi ha definito tutti i politicanti italiani quali componenti un puzzle di ambiziosetti pro domo propria all’interno di un harem di cooptati e furbi.
        A qualcuno la definizione potrebbe sembrare leggera, ma i “senzafaccia” si sono offesi ugualmente: segno che si sono sentiti punti sul vivo.
        Però il monsignore nel prosieguo del suo scritto non ha spiegato né come mai non si è accorto prima della situazione né cosa intende fare d’ora in poi per preservare le comunità dei fedeli da tanta perversione morale. Per una volta gli sono scappati i cavalli? E ora?
        Lo invitiamo a un colloquio chiarificatore con la dott. Serra, con Locatelli, col nonno imperiale, coi Cavagna, col trio Pedretti-Ululà-Belotti e con la bella Carrara? Sarebbe opera buona, perché si ricrederebbe subito e ammetterebbe d’essersi profondamente sbagliato.

        • Poiché monsignor Galantino si occupa di politica e non è l’ultimo degli arrivati, rivolgiamo a lui la stessa esortazione che siamo soliti rivolgere ai due Mattei

          Cioè, se ho ben capito, lei, signora Petra Groa, sostiene che monsignor Galantino farebbe bene a non fare di ogni erba un fascio. Se infatti venisse a Curno – mi dica se sbaglio nell’interpretare il suo pensiero – monsignor Galantino si renderebbe conto che Curno è un paese bello da vivere, proprio come sostengono i similprogressisti e che la classe politica locale è di prim’ordine. Bene, se questo è il suo pensiero, non ci metto lingua.
          A me preme, in realtà, mettere in luce che monsignor Galantino ha ragione quando afferma che «la politica che siamo stati abituati a vedere oggi, è un puzzle di ambizioni personali all’interno di un piccolo harem di cooptati e di furbi». Ha ragione da vendere. Ma mi domando:
          a) Come mai monsignor Galantino se ne accorge soltanto oggi? È quel che si domanda anche lei. Ma monsignor Galantino potrebbe rispondere che prima non era nella posizione per poterlo dire. Bene, se le cose stanno così, che lo dica e, soprattutto, che si faccia promotore di un autodafé all’interno della Chiesa cattolica. Dopotutto abbiamo illustri precedenti: papa Wojtyla, per esempio, chiese perdono per la condanna di Galileo. Fu un gesto molto apprezzato dalle persone ragionevoli di qualunque fede e non-fede. Si veda Il Vaticano cancella la condanna di Galileo.
          b) Perché monsignor Galantino non ci dice quel che lui intende fare o quel che, secondo lui, si dovrebbe fare per rimediare al degrado della politica che – siamo d’accordo con lui – è vergognoso? In particolare, vorremmo sapere quel ceh la Chiesa intende fare. Un tempo la Chiesa scomunicava. E adesso?
          c) Si rende conto mons. Galantino che quando accusa la casta politica di essere una cerchia di “nominati”, anche quando la cooptazione sia passata per il responso delle urne, soggetto comunque a ignobili manipolazioni (anche qui siamo d’accordo con lui), l’accusa ai “nominati” viene da uno che egli stesso è “nominato”? Infatti, monsignor Nunzio Galantino è stato nominato segretario generale della Conferenza Episcopale Italiana, ad quinquennium, da papa Francesco. Mica è stato eletto dai fedeli dopo «ampio dibattito democratico», magari anche con le primarie, che vanno di moda (e che sono l’ennesima presa per i fondelli), senza i colpi bassi del controllo del sistema di comunicazione e delle pubbliche relazioni.
          Aggiungo infine:
          d) Apparentemente, monsignor Galantino si trova davanti ha un dilemma: i) per mantenere coerentemente le proprie posizioni, ed essere credibile, dovrebbe postulare la liquidazione del Vaticano: proprio come vuole don Mazzi, il quale ieri diceva che, se fosse per lui, in quattro e quattr’otto il Vaticano verrebbe venduto al miglior offerente; [*] ii) per conservare la sua visibilità mediatica senza tuttavia adoperarsi perché le cose cambino nella stessa Chiesa, dovrebbe accettare uno sputtanamento della Chiesa stessa. Infatti è materialmente impossibile che la Chiesa passi dall’oggi al domani alla nuova etica proposta da mons. Galantino: per esempio, aprendo i conventi agli immigrati, trasformando i suoi immobili in centri di accoglienza a geometria variabile ecc. E se la Chiesa non mostra di fare quel che dice (agli altri) che si debba fare, la Chiesa è sputtanata.
          In realtà, esiste una terza via, cioè – come dicevano i logici – è possibile passare per le corna del dilemma. Monsignor Galantino rinunci alla visibilità mediatica e si dia concretamente da fare perché siano sputtanati gli uomini politici, e non la Chiesa. È quello che hanno fatto tanti uomini, uomini santi, prima di lui. E stiamo attenti a vendere il Vaticano. Bene o male, la chiesa ha svolto una funzione civilizzatrice. E ha potuto fare il bene proprio anche perché non era povera, anche perché era potente. Don Mazzi vede le cose in una prospettiva angusta, non vede oltre le necessità della sua comunità di ricupero (o delle sue comunità, non so). Qui invece bisogna ragionare in una prospettiva storica. Sono cose che il principe di Salina mostrava di aver capito benissimo: si veda nel Gattopardo il suo colloquio con don Pirrone.
          Insomma, io non dico che monsignor Galantino non deve prendere di punta Salvini. Però, se ha deciso di muovere guerra a Salvini, lo deve fare in maniera intelligente. Non sarebbe la prima volta che la Chiesa si occupa di politica. Salvini non faccia la verginella, a meno che la sua non sia ignoranza schietta. In effetti, anche qui siamo d’accordo con Galantino, il fascioleghista Salvini è pericoloso per la tenuta democratica del paese e il suo egoismo platealmente professato, al pari di quello degli aziendalisti, tutto può dirsi tranne che cristiano.
          Ma se monsignor Galantino commette gli stessi errori commessi dal cardinal Martini a suo tempo, che regalò una messe di voti alla Lega nord, non è intelligente, non è furbo e fa il male della Chiesa.
          Quando monsignor Galantino parla di «un popolo che freme e che chiede di essere portato a comprendere meglio la complessità dei passaggi della storia» fa in sostanza il discorso della dott.ssa Serra. Lui dice che il popolo deve essere obbligato a condividere. Deve ingurgitare la condivisione. Ma allora il popolo s’incazza e vota ancora di più per Salvini.
          Se monsignor Galantino vuol far mancare il terreno sotto i piedi di Salvini (cosa in linea di principio legittima, anche se occorrerebbe una riflessione sull’opportunità dei tempi e dei modi), deve in primo luogo mostrarsi preoccupato, e soprattutto deve preoccuparsi veramente, per la condizione di marginalità e di povertà nella quale un numero crescente di italiani si trova. Dovrebbe cominciare a strigliare chi ha responsabilità di governo: qui sono costretto a dare ragione a Salvini. Quindi deve: a) mostrare quanto sia ignobile riempirsi la pancia di voti aizzando la plebe e non facendo niente per migliorarne le condizioni (è quello che facevano i sindacati, ai quali facevano comodo le masse di lavoratori incazzati); [**] b) smontare la fallacia degli argomenti salvineschi; c) avere il coraggio di affrontare l’argomento della «società dello spettacolo» che, in questo caso, è il nodo della questione. Mussolini e Hitler fecero un uso intelligente e spregiudicato della radio, ieri i partiti (e non soltanto Berlusconi) facevano un uso sciocco e ottundente della televisione, oggi si ricorre alle miserie degli eventi di massa, dei tweet superficiali e dei messaggi via Facebook, pilotati dai guru della McKinsey nel caso di Renzi e certificati dal Web-filosofo veronese e dall’”economista” Claudio Borghi nel caso di Salvini. Come si vede, in fatto di manipolazione della psicologia di massa, dai tempi di Mussolini siamo scivolati sempre più in basso.
          Insomma, noi ci attendiamo da monsignor Galantino che si passi dai proclami ai fatti. Magari, anche gradualmente. Ci accontentiamo anche di piccoli passi. Per esempio, il giornale della Curia di Bergamo, che soprattutto sotto la direzione di Ongis fu spietatamente antigandulfiano, dovrebbe contribuire alla rifondazione della “buona politica” a Curno (uso questa locuzione con ironia ed evidente riferimento alle “buone pratiche Lgbt” e alla “buona scuola”): altro che dare una mano al Pedretti che intendeva scacciare Fassi e Donizetti dal gruppo consiliare di appartenenza, altro che infiggere “spilli” ammonitori sulle chiappe di Gandolfi che, secondo loro, avrebbe dovuto subire le azioni di disturbo del Pedretti senza fiatare! Altro che la pubblicazione dei comunicati stampa della fasciofemminista! Altro che le foto della Toyota con la sindachessa fasciata e tricolorata! Come si vede, ci accontentiamo di poco. E non chiediamo a monsignor Galantino niente di più di quel che siamo soliti chiedere ai due Mattei. Meno parole, minor esposizione mediatica e più fatti. Fatti anche modesti, ma fatti.
          .
          ———————————————
          [*] Una Chiesa povera? – Ometto la dimostrazione del passaggio, inevitabile, dalle posizioni del mons. Galantino alla povertà della Chiesa. Qualora non fosse evidente (come appare evidente a don Mazzi, che è sulle posizioni di Galantino) possiamo parlarne. Non basta, evidentemente, sostituire la croce pettorale d’oro con una croce di latta, come ha fatto papa Bergoglio. Quello è solo un fatto simbolico che a noi razionalisti, ma non pregiudizialmente avversari della Chiesa, non è piaciuto granché. È stato un gesto corrivo alle esigenze della società dello spettacolo. Papa Francesco dice cose straordinarie, alle quali plaudiamo sinceramente: come quando, parlando ai prelati della nunziatura, li mise in guardia contro i pericoli del narcisismo e del carrierismo. Quando, in buona sostanza, senza nominarla, prende posizione contro l’etica protestante del capitalismo. Quando, proprio ieri, ammoniva i fedeli con queste parole: «Quando il lavoro si distacca dall’alleanza di Dio con l’uomo e la donna, quando si separa dalle loro qualità spirituali, quando è in ostaggio della logica del solo profitto e disprezza gli affetti della vita, l’avvilimento dell’anima contamina tutto: anche l’aria, l’acqua, l’erba, il cibo…». Insomma il profitto avvelena l’anima, ed è evidente che il papa non parlava della “famiglia” Lgbt. Sì, papa Francesco dice cose meravigliose, ma scivola su fatterelli, espressioni e decisioni che sono degni più di una damazza delle terrazze romane o dei salotti milanesi che di un pontefice.

          [**] Le acciaierie di Bagnoli, i sindacati, Salvini – Si veda, per esempio, il caso delle acciaierie di Bagnoli. Era evidente, da un bel po’, che erano fuori mercato. Pur non essendo noi mercatisti, ci pare assurdo mantenere in vita impianti che consumano più di quanto producono (questo non era all’inizio il caso delle acciaierie di Bagnoli, ma era il caso, fin dall’inizio, dell’impianto Eurallumina in Sardegna. Un impianto che non avrebbe mai dovuto essere costruito. Adesso dicono che debba riprendere la produzione). E allora a Bagnoli occorreva prendere atto della situazione qual era, favorire la dismissione dell’impianto e la conversione dei lavoratori in lavoratori autonomi, nel campo dell’industria agroalimentare e del turismo, per esempio che da quelle parti ha (avrebbe) enormi possibilità di sviluppo. Parimenti si sarebbe dovuta attivare un’azione di repressione spietata controla camorra, che avrebbe imposto il pizzo ai lavoratori autonomi. Così però il sindacato avrebbe perso potere. Risultato: si cazzeggiò fin quando fu possibile, poi si misero i sigilli all’impianto e la produzione fu trasferita in India (se non sbaglio).
          Per creare nuovi posti di lavoro — così si diceva — trasformarono l’area di Bagnoli in una pretenziosa “Città della scienza”, una cacata pazzesca, bassoliniana (ci sono stato), al cui confronto il Bibliomostro curnense è un granello di sabbia. Così si sprecò denaro pubblico, “a schiovere”. Adesso la Città della scienza è chiusa, dopo un incendio doloso, camorristico, che l’ha distrutta. Ce ne siamo occupati su Nusquamia nell’articolo In cenere il simbolo del Rinascimento napoletano degli anni ’90.
          Fuori di metafora, per chi non avesse capito: a Salvini fa comodo il disagio degli italiani marginali o marginalizzati (i giovani disoccupati cronici, i cinquantenni che hanno perso il lavoro ecc.), proprio come ai sindacati facevano comodo i lavoratori di Bagnoli impauriti dallo spettro del licenziamento. Il sindacato non faceva niente perché si uscisse da quella situazione di stallo. Analogamente Salvini non aiuta Renzi — anzi, non lo costringe — a mettere a segno quelle poche cose concrete che il bullo fiorentino dice di voler fare, ma che non ha la forza di fare. Salvini non porta un contributo perché Renzi faccia quello che non può fare, non vuol fare e non sa fare. Meglio Berlusconi, allora. Salvini fa la politica del pire ça va, mieux ça est, cioè del tanto peggio, tanto meglio, perché di qui trae il suo lucro elettorale. Si fa vedere in giro accompagnato da quel suo segugio sempre affannato, l’“economista” ambiziosetto Claudio Borghi, che certifica con la sua pseudoscienza tutto ciò che Salvini dice. Così lui, Salvini, getta la palla oltre l’ostacolo, il gioco continua e lui ha il suo bel guadagno (per il momento). Quello di Salvini è un modo di fare politica indecente, immorale. Neanche i democristiani si comportarono mai così, consapevoli del fatto che per poter trarre un lucro elettorale e di potere, dovevano tuttavia dare al corpo sociale la possibilità di sopravvivere.

  3. Alla direzione nazionale del Pd credono forse di essere a Curno?


    Facendo clic sull’immagine si accede alla pagina del Fatto quotidiano che presenta l’incredibile, ma vera, registrazione del discorso fatto del battutista De Luca, presidente Pd della Regione campana (si dice “presidente”, e non “governatore”; si dice “Regione campana” e non “Regione Campania”: cazzo!).

    I fatti sono questi: è in corso una riunione della Direzione nazionale del Pd, il tema è la situazione del Mezzogiorno. Renzi ha appena terminato il suo intervento bullesco. Prende la parola De Luca il quale, per sollevare il morale dei convenuti, frantumato dai proclami dello scout ex democristiano, si produce in uno spettacolino che dovrebbe piacere alla platea. Infatti piace. Ma che cosa piace?
    Piace che De Luca abbia attaccato grevemente il direttore del Fatto quotidiano Peter Gomez: afferma di non ricordarne il nome, ma per certo quello – dice – è un nome tedesco (!); lo definisce «Un superfluo, un danno ecologico permanente, un somaro» (qui sembra di sentire il gatto padano nelle sue intemerate contro Aristide e Gandolfi: a quale livello si è abbassata la politichetta del Pd!). Quindi rincara la dose. E la platea ride. Ride perché ha la coda di paglia.
    Questo ci ricorda le risate della dott.ssa Serra che così intendeva chiudere per sempre, e seppellire, la questione della sua partecipazione, fasciata e tricolorata, alla campagna di pubbliche relazioni della Toyota. Tale partecipazione fu involontaria, dice la Serra; e non ne dubitiamo. Osserviamo però che se lei fosse stata un po’ meno superficiale, se avesse avuto un briciolo di quel senso critico che contraddistingue noi resistenti, avrebbe evitato di cacciarsi in quel guaio. Ergo, altro che ridere! Altro che dirsi «lieta» di contribuire «ad incrementare le vendite del concessionario Toyota di Curno»! E gli altri concessionari, allora? E gli altri operatori economici? Invece di ridere, la dott.ssa Serra bene avrebbe fatto a chiedere scusa per quella sua involontaria partecipazione.
    Dopo l’intervento di De Luca, Renzi ha preso di nuovo la parola, e ha detto: “Ma sì, non diamoci peso, era solo uno scherzo”. Oddio, ma come sono burloni, questi del Pd! E anche questo l’abbiamo sentito, più di una volta, a Curno. La battuta di caccia grossa ai due Gandolfi? Ma era uno scherzo! I risolini su Facebook di Locatelli e di Max Conti a proposito dell’aggetto siffredico? Ma su, via, si faceva per scherzare, mica per cattiveria. E tutti i tentativi di degradare Nusquamia a un supplemento del Barzellettiere, tutte le volte che abbiamo trattato temi scottanti per questo o quel signore della politica? E il voler far passare a tutti i costi per una lite di pollaio la difficile, dura e poco meno che disperata (per via del comportamento sleale della stampa anglorobicosassone) azione di resistenza ai numerosi tentativi di disturbo del Pedretti quando Gandolfi era sindaco? Ma dài, Aristide: ma che cosa vai a pensare? Sono solo battute, senza intenzione malevola. Sì, e io, Aristide, sono qui a farmi mettere nel sacco da voi, contadinamente astuti, miserabilmente armati delle vostre battutine, dagli aneddoti di sapore vernacolare, dalle vostre mossette, prevedibili, fra l’altro, e nemmeno intelligenti. Merda a voi!

    • Anche Crocetta, quando non sa che cosa rispondere, ride

      Dunque, la dott.ssa Serra è in buona compagnia. Politicamnte corretta. Bene, bene: contenta lei…

      • La via ridanciana alla politica
        Il presidente della Regione Campania poteva esplodere in una risata (adesso è di moda, quando si è in imbarazzo), invece ha fatto l’imitazione di Totò. E ha fatto ridere

        Si noti che il renzista De Luca, il presidente della Regione Campania, è, sarebbe, o era, tutt’altro che uno sprovveduto. È intelligente, soprattutto è un uomo di potere. Se si è comportato come si è comportato, sbottando contro il giornalista Gomez che gli ricordava il bacino elettorale dal quale aveva drenato i voti decisivi, è perché ha una coda di paglia che gli si è incendiata inesorabilmente. Ha preso fuoco, ha caricato a testa bassa contro il giornalista (non anglorobicosassone), se ne è uscito con espressioni grevi degne di un gatto padano curnense. Avrebbe voluto ridere, mostrare superba indifferenza nei confronti di chi gli chiede conto di quei voti – cioè, per dirla con il “proverbio” fiammingo – avrebbe voluto strofinarsi il culo sulla porta. Ma era troppo risentito. Quello che doveva dire, l’ha detto, era più forte di lui. Ma ha inserito gli insulti in una cornice che voleva essere un remake (come si dice oggi) di una scenetta di un film di Totò (si veda il video presentato in questa stessa pagina).
        Non riuscendo a cancellare l’addebito politico con una risata sonora, com’è di moda ultimamente un po’ dappertutto e, naturalmente, anche a Curno, ha deciso di metter su uno spettacolino: io non riesco a ridere, sono troppo incazzato, dunque ridete voi per me. E gli sciagurati renzisti risero. Questa è la via ridanciana alla politica, come i cittadini curnensi hanno ormai imparato a proprie spese. La Serra ride spesso, sempre più spesso. Ne prendiamo atto.

  4. Quando l’impero era sacro e romano

    Il cielo minacciava tempesta. Dopo tanti giorni di calura, non avevo intenzione di perdermela, quando mi trovai al porticciolo di Pescallo, che è una frazione di Bellagio. È un bel posto, qui le probabilità di incocciare in ominidi orrendamente calzati di sandali infradito sono minori, anche se (purtroppo) non nulle. Inoltre la difficoltà, per via degli scalini, non pochi, di raggiungere il centro di Bellagio via terra scoraggiano la presenza di vecchie babbione, per quanto dotate di pile Duracell, mamme insopportabili che urlano dietro a figli maleducati che già all’età di tre anni mostrano quel che saranno da adulti, coglioni col botto, teppisti o ambiziosetti “faccia da schiaffi” in carriera ecc.

    Feci poi quello che solitamente sarebbe sconsigliabile, recarsi cioè a Bellagio d’estate. Mi spingevano la necessità di acquistare una cravatta (ma, non avendo trovato quel che cercavo, rinunciai all’acquisto) e la sperata voluttà di godermi la pioggia.
    Presi dunque il sentiero che, svoltando a sinistra per la salita dei Cappuccini, mi avrebbe portato in quota, all’altezza della via Garibaldi che termina alla punta di Bellagio.

    Ma, proprio all’inizio del sentiero, notai una targa che aveva l’aria di essere antica, aggraffata alla facciata di un sobrio albergo che un tempo fu convento di suore (questo l’ho appreso dopo, guardando il sito dell’albergo) poi anche una farmacia. Leggendo la scritta attraverso l’obiettivo della macchina fotografica – a occhio nudo non ne sarei stato capace – mi avvidi che quella farmacia (“pharmacopoeia”) non era certo uno spaccio di creme solari, preservativi col carillon e pomate per ragadi anali. Quella farmacia fu «onorata dalla presenza» di due illustri Germani di dignità imperiale: Giuseppe II di Asburgo-Lorena, e Leopoldo II di Asburgo-Lorena, entrambi figli di Maria Teresa d’Austria, entrambi imperatori. Però, al tempo in cui la farmacia fu «onorata», Leopoldo non era ancora Leopoldo II imperatore d’Austria e Gran principe di Transilvania (questo è importante): era “solo” Leopoldo I granduca di Toscana. Fu un principe sagace e illuminato.

    Trascrivo l’iscrizione, conservando le lettere maiuscole conformi alle lettere incise, ripassate in epoca recente con vernice nera ma aggiungendo fra parentesi, in lettere minuscole, le lettere omesse, quando le parole siano state abbreviate.

    GERMANORVM PRINCIPVM / JOSEPHI II AVG(usti) / LEOPOLDI MAGN(i) ETRVR(iae) DVC(is) / PRAESENTIA PHARMACOPPŒAM HANC / DECORAVIT / MDCCLXXXV XV KAL(endas) IVL(ias) / NICOL(aus) MARENESIVS / P(er)PETVAM GRATI ANIMI MEMORIAM / CVRAVIT

    Traduzione:
    Questa farmacia / fu onorata dalla presenza / il 17 giugno 1785 / di due regnanti germanici / l’imperatore Giuseppe II / il Granduca di Toscana Leopoldo. / Curò / la memoria perpetua del suo animo riconoscente / Nicola Marensi.

    Osserviamo, infine:
    • la parola pharmacopoeia qui è scritta pharmacopoea, senza la “i”, come si dice oggi in italiano (“farmacopea”), nel significato però di “farmacia” e non in quello moderno di “prontuario di farmaci”
    • l’iscrizione originale è stata ritoccata dopo qualche tempo, a cura di un personaggio di impianto mentale trombonesco, che si è compiaciuto di fare una pisciatina rituale, alla maniera dei cani, per segnare il suo territorio pedantesco. Infatti:
    — ha corretto la “U” in “V”, come si vede esaminando un ingrandimento della foto; in effetti, solitamente nelle iscrizioni lapidarie – talvolta anche in italiano e sempre in epoca mussoliniana – si usa la capitale maiuscola latina;
    – la parola scolpita sulla lapide, per dire “farmacia”, era in origine PHARAMACOPÆA, ma lui, il pedante, ha voluto che si scrivesse PHARAMACOPŒA, perché – in effetti – la parola latina deriva dal greco (tardo) ϕαρμακοποιΐα (con il significato, qui, di “officina dei farmaci”), composto di ϕάρμακον “farmaco” e dal tema di ποιέω “fare”, e il dittongo latino “oe” corrisponde a quello greco “οι” di ποιέω; ma, a questo punto, dato che c’era, poteva anche aggiungere la lettera “i” al termine della parola, perché il passaggio pharmacopoeia >> pharmacopoea, anche se è comprensibile per ragioni eufoniche, dovrebbe comunque essere castigato da uno che corregge il dittongo “æ” in “œ”. [*]
    Si noti infine che, in epoca recente, chi ha ripassato le lettere ha privilegiato la “V” sulla “U”, e questo è giusto, visto che la scritta è stata “corretta” (ma era proprio necessario?). Però nella quinta riga si legge DECORAUIT (doveva ripassare la “V”), nell’ultima riga si legge CVRAUIT, dove prima era scritto CURAVIT, che era meglio.

    ————————————
    [*] Si veda per analogia la parola “prosopopea” che in greco greco fa προσωποποιία – da πρόσωπον, “faccia, persona” e ποιέω, “fare”] e che in latino fa prosopoeia che, a sua volta, passando in italiano ha perso la “i”.

  5. Signori similprogressisti, non lamentatevi se gente come Donald Trump e Matteo Salvini piacciono alla plebe: siete voi la causa della loro “piacenza”

    «Donald Trump è un noto tamarro…»: così esordisce Giuliano Ferrara in un articolo pubblicato sul Foglio del lunedì, in edicola il 10 agosto 2015, dal titolo Argomenti per una misurata tensione misogina (Donald Trump a parte). Donald Trump, come’è noto, è l’imprenditore statunitense, miliardario, molto discutibile sul piano del buon gusto, disgustoso con quel parrucchino rosso, formidabile gaffeur con ricaduta mediatica positiva, detestabile demagogo in grado di dare punti ai nostri due Mattei: ed è colui che risulta attualmente primo nei sondaggi tra i 17 candidati repubblicani per le presidenziali americane.
    Qui Ferrara, che ha una moglie femminista (italo-americana), ma intelligente, si domanda perché una parte qualificata dell’universo femminile intenda continuare a farsi del male sacralizzando i tabù del politicamente corretto e così dando spago a un tamarro come Trump. Insomma, le femministe fanno male alle donne come i similprogressisti fanno male ai profughi. Salvo poi meravigliarsi se gente come Trump va avanti, e se Salvini fa il baüscia con il Papa che loro vorrebbero cammellare.
    Se Donald Trump è un tamarro – dice Ferrara – «ciò non toglie che il parlare delle donne, il parlare con le donne, il parlare contro le donne sia una questione di stretta e pertinente attualità e problematicità, non uno scandalo non la violazione intollerabile di un tabù». Prosegue osservando che, in ogni caso, «le donne non sono una minoranza, sono la maggioranza e sono il nostro destino, inteso poeticamente e naturalisticamente come origine, nostalgia, amore, compagnonnage e principio del piacere. Sono anche salotto…, cultura… potere…» e, proprio per questo, «possono sopportare senza paura l’urto del desiderio e la vena sottile della misoginia maschile, una certa diffidente distanza, oltre che numerosi altri rischi del vivere e dell’essere». Arrivando alla fine del suo ragionamento, Ferrara osserva: «che una particolare petulanza si sia combinata con gli effetti mirabili della presa di parola femminile, è fatto accertato e verificabile in ogni situazione sociale, dalla famiglia alla spiaggia». Quindi auspica che finalmente sia dato alle stampe «un bel saggio sulla misoginia, sulle sue sfumature di verità» purché «a scriverlo sia un sentimentale senza complessi, un maschio galante e decoroso». Perché, in definitiva, «la grandezza immortale del genere femminile, il genere della generazione, non è altro che questa tensione [tra la santa e la puttana: N.d.Ar.], nella quale entra anche una discreta norma di misoginia, tra il reale [la puttana, per alcuni, è l’unica realtà: N.d.Ar.] e l’ideale [la santa, irraggiungibile per tutti: N.d.Ar.]. Spegnere quell’energia è un crimine contro l’umanità e una deprimente resa a un’idea marginale e sociologica della donna».
    Sì, perché questo peso dell’idolo politicamente corretto, che grava insopportabilmente sul nostro stomaco e pretende di paralizzarci, questo totem un po’ barbarico, un po’ luterano, da incensare comunque, costi quel che costi, e poco importa che sia coglione, questa pervasività dell’idiozia intronizzata che pretende condivisione e non ammette repliche, questa pretesa di castrare il libero pensiero nel frastuono dei cembali di una festa orgiastica, fatta di “eventi” tutti uguali e tutti prevedibili, è roba deprimente per tutti, per le donne non meno che per gli uomini, come si diceva in un articoletto di qualche giorno fa.

  6. Lui ha visto cose… invece i similprogressisti han visto cacate carte

    Io ne ho viste cose che voi umani non potreste immaginarvi, navi da combattimento in fiamme al largo dei bastioni di Orione, E ho visto i raggi B balenare nel buio vicino alle porte di Tannhäuser.
    E tutti quei momenti andranno perduti nel tempo…
    come lacrime nella pioggia.
    È tempo… di morire.

    E invece i nostri similprogressisti che cosa hanno visto? Cacate carte, fogli Excel, slàid di PowerPoint, foto con la Toyota, fiaccolate, Vera Baboun, la convivialità delle differenze, la condivisione…

  7. Un paese bello da vivere (questo, sì!), ma con un sindaco un po’ narciso

    Varenna, paese di appena 800 abitanti, è un luogo incantato. Conservo il ricordo di piacevolissime letture su un terrazzino della Villa Monastero nelle belle giornate d’inverno, sempre attese, sempre invocate perché quelle erano, per me, le giornate di Varenna. Accadeva quindici-venti anni fa. Ma non è cambiato niente, a parte i capelli che si sono diradati. C’è a Varenna il lago, c’è la montagna, c’è l’aria profumata dai cipressi, c’è il grande silenzio d’inverno, c’è il concerto delle cicale d’estate. C’è quasi tutto qul che si possa desiderare, ed è la cornice ideale per gustare il resto dei piaceri che vogliamo e possiamo concederci.
    I Greci pensavano che il regno dei morti cominciasse con la prateria degli asfodeli, oltre la quale si trovavano il Tartaro, a cui venivano avviati i malvagi, e i Campi Elisi, per coloro che avessero praticato la virtù. Quelli che non potevano a rigore considerarsi buoni, ma nemmeno malvagi, rimanevano nella prateria degli asfodeli. Bene, se devo immaginarmi il Tartaro, penso a Curno, paese sgarrupato a 6 km da Bergamo, che si pretende bello da vivere, dove l’aria risuona delle grida invasate delle femministe, delle urla gutturali degli Ur-leghisti e dei sonagli agitati dai rappresentanti della potente lobby Lgbt; se penso al prato di asfodeli, mi vengono in mente certi paesaggi che ho visto in Italia meridionale, tra la Campania e la Lucania, dove non s’incontra anima viva, dove non c’è gioia, ma dove almeno l’aria è pulita e non si proiettano slàid di PowerPoint; ma se penso ai Campi Elisi, ecco che davanti agli occhi mi si profila Varenna la bella.

    A questo punto, vorrei dire qualcosa di un sentiero che è stato ripristinato da poco: lo chiamano “il sentiero degli Scabium” o anche “il sentiero degli alpini”. Il tratto iniziale è addirittura inebriante, perché profuma di lauro selvatico. Il paesaggio sul lago, via via che si sale, ripaga, con avanzo, la modesta fatica di inerpicarsi per quegli scalini di roccia.


    A sinistra, l’inizio della strada che porta al cimitero di Varenna; a destra, una vista sul lago dalla piazzola antistante il castello di Vezio.

    Partendo da Villa Monastero, si prende la strada che porta al Cimitero, quindi dopo 300 m, si svolta a sinistra, e si prende il sentiero che porta al castello di re Vezio, con vista sui “tre laghi”, cioè sul ramo di Como del Lario, il ramo di Lecco e il ramo di Colico.
    Giù dal castello, dove il terreno lo consente, si adagiano i terrazzamenti coltivati a ulivo. Si dice che questa pianta fosse portata dai greci, che in effetti, dopo aver militato con i romani si sarebbero stabiliti qui, in numero di 500, insieme a 5000 coloni romani. L’insediamento dei coloni faceva parte della politica di Cesare: occupazione e controllo del territorio. Per la precisione, i coloni greci che arrivarono al Lario erano siculo-greci. Anzi, i cultori di storia locale pretendono che il nome di Como e quello di Lecco siano greci. Como deriverebbe da κώμη (“kóme”), parola che designa un insediamento non fortificato; Lecco deriverebbe da λευκός (“leukós”), che significa “bianco, di colore chiaro e brillante”, e questo nome sarebbe dovuto all’aspetto della roccia calcarea di Lecco. L’etimologia è un po’ tirata per i capelli: comunque anche io, come Merimée, si parva licet…, «mi sono fatto una legge di non contraddire mai più che tanto i cultori ostinati delle antichità locali». Se li contraddici, possono diventare cattivi, come del resto gli identitaristi, ai quali si sovrappongono facilmente.

    Però ecco che a rovinare tutto (o quasi: non esageriamo) ci pensa il sindaco, con il suo desiderio di lasciare perenne ricordo di sé in occasione del completamento dell’edificio che vediamo nella foto in alto a sinistra. L’imponenete costruzione è stata realizzata sbancando la roccia del monte, credo che non sia stata un’opera facile. Tant’è che si sono avvicendate ai lavori diverse imprese: le prime due, o tre (non ricordo) diedero forfait. Quell’edificio è fondamentalmente un parcheggio, del quale obiettivamente si sentiva bisogno, grazie al quale è stato possibile eliminare le aree di sosta sulla piazza principale e altre ancora tutt’intorno. Ma, volendo nobilitare un parcheggio, quasi che non stia bene, quasi che non sia politicamente corretto costruire un parcheggio, quell’edificio ospita anche una Sala polifunzionale. Così i “verdi” e quelli che cacano biologico e steineriano sono contenti.
    Fin qui tutto bene. Ma il sindaco non stava nelle mutande, voleva “segnare il territorio”. Perciò ha fatto affiggere la targa che leggiamo qui sopra. Il testo comincia con una citazione dall’Isola del tesoro di Stevenson, il che non dovrebbe lasciarci dubbi: il sindaco è una persona di cultura. Forse ha anche letto Martha Nussbaum (che, in certi ambienti politicamente corretti, è considerata il massimo della cultura). Non solo: il sindaco è anche amante dell’inglese. Infatti, la citazione di Stevenson è in inglese:

    … and almost at the same time the voice of the lookout shouted “Land ho!”

    Cioè:

    … quasi allo stesso istante la voce della vedetta gridò: “Terra!”.

    Che cosa voleva dirci il sindaco? Voleva farci sapere che quella fu una costruzione travagliata da incidenti di percorso: tuttavia, fu portata a termine. Oh, mirabile pertinacia! Proprio come fu portato a termine il viaggio della goletta sulla quale era imbarcato il piccolo Jim, insieme a un gentiluomo inglese che aveva capito l’importanza di una certa mappa che porterebbe dritto dritto al tesoro del famigerato pirata Flint. Dunque, con l’intervento di un finanziatore, il gentiluomo compera una goletta e trova l’equipaggio. Dipo una tappa a Bristol, la nave fa rotta verso i Caraibi. Ed è a questo punto che che si sente quel grido: “Terra!”. Lo sente bene il piccolo Jim, nascosto dentro un barile di mele; aveva anche appena sentito l’intenzione di uno degli uomini dell’equipaggio, arruolato come cuoco, tale Long John Silver (una vecchia conoscenza per i lettori di Nusquamia), che fu pirata insieme con Flint: c’era aria di ammutinamento.
    E infatti, dopo la citazione di Stevenson, che cosa ci dice il sindaco di Varenna? Elementare, Watson! Lui vuol dirci che ha dovuto correre il pericolo di un ammutinamento. Leggiamo infatti:

    A suggello del lavoro svolto con coraggio e tenacia a partire dal 1997, impegno che ha condotto alla realizzazione di questa preziosa opera, oggi consegnata alla Cittadinanza e a tutti gli Ospiti di Varenna, il Sindaco Carlo Molteni e l’Amministrazione Comunale posero.

    Ecco, il sindaco ha voluto non soltanto che sulla targa fosse scritto il proprio nome, ha voluto anche che si sapesse che lui è stato coraggioso.
    Ma non finisce qui. Lui voleva che il compimento dell’opera, pur così ritardato, avesse un sapore istituzionale. E siccome l’opera viene terminata nel 2011,150 anni dopo l’Unità d’Italia, fa scrivere:

    Varenna, domenica 30 ottobre 2011
    nel 150º Anniversario dell’Unità d’Italia

    Sì, però il 150º anniversario dell’unità di questo sciagurato paese ricorre, ricorre non il 30 ottobre 2011, ma il 17 marzo 2011: il 17 marzo 1861, infatti, fu il giorno ferale in cui Vittorio Emanuele II proclamò ufficialmente la nascita del Regno d’Italia, «assumendone il titolo di re per sé e per i suoi successori».
    A parte la citazione inglese, non sarebbe stato meglio, più sobrio, evitare di paragonare la realizzazione di quest’opera a quella dell’Unità d’Italia? E non poteva il sindaco evitare di scrivere il proprio nome, dandoci una lezione di sobrietà? E, soprattutto, non poteva evitare di volersi a tutti i costi accreditare come un “capitano coraggioso”?

    Proiezione curnense – A questo punto tremo, al pensiero dell’inaugurazione del Bibliomostro curnense, se mai sarà terminato. Tremo al pensiero di tutto l’ambaradan in stile Minculpop: discorsi fasciati e tricolorati, rappresentanze femministe ed Lgbt che nel Bibliomostro troveranno un centro di aggregazione a livello provinciale, nazionale e mondiale, interviste, sorrisi a schiovere, la presenza di Vera Baboun, l’ubiqua sindachessa betlemita casualmente di passaggio, processioni e fiaccolate organizzate da quelli della convivialità delle differenze, con la regia di preti progressisti e “digitali”, anche loro sorridenti, aperti, vestiti sportivo e “solari” (come pare sia obbligo dire). E, soprattutto, tremo all’idea della citazione che la dott.ssa Serra vorrà far incidere sulla targa. Ovviamente, la citazione sarà tratta da un libro scritto da una donna. E fin qui passi: se la donna è una scrittrice come Joyce Lussu, niente da obiettare. Ma il terrore è che la Serra voglia scrivere in epigrafe qualche pensierino politicamente corretto tratto dall’opera omnia di Annalisa Di Piazza, già segretario comunale di Curno, adesso scrittrice determinata, domani, forse, donna politica taumaturgica in Sicilia.

    • Al bar uncina golf permalink

      Alcuni sindaci, coadiuvati da assessori e consiglieri di maggioranza (la minoranza ormai non conta più nulla o quasi – democrazia?), promuovono opere utili o indispensabili, magari nemmeno fatte male o brutte, come nel caso descritto [il riferimento è al parcheggio di Varenna, che ha consentito la soppressione dei posti auto nel centro abitato che deturpavano un paese “bello da vivere”, quello sì, oiettivamente bellissimo, abitato anche da gente bella: N.d.Ar.]. E pazienza se ci mettono una targa dal discutibilissimo contenuto. Altri sprecano soldi in opere nefaste (non credo siano necessari esempi) e non portano concreta responsabilità alcuna.
      Il problema è: quali effettivi poteri di controllo ha il cosiddetto popolo sovrano, in realtà bue? Che diritto immediatamente esercitabile ha per aver sufficienti informazioni preventive? A Curno v’è Nusquamia a romper le scatole. E per fortuna, anche della maggioranza, che c’è. Ma da altre parti? Mozzo, Ponte San Pietro, Treviolo, Paladina, per esempio? Infatti, se ne constatano certi effetti meno prudentemente nascosti che a Curno.

      • Menghistu permalink

        Lei sta di fatto sollevando il problema del rapporto fra il cittadino che, nella sua concretezza, vuole essere almeno un dilettante della cultura partecipata e i tecnocrati e burocrati di area partitica, che ormai dominano la scena pubblica. L’ascesa degli uni è la morte degli altri, veri e propri abusivi del potere, privi di altra capacità che non sia quella di far prevalere le “loro” regole.
        Ritualisti privi di qualunque ampia visione e di lungo periodo, portatori esiziali di una mentalità emergenziale.
        Basta venire a Mozzo.

  8. L’ultima del gatto padano

    Il gatto padano va famoso per gli episodi di disinformazione, dei quali credo che vada orgoglioso, per il confezionamento di esche avvelenate e per l’affermazione spudorata del falso. L’affermazione del falso differisce dalla disinformazione, ma non è qui il caso di approfondire l’argomento, tanto più che il gatto non merita tanto. Ma il gatto padano doc è anche divertente, quando tira fuori le unghie, quando crede di aver dato una zampata micidiale e si propone alla dott.ssa Serra come consulente globale per dare una lezione a quei cattivoni di Aristide e Gandolfi. In fondo a questo articolo è riportata l’ultima del gatto, che non pubblichiamo come messaggio (inoltrato da Orbo & sordo, una delle sue identità reziali) perché il truce felino è espulso da Nusquamia per manifesta indegnità.

    Il gatto padano maligno – A proposito di disinformazione politica, vi ricordate la storia dei debiti fuori bilancio che il gatto attribuì a Gandolfi, quand’era sindaco? Quando fu smentito, disse: ma io ho ripreso queste affermazioni dal Laboratorio delle idee di Giovanni Locatelli, dunque chiedo conto a Locatelli del falso. Peccato che il gatto avesse liberamente interpretato quel che Quantile aveva scritto per conto di Locatelli su quel Laboratorio che non elaborava. Ed è vero che quel diario riportava alcune cose malevole nei confronti di Gandolfi, ma Quantile e Locatelli non avevano proprio scritto così. E il gatto voleva accreditare quella sua libera iterpretazione, cioè il falso. Si veda Debiti fuori bilancio: il Laboratorio delle idee non elabora idee, ma disinformazione; il gatto padano ci mette lo zampino, ma è sbugiardato e ridicolizzato.
    Quanto al confezionamento delle esche avvelenate, ricordo che il gatto padano scrisse a Nusquamia di un rapporto di stretta cognazione tra il segretario della sezione locale del Pd Max Conti e l'”impresa sociale” Energheia. Nusquamia riportò l’opinione del gatto, prendendone le distanze. Ma poi si capì perché il gatto aveva scritto in quei termini: sperava che Nusquamia sposasse quella sua affermazione, come si capì dopo, quando elaborò la teoria che il titolare di un diario reziale è responsabile di aver dato notizia di un falso, anche se ha preso le distanze dal falso, come se l’autore del falso fosse stato lui (in questo caso, Aristide). Mi è anche venuto il sospetto che l’esca avvelenata fosse stata concordata con altri esponenti della cellula antigandulfiana che opera a livello sommerso, con azioni di fiancheggiamento degli antigandulfiani emersi. Ma non ne ho la prova, e tengo quest’opinione per me. Si veda Il disprezzo: quando ci vuole, ci vuole.
    Dopo aver confezionato l’esca avvelenata, e dopo che io dimostrai la povenienza del messaggio, con tutti i dati identificativi per un eventuale approfondimento (c’era aria di denuncia: contro Aristide, naturalmente) il gatto padano affermò che la copia del messaggio registrato nel pannello di controllo di WordPress, che avevo pubblicato, era frutto di una mia manipolazione mediante Photoshop. E questo è un esempio di affermazione spudorata del falso.

    Il gatto padano giocoso – Ma il gatto padano è anche divertente. Il che non toglie che sia consigliabile, pur nel divertimento, starne alla larga, perché è capace di tutto. Tra gli episodi che ci hanno deliziato, ricordo la balla di quando si disse per metà francese, credendo così di nobilitarsi e di cancellare tutto quanto vi è di disdicevole nella sua tormentata biografia reziale. Poi aggiustò il tiro raccontando di un suo antenato concepito in Francia e forse anche nato in Francia, ma il pargolo dell’antenato (emigrato per lavoro in Francia) sarebbe stato registrato non in Francia, ma in Italia. Per la stessa ragione io potrei dirmi per metà africano (non essendo Ur-leghista, non ho alcuna difficoltà), dal momento che mio padre fu concepito in Tunisia.
    Un altro momento di assoluto divertimento è stato quello in cui il gatto padano con tono oracolare ci fece sapere che a Nîmes i coloni romani che fondarono la città di Nemausus (oogi Nîmes) dovettero vedersela con i coccodrilli che infestavano le zone paludose della Provenza. Poiché, in verità, i coccodrilli “infestavano” quella regione d’Europa decine di milioni di anni fa, non certo all’epoca di Augusto, domandammo al gatto padano se fosse in grado di produrre un solo documento che attestasse l’esistenza di coccodrilli infestanti gli acquitrini di Nîmes in epoca augustea. La risposta fu sobria: cioè, silenzio assoluto.

    L’ultima del gatto padano – Adesso il gatto, avendo letto quanto abbiamo scritto in questa pagina sul sasso di Preguda (si veda Via dai miasmi della politichetta) vorrebbe cogliere Aristide sul fatto e dimostrare alla dott.ssa Serra che lui, e soltanto lui, è in grado di fare polpette di Aristide. Cioè lui riuscirebbe dove fallì il povero Quantile (a proposito, che fine ha fatto Quantile? È sempre finian-futurista? E i suoi rapporti con Locatelli sono sempre amichevoli?).
    In pratica, il gatto sembra contestare quel che ho scritto del masso erratico e dell’iscrizione ivi riportata. E cita in proposito di Wikipedia. E scrive:

    Ballista anche nel copia (anzi: inventare).
    Secondo wikipedia la scritta di Stoppani direbbe:
    « …Sulle acute rocce
    adagia appena appena il grave fianco,
    siccome lasso pellegrin che dorma…».

    (Si veda Monumento naturale regionale del Sasso di Preguda.)

    Non so se avete notato la miserabile astuzia contadina. Il gatto afferma che io dico il falso. A dimostrazione di ciò riporta un brano di Wikipedia che mi smentirebbe («la scritta di Stoppani direbbe…»). Qui usa il condizionale, per trovarsi una scappatoia. Ma nel dire che sarei un ballista è stato asseverativo.
    Ma vediamo le cose da vicino. La verità è che il gatto avrebbe fatto meglio a leggere con più attenzione Wikipedia, perché in quell’articolo è scritto: a) che al masso è apposta una targa che ricorda Antonio Stoppani; b) che Antonio Stoppani dedicò un poemetto alla storia del masso. Wikipedia non dice che l’iscrizione sulla lapide aggraffata al Sasso di Preguda riporta il poemetto dello Stoppani, che è pubblicato in ‘Antonio Stoppani, Asteroidi, Milano 1879′, ed è un libriccino (per ora) introvabile in rete. L’iscrizione riporta esattamente quel che ho scritto io.
    Semmai c’è da osservare che in Wikipedia è presente un errore: è scritto che la targa fu apposta nel 1978. Ma è un refuso: dovrebbe leggersi 1878. Ecco, adesso il gatto padano potrebbe scrivere a Wikipedia e far correggere l’errore, quindi potrebbe vantarsi (ohibò) di aver fatto correggere un errore di Wikipedia. Proprio come quando si vanta di essere un consulente globale delle strategie della Freni Bembo.

    Ahi ahi, gatto padano: non credo che la dott.ssa Serra, con tutti i suoi difetti, si fiderà mai di affidarti l’incarico di “distruggere” Aristide. Sa benissimo che, se lo facesse, tutte le topiche prese dal gatto (le tòpiche, non i topi) ricadrebbero su di lei.

    • Vecchio Bepo permalink

      Che stangada!

    • Va bene che i gatti hanno sette vite, ma perché il gatto padano insiste?


      Targa apposta al “Sasso di Preguda”, che è stato meta dell’escursione descritta all’inizio di questa pagina. In quell’articolo avevo fornito — si veda Via dai miasmi della politichetta — la trascrizione qui sotto riportata (per vederne l’ingrandimento, fare clic sull’immagine).

      .

      Il gatto padano scrive piccato:

      Nel mio post c’é il link alla pagina di wiki: pertanto chiunque può leggere.
      Tu NON hai pubblicato la foto della targa.
      Fuori la foto della targa, mica il disegno.

      Ebbene il nesso citato dal felino maligno è quello stesso da me fornito, che porta alla pagina di Wikipedia intitolata Monumento naturale regionale del Sasso di Preguda. È vero che chiunque può leggere. Ma che c’entra? (Signor gatto, lei sta parlano con uno che sa di logica, mica con un arruffapopoli, non con un giornalista anglorobicosassone, non con un politico indigeno ambiziosetto.) Il fatto che «chiunque può leggere» non dimostra che il gatto abbia ragione, anzi dimostra tutto il contrario. In particolare «chiunque può leggere» — appunto — che il gatto non ha letto con la dovuta attenzione il testo che lui stesso cita. Scrive Wikipedia: «Una targa, posta nel 1978, ricorda Antonio Stoppani che dedicò un poemetto alla storia del masso». Capito? Ricorda Stoppani, mica riporta il poemetto. A parte il refuso (1978 invece che 1878) è proprio così. La targa ricorda lo Stoppani e lo Stoppani dedicò un poemetto alla storia del masso: sono due cose diverse. La targa ricorda la scoperta del significato di quella pietra, fatta dallo Stoppani, e i suoi meriti di naturalista. Dato che ci sono, ricordo a mia volta che Stoppani fu insegnante di geologia al Politecnico di Milano, poco dopo la sua fondazione, per iniziativa dei professori Brioschi e Colombo. [*]

      Quando il gatto padano prende una tòpica, e poi insiste, è esilarante. Anche se diede il meglio di sé con la storia dei coccodrilli. Ma non è detto, chissà che non riesca a superarsi.
      E adesso che cosa dirà? Che quella targa che vediamo qui sopra non è quella che è affissa sulla pietra? Il gatto ha forse bisogno di una foto anche in campo medio? O vuole intortarsi in un ragionamento “giuridico” (secondo lui), per cui se io non ho pubblicato la foto, ma la trascrizione, allora lui ha fatto bene a darmi del ballista? Vuole prodursi in una edizione curnense della favola del lupo e dell’agnello?
      Padanì, Padanì, pecché me dice sti parole ammare?
      Penso che la dott.ssa Serra non affiderà al gatto proprio nessun incarico. Chi si fida di uno così?

      ———————————
      [*] L’ing. Colombo, oltre che fondatore della Edison, “papà” del Politecnico e autore del celebre Manuale Colombo degl’ingegneri pastrufaziani, fu anche deputato conservatore. Plaudì alle cannonate del sabaudo Bava Beccaris che il 9 maggio 1898, dopo aver fatto strazio della «folla che pan domandava» telegrafava soddisfatto a Umberto I di aver «pacificato» Milano. Insomma, i milanesi finalmente “condividevano”. I markettari dell’Edison adesso parlano molto dell’ing. Colombo, ed è vero che fu un grande ingegnere. Ma fu anche politicamente un gran figlio di puttana. Non dirò che cosa siano i markettari, perché non trovo le parole adatte. Se non altro l’ing. Colombo contribuì al progresso scientifico; i markettari contribuiscono al degrado morale.

      • Vecchio Bepo permalink

        Figa che bòta!

        • Al gatto piace prendere i colpi di scopa sul groppone. Come dice la bizantina sadomasochista (la “zia Teodora”) in quel famoso episodio del’Armata Brancaleone, per lui «piacere e dolore sono tutt’uno». Se la dott.ssa Serra volesse frustarlo, questo sarebbe per lui il non plus ultra della voluttà. Tutta Curno risuonerebbe dei suoi miagolii di piacere.

          • Avrete, notato — spero — l’interiezione di sapore aulico da parte di Brancaleone. Per esprimere meravigliata constatazione dell’importanza di qualcosa, non dice “Minchia!”. Lui dice, in registro colto, “Verga!”.

  9. Ma perché l'”Obiettivo Curno” è sempre in rete? E Cavagna il Giovane, che fa? Insiste a voler rappresentare la destra curnense?

    Nell’articoletto precedente abbiamo accennato al Laboratorio delle idee, curato da Quantile per conto di Locatelli. Se scrivo questo, so quel che dico: infatti, in un messaggio inviato a Nusquamia, Quantile si professava responsabile del sito del Laboratorio idealista e mi invitava a levare una foto da me pubblicata e ripresa da Bergamo news, in quanto il Laboratorio ne sarebbe stato il proprietario. Risposi che l’avrei fatto volentieri, qualora lui si fosse qualificato come persona fisica. Quantile non si qualificò e la foto rimase.
    Adesso mi domando se per caso il sito dell’Obiettivo Curno che in realtà non inquadra un bel niente, proprio come il Laboratorio delle idee non elaborava una cippa, non sia una creazione di Quantile. Poi deve essere successo qualcosa tra Quantile e Locatelli, per cui Locatelli non è più nella condizione di chiedere a Quantile di chiudere il sito. In realtà quel sito è un situs interruptus ormai da un bel pezzo: segno che già da un po’ c’era qualche scricchiolio in quella coalizione raffazzonata. Si veda Situs interruptus.
    Ma che l’Obiettivo Curno rimanga ancora in rete, dopo che Cavagna il Giovane è stato sfanculato da Marcobelotti è, francamente, ridicolo. Così com’è ridicolo che nel sito del Comune di Curno Cavagna il Giovane figuri come consigliere di minoranza del gruppo Claudio Corti sindaco, con il simbolo di lista che vede abbracciati: a) il nome di Claudio Corti, sfanculato ormai da quel dì; b) il simbolo di Curno oltre; c) il simbolo della Lega nord, che però ha sfanculato Cavagna il Giovane.

    Come dobbiamo interpretare questa persistenza del nome e dei simboli? Forse che Cavagna il Giovane insiste a voler rappresentare la destra curnense? Ma, così stando le cose, con due sfanculamenti incrociati che tolgono credibilità a quel simbolo, non farebbe meglio Cavagna il Giovane a cambiare il nome al suo “gruppo” consiliare? E, conseguentemente, il simbolo? Potrebbe farsi dare una mano da Marcobelotti: perché no? Prenda l’esempio dal Pedretti, che Cavagna il Giovane ha voluto a tutti i costi imitare, facendosi promotore della battuta di caccia (politica) grossa contro i due Gandolfi: quando il Pedretti si accorse che, per quanto appoggiato dalla stampa anglorobicosassone, non c’era niente da fare e non avrebbe potuto cacciare Fassi e Donizetti dal gruppo consiliare della Lega nord, mise la coda tra le gambe e fu costretto, per differenziarsi, a creare un gruppo consiliare tutto suo. Qui c’è una differenza: Cavagna il Giovane non è costretto a cambiare nome e simbolo del gruppo consiliare. Credo anche che Marcobelotti sia abbastanza intelligente, vista la mala parata del Pedretti, da non insistere perché Cavagna il Giovane faccia quello che il consigliere competitivo e determinato (come nei talent show) dovrebbe fare, non a norma di cacata legge, ma per senso della dignità, non foss’altro che per mostrare ai cittadini una faccia non soltanto giovanile (come nei talent show), ma anche improntata alla serietà e al senso di responsabilità di uno statista.
    Cavagna il Giovane dovrebbe pensare seriamente all’opportunità di rifondazione del gruppo consiliare, è quello che ci aspettiamo da lui. In alternativa, se non lo fa, si prepari a sentirselo ricordare da noi. Seconda alternativa: dimissioni. Forse a Forza Italia, lì a Bergamo, dove l’ambiziosissimo Alessandro Sorte si è dimesso da coordinatore provinciale «per troppi impegni», dice lui, sono contenti.

  10. L’ultimo sprazzo di vita dell’Obiettivo Curno

    La parabola dell’Obiettivo Curno è omoteticamente (un concetto della geometria descrittiva) sovrapponibile a quella del Laboratorio delle idee. Pretendono di essere iniziative al servizio dei cittadini, addirittura scrivono: «Siamo stati, siamo e saremo sempre il baluardo della democrazia e della libertà». Bum! Però esistono soltanto quando si tratta di uccellare i cittadini, sotto campagna elettorale. Poi spariscono, avanzano solo i fossili in rete. Insomma, è evidente, questi Laboratori, questi Obiettivi non sono al servizio dei cittadini, sono al servizio dei politici indigeni che se ne fanno promotori. I quali, a loro volta, per essere essere certificati come uccellatori, devono mettersi al servizio dei partiti.
    Del resto, non diversamente si comporta il Pd curnense. Si agita sotto elezioni, poi silenzio. Tutt’al più qualche iniziativa di appoggio ai dirigenti Pd della bergamasca: Misiani è molto corteggiato, Martina è un sogno. Ma non sono iniziative e dibattiti ed “eventi” (ohibò!) a favore dei cittadini: servono a Max Conti per dire “Guarda, Misiani, ti ho portato il pubblico cammellato. Ricordati di me, neh!”. Poi ogni tanto, giusto per gradire, un ta-tze-bao alla bacheca di via de’ Marchesi Terzi di sant’Agata vien gù dal monte: come quello in cui Max Conti, ancora bersaniano, chiedeva conto al partito dell’imboscata tesa dai renziani a Prodi (adesso vorrebbe rimangiarselo, quel ta-tze-bao, ma ci siamo nooi a ricordarlo); oppure quel ta-tze-bao inteso a cammellare il papa. Una bella differenza rispetto a Nusquamia, che esiste sempre, a prescindere dal tornaconto elettorale, e che non pretende nemmeno di essere, in modalità di coglionamento, al servizio dei cittadini. Semmai vuol essere una palestra di riflessione sulle ragioni della politica, contro la politichetta. Pur non essendo “al servizio” (noi non siamo servi) è tuttavia un faro per i cittadini intelligenti, che esortiamo a prendere coscienza dei propri diritti e dei propri doveri, a organizzarsi contro il pensiero unico serrano e parimenti contro il non-pensiero salvinista (il “pensiero” di Salvini è riducibile a un sistema di riflessi pavloviani governati dall’appetito elettorale, del tutto analogo all’appetito di cibo dei cani di Pavlov).
    Ma torniamo alla “destra” locatelliana. Nella fotografia qui sopra vediamo Locatelli e Cavagna il Giovane al tempo delle elezioni europee del 2014. Ma già doveva esserci qualche scricchiolio nell’alleanza Curno oltre- Lega nord. Infatti scriveva Locatelli nel profilo facebook dell’Obiettivo:

    Un particolare ringraziamento anche agli amici della Lega nord che, in queste elezioni europee, saranno su posizioni leggermente diverse da quelle di Forza Italia, ma, livello locale, sono sempre i naturali alleati.

    E, mentre il sito di Obiettivo Curno si presentava come iniziativa congiunta Curno oltre-Lega nord, la pagina facebook sembrava appartenere tutta a Locatelli e al pupillo Cavagna il Giovane. Questo fu il momento di gloria per Cavagna il Giovane, statista in pectore: quando strinse la mano a Brunetta, quando come scrive il Leopardi (Alla luna) «ancor lungo / la speme e breve ha la memoria il corso». Momenti così per Cavagna il Giovane non verranno mai più. Addio, sogni di gloria! Adesso è stato sfanculato dalla Lega nord.
    Ma di che ci meravigliamo? Scrivevamo nel settembre 2014 (v. Situs interruptus):

    — All’inizio del 2014 Locatelli capisce che è venuto il momento di prendere le briglie di quel che resta del Pdl-FI, tanto più che la famiglia imperiale curnense, che rappresenta l’ala ex formigoniana del Pdl-FI, non dà segni di vita.

    — A Gandolfi pervengono da più parti “buoni consigli” perché faccia un passo indietro. Ma l’operazione non va in porto, anzi Gandolfi rincara la dose e fa capire che il passo indietro dovrebbe farlo Locatelli, semmai, per il bene della comunità curnense che ne ha fin sopra i capelli della Serra.

    — Locatelli a questo punto intensifica la propria presenza sulla piazza di Curno con ben due gazebo, in tandem con Marcobelotti, che ha comunque l’aria di esser tirato per la giacchetta: come sempre, d’altronde.

    — Dopo che Marcobelotti è caduto sotto il controllo di Locatelli, questi fa un’altra fuga in avanti e, in occasione delle europee, mette in chiaro che L’Obiettivo Curno è cosa sua. Vara, infatti, la pagina prosopobiblica che contraddice alla pagina del situs interruptus, ma questo non pare un problema insormontabile.

    Insomma, Locatelli ha tirato troppo la corda, la Lega nord nel frattempo è cresciuta (ma non credo che crescerà a Curno nella stessa misura, con il passato pedrettesco che si ritrova), Cavagna il Giovane è stato sfanculato. Eppure non si era giovato lo stesso Cavagna il Giovane dello sfanculamento di Claudio Corti? Beh, chi di sfanculamento colpisce, di sfanculamento perisce.

    • Invoco riflessi blu permalink

      Mi sembra chiaro, da quello che lei scrive, che molti di quelli che, come me, avevano avuto fiducia negli “azzurri”, non la pensano poi così diversamente da voi. Poco, e in modo che si può ancora conciliare. Certo sono lontani dagli incolori e quasi ridicoli personaggi che hanno la pretesa di rappresentarli, tra l’altro tradendo il patto originario, anche se sbagliatissimo. Il sindaco uscente era Gandolfi e andava sostenuto, senza correr dietro a un nefasto Pedretti qualsiasi e alla sua sete di vendetta verso chi ha avuto il coraggio di eliminarlo politicamente. E agli interessi di altri. Questo l’avevo detto a tutti gli altri frazionisti di destra, che due anni e mezzo fa avevano perso la testa. In particolare avevo parlato a noi azzurri. Così si saprà chi sono. Ricorro anche io a un nickname simbolico e tipo twitter, come vedo che stanno facendo altri da qualche tempo, e, mentre invito a riconoscere gli errori commessi, invoco il ritorno a quegli aspetti comuni a voi e ai forzisti e che voi non avete mai mollato mentre altri li hanno sputtanati, aspetti che qualcosa di buono avevano ottenuto. Magari bisognerà rinforzarli col blu invece che con sbiadito azzurrino, questo è probabile. La Lega? Lo stesso problema c’è anche per loro, come per i grillini, gli ex dipietristi e gli stessi ex missini… I piddini, infatti, sono riusciti ad allarmare tutti, a livello locale e nazionale. Cominciamo dal locale e speriamo che in sede nazionale nessuno si venda un’altra volta.

      • Quante divisioni ha Forza Italia?

        Mi riesce difficile prendere posizione se non si assegnano ai termini significati univoci: quanto meno, se io rimango nel dubbio riguardo alla loro corretta interpretazione. Questa non è pedanteria, è semplicemente la volontà di non commettere errori di interpretazione già sul nascere di un ragionamento. Perché, per esempio, in un certo discorso riguardo alla frutta e la verdura, uno potrebbe parlare del frutto M. E se io sono così avventato da pensare che M. significhi mela, corro il pericolo, dopo aver molto parlato, di sentirmi dire che M. non significa mela, ma significa melone. Perciò, per evitare questo pericolo, alcuni libri scientifici portano proprio all’inizio non soltanto l’elenco delle sigle che verranno nel seguito adoperate, ma anche alcune definizioni, soprattutto quando l’argomento da trattare è controverso.
        Per esempio, vedo che lei scrive di “azzurri” che, se ho ben capito, tendono al celeste e io sapevo che così venivano indicati i formigoniani. Ma i formigoniani a Curno erano quelli della famiglia del nonno imperiale: esistono ancora?
        Lei parla di coloro che «corsero dietro a un nefasto Pedretti» e, a dir la verità, i formigoniani curnensi, dopo aver provato a compattarsi intorno a un’alternativa a Gandolfi, al tempo della festa cervisiaria, quindi dopo aver parecchio schettineggiato e oltre ogni umana sopportazione, non si aggregarono al Pedretti. Vi si aggregò, invece, la pattuglia che aveva come riferimento il monarchico e innamorato Saffioti (vi ricordate quella sua lettera, dove spudoratamente si dichiarava innamorato di una sua collaboratrice?), che poi, dopo le ben note vicende alla Regione lombarda, si ritirò dalla vita politica per tornare a fare il medico in un’azienda pubblica. Ma, prima di ritirarsi, aveva designato come erede quel tal Sorte che entrò nell’agone politico scalpitando, ma che adesso vedo ridotto a più miti consigli.
        In ogni caso, mi domando: ma su quante divisioni può contare Forza Italia, già Pdl? Mi pongo una domanda analoga a quella che si pose Stalin: “Quante divisioni ha il papa?”. E, a maggior ragione, ritengo poco temibili e soprattutto evanescenti le divisioni (intese come contingente militare) dei formigoniani residui.
        Un discorso diverso merita la Lega nord: con l’avvertenza, però, che è assolutamente impensabile che a Curno possa avere un seguito paragonabile a quello che mostra di avere – almeno per il momento – nello stivale. Come ho scritto precedentemente, la Lega nord si sta giocando il tutto e per tutto facendo affidamento sulla potenza bestiale dei riflessi pavloviani: sono quelli della plebe trattata a pesci in faccia dai similprogressisti e dalle masse impiegatizie inerti spalleggiate dai similprogressisti, una plebe che, come avviene nei periodi di crisi, non ragiona più, sconcertata per lo stato di marginalità nel quale è cacciata (qui siamo solidali con la plebe) e che è preda di mille complessi di inferiorità, sui quali fa leva Salvini (qui penso che i partiti, se fossero partiti veri, come quelli del dopoguerra, avrebbebro il dovere di educare la plebe: ma impegnandosi, lavorando seriamente per il popolo invece che per la propria carriera, mica facendogli ingurgitare l’olio di ricino della “condivisione”). Sono parimenti pavloviani i riflessi di Salvini che non ragiona, ma ringhia e abbaia nella prospettiva di riempirsi la pancia del bottino elettorale, proprio come i cani di Pavlov rispondono all’istinto famelico.
        Dunque la Lega nord in questo momento va forte, in Italia. Ma non può pensare di sortire risultati appena paragonabili a quelli italioti qui a Curno, impedrettata com’è. Altrimenti noi che ci stiamo a fare? E scusate se è poco.
        Quanto al blu, non è questo il nuovo colore istituzionale della Lega nord 3.0 di Salvini? L’altro Matteo (mamma mia!) ha sostituito il verde-Lega 1.0 & 2.0 con il blu-Lega 3.0: o sbaglio?

        In ogni caso, detto spassionatamente e contro l’interesse di noi resistenti: il Pd e Forza Italia avrebbero tutto l’interesse a commissariare le sezioni locali (non mi sfugge, tuttavia, la difficoltà per loro di trovare alternative genuinamente curnensi, dal momento che le sezioni locali hanno fatto il vuoto intorno a sé, hanno fatto di tutto per far disamorare i cittadini dalla politica, quasi quanto la Lega nord). Quanto alla Lega nord, dico – sempre contro l’interesse di noi resistenti – che Marcobelotti avrebbe fatto bene a scaricare il Pedretti quando l’operazione poteva avere una sua connotazione di coraggio e generosità. Se lo fa adesso, è quasi fuori tempo massimo. Se lo farà fra due anni, o anche fra un solo anno, quando e se si presenterà l’occasione di farlo, senza che Bobomaroni e Salvini, che hanno spalleggiato il Pedretti, abbiano a subirne danno, sarà soltanto politichetta.

        PS – Ribadisco la mia opinione di sempre: a) i similprogressisti hanno stomacato con la loro superbia, basata sul nulla, hanno irritato tutti raccontando la supercazzola, hanno lavorato per se stessi invece che per i cittadini, stanno governando male; oltre tutto sono aziendalisti, inutile che vadano a cercar consensi tra chi è di sinistra, anche solo pallidamente; b) Forza Italia a Curno è in evanescenza: la loro giovine speranza, Cavagna il Giovane, si è scavato la fossa da solo, la fasciofemminista ovviamente non sarà più formigoniana, al momento opportuno metterà le carte in tavola e si accrediterà come Giorgiamelonita, se non nascerà qualche altro partito più attraente; c) la Lega nord curnense è impedrettata, e ho detto tutto.
        Dunque, d), se vogliamo sbarazzarci degli aziendalsimilprogressisti, bisognerà non disperdere il voto, come di fatto avverrebbe se il voto designasse personaggi di nota insipienza politica, senza cultura di governo, solitamente senza cultura tout court.
        La borghesia curnense, coloro che esercitano professioni liberali, gli artigiani, i lavoratori che lavorano, gli uomini liberi dovrebbero capire che non possono più permettersi il lusso di lasciare che il governo della città rimanga nelle mani dei similprogressisti, troppo egoisti e troppo presuntuosi per pensare al bene comune. Né possono permettersi il lusso di disperdere il voto assegnandolo ai rappresentanti della destra curnense, che dovrebbero conoscere bene. E se non li conoscono, male: vedano di conoscerli, per favore.
        La borghesia curnense, coloro che esercitano professioni liberali, gli artigiani, i lavoratori che lavorano, gli uomini liberi dovrebbero capire che è venuto il momento di reagire. È necessario promuovere a Curno un giuramento della pallacorda.


        Il 20 giugno 1789 i deputati del Terzo stato francese (borghesi, artigiani, operai) si riuniscono nella Sala della Pallacorda, prendono coscienza della specificità dei problemi della propria classe e giurano di non essere più disposti a farsi levare il pane di bocca dagli altri due ordini sociali: dal Primo stato (il clero) e dal Secondo stato (la nobiltà).

        Sì, lo so, inutile che mi si faccia il solito discorso disfattista: “Ma la borghesia curnense, coloro che esercitano professioni liberali, gli artigiani, i lavoratori che lavorano, gli uomini liberi sono una minoranza”. Ma, scusate, secondo voi dovrebbero essere le sciure Rusine a mobilitarsi? O mobilitarsi non è preciso dovere, invece, di chi ha sale in zucca, o dovrebbe averlo? Le sciure Rusine vengono dopo, certo non possono essere loro a dare il “la”. E se un certo numero di loro vota per la zavorra, si accomodino.
        A noi dispiace che possano votare per la cosiddetta sinistra persone in buona fede, che ancora non si sono accorte dell’anima aziendalista di questi similsinistri, della loro cupidigia di potere, della loro ambizione smodata, della loro ansia di protagonismo. Ci dispiace parimenti che onesti lavoratori, stomacati dalla prevalenza del cretino nel mondo del lavoro, pensino di poter essere degnamente rappresentati da questi esponenenti della destra curnense. Parlano di libertà, e intanto indicono la battuta di caccia grossa contro i due Gandolfi, per eliminare con metodi politici spicci un concorrente scomodo. Ecco il conto che fanno dell’intelligenza dei cittadini.

      • Tombini saran asciate permalink

        Molto interessante, che conferma le mie convinzioni, forse datate e di ingiustamente vituperata memoria democristiana.
        Però, per dare applicazione a quel che lei scrive, serve ora un’azione concreta ed efficace al riguardo, fatta non solo di comunicazione ma anche di relazioni ed equilibri di potere.

        • Il pallino del gioco non è più dei partiti

          Lei afferma che «per dare applicazione» a quel che scrivo, occorre «un’azione concreta ed efficace al riguardo, fatta non solo di comunicazione ma anche di relazioni ed equilibri di potere». Per parte mia, faccio quel che posso, consapevole dei miei limiti. D’altra parte Nusquamia è solo una palestra di discussione delle ragioni della politica. Delle «ragioni», appunto, e non delle condivisioni, delle supercazzole, degli appecoramenti. Dove non hanno diritto di cittadinanza né le fisime politicamente corrette e le furbate degli aziendalsimilprogressisti, né gli istinti bestiali pavloviani che muovono Salvini e che lui stesso evoca nelle plebi sbandate, con la collaborazione di un “Web filosofo” veronese e con la benedizione dell’“economista” Claudio Borghi, ex agente di borsa, sempre fotografato accanto a Salvini, sempre pronto a certificare con la sua scienza (??) che quel che dice Salvini è giusto.
          Quanto alle «relazioni» bisogna vedere di che tipo: se sono utili e necessarie, utili ma non necessarie, né utili né necessarie (cioè, tanto per agitarsi, tanto per far qualcosa, e per non fare quel che sarebbe giusto fare). Soprattutto bisogna guardarsi dagli specchietti per le allodole. Siamo diffidenti, e abbiamo mille ragioni per esserlo. Comunque, se qualcuno a Bergamo, qualcuno di Forza Italia, volesse sfanculare Cavagna il Giovane (già sfanculato da Marcobelotti), non è che la cosa ci dispiaccia. Se qualcuno vuol chiedere scusa a noi resistenti, bene, accettiamo le scuse. Se le testate che hanno dato mandato ai giornalisti anglorobicosassoni di andarci giù pesante con Gandolfi volessero cambiare registro (anche perché mi sa che, arrivati a questo punto, gli stessi anglorobicosassoni abbiano cominciato a vergognarsi, ma solo perché li abbiamo messi spalle al muro), ce ne compiacciamo. Noi per principio parliamo con tutti, anche con gli avversari. Semmai sono loro che praticano la “sobrietà”. Ma che non venga in mente a nessuno di porre condizioni inaccettabili, di fare proposte indecenti, di appropriarsi del prestigio di un’opposizione dura, onesta e intelligente o di ottundere il nostro senso critico.
          Soprattutto, guardiamo in faccia la realtà: il pallino del gioco non è dei partiti, nemmeno dei loro rappresentanti locali che sperano di intercettare il voto di cittadini sempre meno propensi a votare per i partiti, per le liste farlocche e per i candidati dei partiti e delle liste farlocche, appena si siano resi conto del curriculum “politico” degli aspiranti amministratori locali. Questi, se li conosci, li eviti.
          La partita oggi come oggi, in questo scorcio di 2015 e nel 2016 si gioca con coloro che potrebbero avere un ruolo decisivo e trainante nella formazione di un’opinione pubblica non appecorata. Mi riferisco, ancora, alla «borghesia curnense, a coloro che esercitano professioni liberali, agli artigiani, ai lavoratori che lavorano, agli uomini liberi». Il resto verrà dopo e, come disse la Serra, ogni dì ha il suo affanno. Ma io non lo dico per eludere il problema, lo dico per eludere, semmai, ogni decisione affrettata, inculante e senza reti di protezione.

      • Invoco riflessi blu permalink

        Lei predica prudenza e juicio, e credo abbia ragione. E non immobilismo, e anche in questo credo abbia ragione. Ma qualcuno dovrà pur muoversi, di qui o di là. Che le mosse siano prudenti e sagge, dunque. Non resta che augurarlo e augurarselo. Sempre che qualcuno si muova. Non è tattico l’immobilismo, ma è quello che consente e ha finora consentito le “decisioni inculanti”, come le chiama lei, dei partiti e dei loro gruppi di potere.
        Provo comunque piacere politico nel ritrovare qualcuno che richiama senza vergogna il proprio passato democristiano.
        Se non ho capito male, eravamo di correnti diverse, ma pur nelle beghe un briciolo di idea del bene comune, e non solo del partito o delle proprie tasche, l’avevamo. E di questo si parlava fra noi e con gli altri e per questo si prendevano contatti. Nella Dc è stato nutrito e allevato il germe della corruzione, nel Psi esso è stato sviluppato in forma aziendale, nel Pci era strutturale, ideologico supporto economico per l’avvento del sol dell’avvenire.
        Ma in tutti i tre casi ha convissuto per decenni con un’idea seppur vaga del bene comune. E qualcosa è rimasto qua e là.

        • Morire con onore è meglio che morire con disonore

          a) Anche Renzi ha un passato democristiano alle spalle.

          b) Sono contrario all’immobilismo, tant’è che appena qualcuno, sperando che qui a Nusquamia noi si dorma, lancia per aria un coniglio mediatico (Pedretti, fasciofemminista), o compie una sortita al profumo di pubbliche relazioni (come quando la dott.ssa Serra si fa fotografare accanto alla Toyota), o quando combina qualche marachella (come quando raccontano la supercazzola ai cittadini praticamente in tutte le pagine dell’ultimo numero del notiziario comunale), la cattiva azione è subito individuata e l’autore è opprtunamente sbeffeggiato.
          Anche le decisioni politiche devono essere prese repentinamente. Ma sulla base di dati certi, o quanto meno verisimili, e non di ipotesi strampalate o di promesse. E in armonia con alcuni principi fermi: il rifiuto della stupidità e della demagogia, per esempio. Del resto, appena abbiamo capito di che pasta fossero i due Mattei non abbiamo frapposto indugio. Abbiamo subito denunciato l’impostura. E allora c’era chi ci rimproverava di essere precipitosi. Ma non lo fummo, fu giusto così.
          I politici hanno una faccia di tolla tremenda, pensano di poter continuare a “inculare” come han sempre fatto, anche adesso che stanno per affogare. Quel che volevo dire è che non ha senso fare accordi con personaggi politici che stanno per affogare e che non meritano di essere aiutati. Il nostro dovere è ragionare caso per caso, separare il grano dal loglio, accettare le scuse di chi vuol chiedercele, purché senza contropartite “inculanti” e “sputtananti”. Lei capirà che, parlando di Forza Italia, abbiamo non soltanto il diritto, ma anche il dovere di prendere tutte le precauzioni possibili.
          In realtà – insisto – il nostro interlocutore in questo preciso momento non sono i partiti ma quegli strati della popolazione che, se volessero scuotersi – loro sì – da un colpevole immobilismo che sfiora il menefreghismo e la codardia, potrebbero costituire un germe di opinione pubblica non omologata e intelligente. Parlo del Terzo Stato. Purtroppo il Terzo Stato curnense non ha ancora preso coscienza del proprio ruolo, dei propri doveri e dei propri diritti. Alcuni membri di questo ordine sociale, abituati ad avere che fare con i partiti, pur disprezzandoli, continuano per inerzia a ritenerli indispensabili. Alcuni di costoro propongono a Gandolfi un’impossibile, così stando le cose, e inculante trattativa con i partiti. Credo che debba essere tutto il contrario: sono i partiti che devono venire a Canossa, cioè da Gandolfi, sentire le cose come stanno, visto che non lo sanno e che non possono fidarsi di quanto scrivono nei loro resoconti truccati i politici indigeni che non sono all’altezza della situazione. Avendo sentito quale sia lo stato delle cose, possono decidere se morire con onore o con disonore.

          c) Non sono mai stato democristiano e non capisco perché uno si debba vantare di esserlo stato. Io ho votato prima per il Pci, poi mi sono astenuto, poi ho votato Lega nord, poi mi sono ancora astenuto, infine ho votato per Giannino e per Grillo. Ma non me ne vanto. Praticamente mi sono sempre trovato costretto a votare, come ho votato e come non ho votato. È stato uno strazio non trovare un partito che corrispondesse abbastanza alle mie aspirazioni. Ho votato per il Pci perché non sopportavo l’ingiustizia davanti alla quale i democristiani chiudevano gli occhi; mi sono astenuto dal votare per il Pci quando questo partito è diventato un partito di vacanzieri e piccoli borghesi che facevano gli interessi dei parassiti e dei pescecani della finanza; ho votato per la Lega nord per indignazione contro la mistica di Mani pulite che aveva fatto fuori tutti i partiti e tutti gli uomini politici, tranne quelli del Pci e della sinistra democristiana; [*] quando ho conosciuto la Lega nord da vicino ho smesso di votare anche per questo partito, preferendo dare il mio voto a Giannino, nonostante la super laurea farlocca (sempre meglio di una laurea vera su Martha Nussbaum), o a Grillo, con tutto che mi trovi le 1000 miglia distante dalla visione esoterica di Casaleggio. Ma sono stato costretto a votare così, dunque non me ne vanto.

          —————————————————-
          [*] Coloro che si salvarono dalla grande purga di Mani pulite, dal periodo di Terrore gudiziario — il Pci e la siistra democristiana — si sarebbero poi ritrovati, tutti insieme e tutti pimpanti, nel Pd. Il Partito democratico è stato, ed è, per gli uomini politici di una certa età, la casa comune dei “graziati”, usciti indenni dal Terrore giudiziario: non perché trovati senza colpa, ma perché mai inquisiti, a differenza dei loro colleghi appartenenti a formazioni politiche sprovviste di lasciacondotto.

      • Romana permalink

        Molto bene. Approvo. Tenga comunque conto che è difficile prendere veramente contatto coi partiti, ormai in disfacimento. In ogni caso si tratterebbe o dovrebbe trattare di contatti con singole persone che rappresentano praticamente solo se stesse e i loro conoscenti. Poi magari sono anche il residuato di decrepite strutture di partito, di fatto insignificanti se non per quei ruoli attinenti gli affari oscuri, come quelli di sfruttamento economico e schiavistico degli immigrati. Anche questo è da tenere nella dovuta e prudente considerazione.

        • Per dirla tutta, se parliamo di Forza Italia, non si sente proprio la necessità di prendere contatto con questa evanescente formazione politica. Questo non toglie che possa anche essere interessante sentire le confessioni e gli sfoghi delle vecchie volpi e delle vecchie faine della politica. Anche delle vecchie ciabatte. Dunque, se vogliono confessarsi, vengano pure: saremo tutt’orecchi.
          Naturalmente, occorrerà fare la tara, per due ragioni: la prima, perché possono dire troppo, in un egoistico tentativo di plasmare un’immagine edulcorata di sé, da raccontare ai nipotini, un’immagine nella quale essi stessi vogliono cominciare a credere. La seconda ragione, perché, riguardo agli aspetti più incresciosi, per esempio riguardo ai legami con il mondo affaristico, saranno invece reticenti, sia per proteggere se stessi e la propria parte politica, sia anche per proteggere i loro avversari storici, che potrebbero restituire pan per focaccia. Se A e B sono due avversari politici e A svuota il sacco di ricordi che potrebbero mettere in cattiva luce B, allora B potrebbe anche lui svuotare il vaso di Pandora. Ecco allora che A quando dice di svuotare il sacco, in realtà dice soltanto quello che gli fa comodo e che non gli procuri qualche grattacapo o ritorsione.
          Però, se uno è bravo, riesce comunque ad avere utili indizi per la ricerca della verità: precisamente, analizzando la menzogna, cioè il tipo di reticenze, il linguaggio verbale, le incongruenze logiche, le divagazioni, il narcisismo, il linguaggio corporeo (sorrisetti, postura, qualità dello sguardo) ecc. Però bisogna essere bravi.

      • Intingo boa alati permalink

        Allora speriamo che Gandolfi sia attivo e bravo abbastanza. Ora tocca a lui.

        • I peccati degli uomini politici

          Lei scrive: «Allora speriamo che Gandolfi sia attivo e bravo abbastanza. Ora tocca a lui». E io aggiungo: sempre che qualche figura già prominente di Forza Italia voglia confessarsi presso Gandolfi e sia disposto a recitare la penitenza che gli verrà assegnata ad espiazione dei peccati. Ricordo che i peccati più comuni commessi dagli uomini politici sono: idolatria del feticcio del potere, stregoneria di pubbliche relazioni, falsità e arroganza, avarizia (nel senso antico di “avidità”), furto, invidia e vano amore di gloria, odio e rabbia per chi gli mette i bastoni fra le ruote, falsa testimonianza, spergiuro, ipocrisia, calunnia.
          Di questi peccati si macchiano un po’ tutti gli uomini politici, chi più chi meno, quale di questo peccato, quale di quello (o di quelli): non necessariamente i politici di fede berlusconiana. Ma qui si parlava di papaveri di Forza Italia che sentissero la necessità di confessarsi presso Gandolfi.
          Ma Locatelli e Cavagna il Giovane saranno contenti di questa confessione dei loro ex superiori?

          Non capisco però che cosa ‘Intingo boa alati’ (un anagramma? io ci leggo “battaglia”, ma non vado oltre) intenda con l’esortazione “Ora tocca a lui”, cioè a Gandolfi. Se il papavero non vuole confessarsi, Gandolfi mica lo può obbligare, ci mancherebbe. O forse Gandolfi dovrebbe prendere l’iniziativa? Posto che a) Forza Italia tende sempre più a contare come il due di picche quando la briscola è a bastoni; b) che nell’agire umano è saggio fare riferimento alla dottrina dei piaceri secondo Epicuro, perché Gandolfi dovrebbe mobilitarsi, quasi che avesse il fuoco sotto il culo?
          Ricordo ai gatti padani e a coloro che pensano che Martha Nussbaum sia una “filosofa” che Epicuro ritiene che la nostra condotta debba avere come bussola la natura, la quale spinge l’uomo, al pari di ogni essere vivente, a godere del piacere e ad evitare il dolore. Ma il piacere non è l’appagamento di tutti i desideri, come pensano gli aziendalisti che, per imporre la propria merce, fanno male agli altri e fanno male a se stessi. L’uomo saggio nella ricerca del piacere sarà comunque razionale, ciascun piacere sarà ponderato. Mentre qualunque politicante sente impellente il bisogno di strafare, prodursi in conigli mediatici, farsi fotografare, rilasciare interviste, apparire ecc., chi è saggio in senso epicureo fa questa distinzione tra i bisogni: ci sono i bisogni naturali e necessari, come per esempio il mangiare e il bere; ci sono quelli naturali e non necessari, per esempio il bisogno di frequentare ristoranti raffinati, di mettersi al volante di un Suv buzzurro con i vetri oscurati, come piacciono ai mafiosi; infine ci sono i bisogni che non sono né naturali né necessari (tipicamente, il desiderio di apparire a tutti i costi).
          Dunque, che bisogno c’è di andare a interpellare qualche ex-papavero berlusconiano?
          Vogliamo considerare la cosa sotto l’aspetto dell’utile? Beh, il discorso non cambia granché, visto che l’utile viene perseguito ricercando il piacere e fuggendo il dolore. Per esempio, la condivisione serrana non è utile a nessuno perché non dà piacere, anzi infligge dolore ai “condivisori”. In altre parole, l’utile “naturale” coincide con il piacere naturale.
          È anche ovvio – o dovrebbe esserlo – che l’utile e il piacere degli altri non coincide necessariamente con il mio. Potrebbe coincidere, ma allora bisogna dimostrare che c’è coincidenza. In generale, non mi mobiliterò se non per una causa che sia naturale e necessaria. Ogni buona causa, per esempio smascherare l’impostura, è una causa naturale e necessaria. Ma se qualcuno, come i markettari, vuol farmi passare come piacer mio quello che è il piacere suo (l’acquisto, da parte mia, con i miei soldi, della merce), dirò che colui è un impostore.
          Vero è che Epicuro ci esorta ad astenerci dalla politica, ma viviamo un momento di crisi epocale e questo è uno di quei momenti in cui siamo tenuti a partecipare alla vita pubblica, rinunciando temporaneamente al godimento dei piaceri immediati, in vista della fruizione del grande piacere di essere un giorno uomini liberi in una società di uomini liberi.

          • Ricordo che l’argomento della tesi di laurea di Karl Marx fu proprio Epicuro, del quale si diceva sopra:
            Karl Marx, Differenza tra le filosofie della natura di Democrito e di Epicuro.
            La cosa non interessa alla sciura Rusina? I politici indigeni pensano che un coniglio mediatico, una foto sul giornale, un’intervista anglorobicosassone valgano più di queste nostre bazzecole? A ognuno il suo.

            • Frammenti di un discorso generoso sull’Appia antica

              Estraggo queste battute dal resoconto dell’itinerario che Paolo Rumiz compie, a piedi, da Roma a Brindisi, lungo l’Appia antica. In questo tratto di strada è in compagnia dell’amico Riccardo, del quale avvertiamo la presenza lungo tutto l’itinerario. Altri amici invece — così mi sembra di capire — sono presenti solo per brevi tratti, oppure alle mansiones, cioè nei punti dove i due fanno tappa. Verisimilmente, ci arrivano in automobile, previo appuntamento via telefonino.
              I due, lasciatisi alle spalle Mondragone, incontrano due contadini; hanno panze ragguardevoli — scrive Rumiz: ma dice così per dare colore alla narrazione — e le mani grosse. Sono due contadini filosofi. Tant’è che non ragionano salvinescamente, non ragionano da giornalisti anglorobicosassoni, non ragionano da politici indigeni curnensi. Cioè, non cercano ferocemente il proprio tornaconto: elettorale, di potere, di presenza mediatica, di carriera. Sono uomini. Ecco il discorso:

              “Siete stanchi, assettateve ‘nu poco. E se tenite fame pigliateve ‘na vrancata ‘e fave. Sta tutto pagato”.
              “Grazie. Basta un mazzetto”.
              “Pigliate è lavoro fatta ‘a Dio”.
              “No, l’avete fatto voi”.
              “Nuie seguiamo solo ‘a legge ‘e Dio. Isso dice che quacche frutto ‘ncoppa ‘a pianta lo devi sempre lasciare là per far mangiare ‘e passarielli, e pure chill’e mmieza ‘a via, qualcuno che passa ‘a qqua comm’a vuje. Me l’ha insegnato mio padre quando ero piccolissimo. Quello che hai fatto agli altri l’hai fatto a te. ‘A legge di Dio ci protegge dal male”.
              “E se eravamo stranieri?”

              Da I formidabili contadini, vera faccia del Sud.

      • Carla Mel permalink

        Mi sembra che anche Manzoni dice cosa molto simile. E anche Hemingway.
        [Il Manzoni, immagino, nei Promessi sposi. Ma dove? Hemingway in quale dei suoi libri, o dei suoi racconti? N.d.Ar.]

      • Romana permalink

        Come Le è noto (e poco gradito), egregio e stimato professore (so dei suoi trascorsi altamente culturali cagliaritani [non esageriamo… sono solo trascorsi liceali, ancorché ben vissuti, in un ambiente culturalmente stimolante, complice l’età; N.d.Ar.] e non solo), sono renziana, anzi, renzista della prima ora, quando ancora era ribellistico esserlo (imperava il comico piacentino); in tal senso sono piddina, come la maggior parte degli insegnanti, in attività e a riposo.
        Ciò non toglie che, nell’interesse generale, non solo culturale, senta il bisogno di un’opposizione politica e amministrativa capace di mettere alla frusta la mia parte politica, in modo che attui quello che, spesso soltanto a parole, non potendo fare altro, stimola il mio segretario e Presidente del Consiglio.
        A Curno, salvo per nostra fortuna Lei, nessuno è in grado di agire in quella direzione: e la stessa maggioranza non è portata a mostrare le proprie capacità e i propri limiti, adagiandosi in un inaccettabile tran tran. La minoranza, del resto, è semplicemente ridicola nel suo far opposizione, anche perché culturalmente inconciliabile nei suoi componenti.
        Rispetto a quanto in questo articolo sopra detto a varie voci, che in qualche modo corrisponde alla mia esigenza, e alla sua domanda di memoria staliniana [«Di quante divisioni dispone il papa?» N.d.Ar.], vorrei chiederle: di quante divisioni dispongono personalmente a Curno il geometra Locatelli, il giovin signor Cavagna, la fasciofemminista (non ne ricordo il nome) e il dr Marco Belotti?
        I voti su cui credono di contare sono prevalentemente legati alla loro appartenenza partitica e non a quello che sanno esprimere, soprattutto in sede locale (basta vedere il “successo” delle loro gazebate). Pertanto, la loro unica speranza di salvezza è fare blocco partitico, anche con la stessa attuale maggioranza, in ipotesi e sotto traccia, in modo da impedire l’emergere di voci diverse, come la Sua, che potrebbero essere addirittura vincenti.
        Nell’interesse generale, mi sembra dunque necessario spezzare prima di tutto il fulcro di quella tenaglia, per consentire alle prossime elezioni un vero confronto, dal quale non dubito che l’attuale maggioranza, ben stimolata, forte della spinta renziana, uscirà vincitrice.

        • Le “divisioni” dei cittadini cammellati, l’intercettazione del voto nazionale da parte dei politici indigeni, l’alternativa superiore

          Locatelli, Cavagna il Giovane e Marcobelotti non dispongono in proprio di nessuna divisione. Sperano semplicemente (soprattutto Marcobelotti) di intercettare le indicazioni di voto nel paese, voglio dire in Italia: sì, ma si vota a Curno, fra due anni, questo è certo. In Italia non si sa. Ma poiché sia Forza Italia sia la Lega hanno pessimamente meritato di sé a Curno, Locatelli, Cavagna il Giovane e Marcobelotti hanno tutto l’interesse a mantenere un profilo basso, giocando tutto sui simboli di partito o, nel caso di liste cosiddette civiche farlocche, sulla sponsorizzazione del partito più qualche residuo. Naturalmente, se loro terranno un profilo basso, saremo noi a mettere a fuoco quel profilo e a presentarlo nella giusta luce. Non saremo così fessi da fare il gioco di discutere sul cazzeggio, sul programma elettorale. Le responsabilità politiche sono personali, la cultura di governo — o la non-cultura di governo — sono personali, l’intelligenza politica è personale. E di questo parleremo, piaccia o non piaccia.
          Diverso è il caso della fasciofemminista, e tutto da ridere: lei si è insediata con la componente formigoniana del Pdl, ma i formigoniani si sono traghettati sul Nuovo centrodestra (Ncd) di Angelino Alfano. Se rimane con Alfano, penso che non abbia nemmeno soldati semplici (almeno Marcobelotti può contare su Foresti, Sàgula e Dolci). Poiché però la fasciofemminista è fasciofemminista — appunto — e nutre speranza di esser candidato sindaco a Curno (addirittura!) con l’aiutino di qualche giornalista anglorobicosassone comandato a farle da battistrada, il suo approdo naturale è Fratelli d’Italia, il partito di Giorgiameloni, che è il Sancho Panza di Salvini (che però non è don Chisciotte: l’hidalgo era una figura politicamente rispettabilissima).
          Chiaro che le componenti del centrodestra dovranno compattarsi: ancorché sfanculato da Marcobelotti, Cavagna il Giovane spera (o ancora sperava, a giudicare dalle sue sparate nel corso dell’ultima seduta di Consiglio) su questa possibilità, con lui candidato sindaco. Se non rinuncia sarà bello vedere come la fasciofemminista prenderà la cosa, e vedere quale tra i due litiganti sarà il terzo che gode (Marcobelotti?). Sì, però possono compattarsi quanto si vuole, ma non toccano palla. Combatteranno, forse, ma con il morale a terra.
          Ancora diverso è il caso dei similprogressisti, anzi degli aziendalsimilprogressisti. Intanto perché alla speranza, in questo caso non infondata, di intercettare il voto del paese, inteso come l’Italia, aggiugono la disponibilità di truppe proprie: l’indotto della scuola, lo zoccolo duro dei cittadini e dei loro parenti coinvolti nel sistema delle associazioni controllate. A proposito, avrete notato, spero, che una volta esisteva la mistica delle associazioni e che a mettere in dubbio questa mistica si passava per delinquenti, o poco meno. Adesso, dopo lo scandalo cosiddetto di Mafia capitale e altri consimili scandaletti, in tutta Italia la mistica associazionistica è sgretolata: un’associazione sarà buona o cattiva, caso per caso. Non sta scritto da nessuna parte che un’associazione sia cosa buona e santa, per definizione. Anzi, se, come abbiamo scritto, la denominazione di “Mafia capitale” è impropria, rimane il fatto che all’associazione “Mondo di mezzo” è stato contestato il reato di associazione mafiosa. E questo basti per spazzare la mistica dell’associazionismo.
          In secondo luogo, gli aziendalsimilprogressisti avrebbero un cavallo di razza, a differenza dei forzitalioti, dei giorgiameloniti e dei fascioleghisti, che a Curno vorrebbero presentarsi come Urleghisti, anziché salvinisti di stretta osservanza e impedrettati, ma solo a fini di buggeratura del popolo. [*] Il cavallo dei similprogressisti è la dott.ssa Serra. Peccato però che la dott.ssa Serra nutra ambizioni di carriera OltreCurno, come dànno a pensare tante sue mosse antiche e recenti. Del resto, quando si presentò candidato sindaco, rimise nelle mani del partito l’incarico di presidente dell’Assemblea provinciale del Pd. Anzi, sembrava quasi che dovesse abbandonare il Pd, perché agli occhi dei cittadini lei era tutta arancione (allora andava di moda), tutta “società civile”, [**] a fini di buggeratura politica, anche in questo caso. Poi però i cittadini di Curno se la sono ritrovata “nominata” al Consiglio della Provincia di Bergamo, con la delega — strategica in questo momento — delle «politiche per la scuola, l’adolescenza e l’integrazione». Una delega che le consente di coltivare relazioni importanti.

          Rimane il fatto che il paese di Curno è largamente insoddisfatto della gestione similprogressista: non sono soddisfatti coloro che si sono astenuti dal voto; non sono soddisfatti coloro che hanno votato per Gandolfi, la cui lista ha preso il numero maggiore dei voti, dopo quella serrana; non sono soddisfatti coloro che hanno sprecato il loro voto mandando in Consiglio Claudio Corti che ha mollato il posto in favore di Cavagna il Giovane; non sono soddisfatti coloro che hanno ricicciato il dott. Consolandi, che è andato in Consiglio per qualche tempo, poi ha lasciato il posto alla fasciofemminista, che teoricamente adesso dovrebbe essere alfaniana, ma non ci crede nessuno. Non sono soddisfatti nemmeno coloro che hanno votato per la Serra: troppo superba, pare che questa sia l’accusa principale. Ma, in generale, e più pertinentemente sotto il profilo politico (se uno è poco simpatico, ma empatico, che importa?) che cosa hanno fatto i similprogressisti per i cittadini? Se non sono i cittadini del loro orticello elettorale, ben poco. Quanto a quelli dell’orticello proprio, nemmeno tutti sono soddisfatti. In compenso i papaveri locali similprogressisti si sono agitati molto per le loro carriere, soprattutto alcuni (non parlo solo del Consiglio comunale, penso soprattutto a Max Conti, totalmente avulso dai problemi di Curno, impegnato soltanto a pascolare i cittadini in occasione di manifestazioni elettorali).
          Così stando le cose, se vogliamo sottrarre il governo di Curno agli aziendalsimilprogressisti, occorrerà convincere i cittadini a non disperdere il voto. Questo dipende in parte da noi, che dovremo strappare la maschera ai politici indigeni; molto dipende però anche dalla presa di coscienza dei cittadini produttori della ricchezza, degli intellettuali che non sono stati capaci — autonomamente, anche senza Gandolfi — di costituirsi come opinione pubblica, ma finora si sono fatti infinochaire dai parassiti, gente che vive di politica, di burocrazia, di intermediazioni, pubbliche relazioni et simil. I cittadini del mondo delle professioni, gli artigiani, gli operai, gli uomini liberi prendano esempio dalla Storia. Essi sono l’equivalente del Terzo stato (che qui significa “ordine sociale”) al tempo della Rivoluzione francese. I rappresentanti del Terzo stato presero coscienza dei rapporti di forza e si decisero a farli valere, contro il Primo e il secondo stato. Basta dunque con il cazzeggio dei programmi elettorali di “destra” edi “sinistra”, basta con le liste farlocche. Vediamo qauli siano gli uomini che aspirano arappresentare i cittadini, quali siano le loro referenze, il loro passato, la loro intelligenza politica, la loro cultura, la loro idoneità a capire la complessità del sistema. Dobbiamo guardare in alto.

          Infine sarò io a domandare a Romana: come lei saprà, sia la dott.ssa Serra, sia Max Conti si sono proiettati in campo renzista. Lasciamo stare, per un momento, la dott.ssa Serra della quale abbiamo molto parlato. Ma lei, da renzista, che cosa pensa di Max Conti renzista?
          Dato che ci sono: che cosa pensa di Maria Elena Boschi? Secondo lei, perché le donne tendono a parlarne male?

          —————————————————–
          [*] Nota di 3^ F – Buggerare < bulgaro, perché i bulgari, in quanto eretici, avevano fama di praticare la sodomia: vedi l'ingl to bugger.
          [**] «Perlita Serra ha deciso di lasciare la carica perché impegnata alle prossime elezioni amministrative di Curno a capo della lista “Vivere Curno”» Si veda Assemblea Pd, bufera per una poltrona anonima.

      • Romana permalink

        Non conosco Max Conti, se non di vista, di sfuggita, perché tempo fa me lo indicarono mentre andavo con la mia vecchia mamma dalle cartolaie in centro. Il viso e la sua espressione non mi piacciono, e mi piace ancor meno quel che scrive sotto pseudonimo: di mostruosa irrilevanza, forse appositamente ricercata. Con Renzi e la sua diretta vivacità toscana non ha nulla a che spartire. Ma forse sono soltanto una vecchia insegnante, ancora legata a certi contenuti tematici ed espressivi.
        Maria Elena Boschi, da Lei adorata (nel senso nobile e galante del termine, adorazione diversa da quella che pur Lei prova per quel ridicolo oggetto d’antiquariato, da smacchiare come un leopardo e pettinare come le bambole, di cui abbiamo più volte disputato): non è soltanto alle donne che la Boschi è antipatica (chi più, chi meno, per le donne è sacrosanto il lapidario e velenoso giudizio della Bindi, quella che, secondo il magister elegantiarum di Arcore, è più bella che intelligente). Lo è nei fatti anche agli uomini, con lei beceramente maschilisti, la gran parte dei quali afferma che ragiona con una certa parte interna e che vorrebbero esaminarle il cervello, che non starebbe propriamente nella scatola cranica.
        Ma entrambi questi modi di reagire distraggono la gente (anche i parlamentari) da quel che dice quale portavoce del governo, e consentono a Renzi di procedere nei suoi disegni di riforma senza grandi ostacoli immediati, con la tecnica del fatto compiuto, da correggere eventualmente in seguito, a decisioni prese.
        Trovo, perciò, che sia un grazioso specchietto per allodole, civettuolo e talora sdolcinato. Ma utile strumento.

  11. Chimico permalink

    @ Max Conti
    @ Gatto padano
    @ Giovanni L.

    È evidente, visto che è ormai sotto gli occhi di tutti, che Aristide e Gandolfi sanno come trarre vantaggio dai propri nemici. Meditate antigandulfiani, meditate.

    [La Serra non vide male, quando applicò a se stessa la parola d’ordine della sobrietà e volle farla circolare nel manipolo dei suoi adepti. Appena aprono bocca politicamente, in maniera parimenti politica s’intortano. Dunque sarebbe meglio tacere. Solo che è più forte di loro, e la Serra non sfugge alla regola. Ogni tanto le scappa un’intervista, come quando si esprime sulla “cittadinanza attiva”, gran bùbbola similprogressista, o sul Consiglio comunale delle ragazze e dei ragazzi (speriamo che non li rovinino), o quando si tratta di farsi fotografare accanto a un’auto “ecologica” e forse anche un po’ steineriana. Peccato che la sobrità serrana — quella sobrietà — non sia tal bella cosa che lorsignori pretendono che sia: bon ton, altezzosa superiorità… Superiorità “de che”? Mica noi ci facciamo fotografare accanto alle Toyota. Mica noi ci facciamo rifilare i pacchetti di pubbliche relazioni preconfezionate e pronte per l’uso da parte di quelli della “Convivialità delle differenze”.
    Per non parlare di Cavagna il Giovane, che ha indetto la guerra dei due Gandolfi. Eppure, se non sbaglio, lo sapeva, che non stava bene agitarsi e stuzzicare il can (oh, i cani!) che dorme
    . N.d.Ar.]

  12. Giudice permalink

    Oggetto: terza effe
    Data: 18 agosto 2015, h 8.49
    Sondaggio online Foscolo vs Leopardi: 555 votanti,
    Risultati attuali: Foscolo 26,7%, Leopardi 73,3%

    Vedi:

    Su «la Lettura» in edicola fino a sabato 22 agosto, AURELIO PICCA mette a confronto due giganti della letteratura, Ugo Foscolo (1778-1827) e Giacomo Leopardi (1798-1837), i loro mondi e le loro eredità. E sottolinea il primato del primo sul secondo. Il giovane Jacopo delle Ultime lettere di Jacopo Ortis si dà la morte, sì. Ma lascia un testamento di passioni civili, religiose, virili che possono essere di insegnamento alla gioventù che verrà. «Ugo Foscolo possiede una trazione posteriore che lo fa balzare nell’oggi e nel futuro». Leopardi, invece, sottolinea Picca, compagno della nostra adolescenza, sembra essere tutto trazione anteriore: impantanato nella modernità, per sua stessa ammissione poeta del «sentimento». Foscolo figlio della Rivoluzione, Leopardi di una condizione individuale. La lezione di Foscolo, dice ancora Picca, è potente e contemporanea: non mollate, anche quanto la patria è rasa al suolo, con la forza, la passione e l’orgoglio di fare da soli. Leopardi canta a tremila metri d’altezza partorendo solo «mille farfalle poetiche».

    • I sondaggi sono i maître à penser dei coglioni

      Sono d’accordo con il giudizio di Aurelio Picca.
      Dissento totalmente dall’idea di fare sondaggi a capocchia su argomenti vagamente “culturali”, come si compiace di fare il Corriere della Sera, per cattivarsi la benevolenza di un pubblico di sciacquette, magari con laurea, ma senz’arte né parte. Queste sciacquette sono le vittime di una scuola di merda. Una persona con un minimo di senso critico dirà che la verità, il giusto, il bello non si decidono a maggioranza. Anzi molti potrebbero dire, insieme con i più brillanti spiriti nutriti di sano epicureismo: odi profanum vulgus, et arceo, cioè “odio il volgo profano e me ne sto alla larga”. Sondaggi come questo rendono un pessimo servizio la cultura. In generale, quasi tutti i sondaggi sono intesi a fare del male fin dall’inizio (i sondaggi servili snocciolati dai politici, per esempio) o, di fatto, fanno del male. Lo so, c’è il business dei sondaggi,se si aboliscono i sondaggi, che ne sarà dei sondaggisti? Degli aziendalisti legati a quel sottobosco? Delle slàid? Ma questo non è affar nostro. Che i sondaggisti vadano a raccogliere i pomodori Samarzano e Pachino. Insomma, impariamo a disprezzare i sondaggi che subdolamente c’invitano a degradarci al livello della sciura Rosina, quella vecchia bagascia. Che voti pure per Salvini, il quale trae profitto dal degrado materiale e morale dell’Italia. Noi ci adopereremo per riscattare le masse dal loro stato di brutalità, proprio come facevano gli “apostoli del socialismo”.
      Dunque se il sondaggio del Corriere della Sera dice che, su 555 votanti, il 26,7% preferisce Foscolo e i 73,3% predilige Leopardi la risposta di chi ha sale in zucca sarà tranchant (senza la “e” finale), cioè tagliente come una rasoiata: “ecchisenefrega?”.
      Detto questo, riconosco che Leopardi fu un genio, un eccellente filologo, un buon poeta. Inutile dire che fosse un erudito, ma questo non è necessariamente un titolo di merito. È pregevole il Leopardi delle Operette morali. Ma come uomo “civile”, cioè nell’impegno politico e in relazione alla società del proprio tempo, fu una frana, non capì niente. A un certo punto fece perfino il rivoluzionario, ma solo per far dispetto al padre Monaldo che gli impartì un’educazione severissima, è vero, ma al quale doveva parecchio. Senza contare che, invece di prendersela con il padre, avrebbe fatto bene a prendersela con la madre, una donna bigotta e crudele, tanto che invidiava le mamme i cui bambini fossero morti subito dopo il battesimo, perché così a sarebbero stati accolti in Paradiso, toccando la beatitudine più perfetta, prima che avessero avuto tempo di peccare.

  13. Musicista permalink

    Seconda F.

    Democrito afferma: “occupati di poche cose, se vuoi trovare l’equilibrio interiore”.
    Ma è davvero così?
    [Ci si può occupare anche di molte cose, ma se si trova il filo conduttore. È quel che fece, per esempio, Newton il quale mise in chiaro come fenomeni diversi — il moto dei pianeti intorno al Sole, le maree in relazione alla Luna e la traiettoria di un proiettile sparato da un cannone — fossero regolati da una sola legge, quella di gravitazione universale. N.d.Ar.]

    • Ambisci arte sonatina permalink

      Certo, il filo conduttore. Ma anche la capacità e la conoscenza necessarie per “vedere” quel filo conduttore. E poi l’umiltà dell’analisi e sintesi critiche.
      Solo così si può pensare, prima ancora che sperare, di cambiare le “sonate” attualmente in voga, in danno dei cittadini spesso ignari.
      P.S.: Come mai i suonatori di Curno hanno perso la favella? Gli si è seccata la lingua? Strano, perché secondo le loro regole aziendalistiche e similprogressiste, è sempre necessario “esserci”, sproloquiare per sovrastare la voce di quegli che ne sa di più, cercar di deviare il discorso. In difficoltà? Timore di una “sonatina”?
      Perché anche questo è a suo modo un filo conduttore, musicale anch’esso: il coro muto.

      [Hanno stabilito di prendere la parola soltanto nelle occasioni cammellate. N.d.Ar.]

  14. Turner: un capolavoro nel suo genere, ma non in assoluto


    Un’inquadratura del film ‘Turner’.

    Ieri, al cinema Capitol di Bergamo, si proiettava il film Turner, che ha per tema la grandezza di William Turner, come pittore, e la sua meschinità come uomo.
    Il film appartiene al genere cosiddetto “biopic”, cioè biopicture, ovvero – in italiano – cinebiografia. È un genere di film non inedito, ma che va affermandosi sempre più come genere tendenzialmente ‘colossico’ e che, quasi per distinguersi dagli altri, nella versione italiana conserva solitamente il titolo inglese: si veda A beautiful mind, un buon film con un grande difetto, quello di aver dato un’immagine falsa della schizofrenia; La teoria del tutto; The imitation game.[*]
    Turner è stato acclamato dalla critica come un capolavoro, e in effetti lo è, purché si specifichi che è un capolavoro nel suo genere.
    Con questa precisazione, possiamo anche essere d’accordo con l’accoglienza della critica militante che, quando è entusiastica, suscita sempre qualche sospetto. Per esempio, fu indecente il cancan organizzato dal sistema delle pubbliche relazioni per il film La grande bellezza di Sorrentino. A parlarne male, si passava quasi per delinquenti. Il fatto è che quel film ambiva spudoratamente all’Oscar, e noi tutti, per essere bravi italiani, avremmo dovuto tifare per quello, agitando le bandierine tricolori com’erano costretti a fare i bambini al passaggio di Carlo Azeglio Ciampi. Come se si trattasse dei «nostri marò» o dell’Alitalia, che assolutamente non doveva finire in mani francesi. Insomma: retorica italiota. Per non parlare poi di quell’altra cacata pazzesca, sempre di Sorrentino, Youth, un film che pretendeva di sbalordirci con il cast internazionale di interpreti, nonostante la sceneggiatura penosa. Un film che il regista avrebbe fatto meglio a intitolare “La grande banalità”: sì, il film delle banalità «spacciate per geniali intuizioni», come scrisse Mariarosa Mancuso sul Foglio.
    Dunque, Turner è un capolavoro, nel suo genere, nonostante l’unanimità dei consensi della critica, platealmente “condivisa” in senso serrano, perciò sospetta. Ottima la ricostruzione degli ambienti, anche se gli interni non hanno le luci di Barry Lyndon di Kubrick (a parte le candele); ma gli esterni sono eccellenti, ricordano a tratti quelli dei Duellanti di Ridley Scott, che è stato il suo primo film, uno dei suoi tre migliori, a pari merito con i più conosciuti Blade runner e Hannibal.
    A differenza di un altro film di argomento pittorico (che però non è una cinebiografia), I colori della passione, [**] qui manca la narrazione. Assistiamo infatti a una serie di episodi della vita degli ultimi anni di Turner intesi a dimostrare una tesi sacrosanta: se uno è un grande artista, o un grande scienziato, non per questo è uno stinco di santo. Oddio, non è che non lo sapessimo: basti pensare a Caravaggio che fu un uomo violento e un assassino, o ad Einstein al quale si volle dare una patente di santità, in quanto pacifista e oppositore del nazismo e del maccartismo, ma che nella vita privata fu un uomo a tratti sordido. [***]
    A differenza del film The imitation game, che aveva la pretesa di mostrare i nessi di causa ed effetto in certi passaggi della vita di Turing, qui i nessi sono totalmente assenti. L’uomo Turner non solo è irrazionale, ma sfugge alla nostra analisi razionale. Poteva capirlo, ma solo come pittore, semmai, John Ruskin. Lo vediamo nel film giovanile, petulante e geniale. Colui che scriverà Le pietre di Venezia, l’esteta vittoriano, il nemico della civiltà industriale, è presentato in una caratterizzazione giocosa.
    È un bene che il regista abbia rinunciato a spiegarci perché Turner era così, perché Turner è fondamentalmente irrazionale anche quando si propone di carpire i segreti della natura studiandone il colore e le transizioni del colore, all’alba e al tramonto. Anche Leonardo, rammaricandosi di essere «uomo sanza lettere», studiava la natura con il disegno, perché il disegno è il risultato di un’analisi. Ma Leonardo era razionale e aveva rapporti sociali proficui. Turner al contrario è istintuale, si esprime a grugniti, ci restituisce l’immagine di un uomo completamente anaffettivo. Leonardo era ditutt’altra pasta: amò teneramente il garzone di bottega Salaì, benevolmente ne sopportava le impertinenze. Turner a tratti è brutale, per esempio quando soddisfa la propria libido su una vecchia fantesca, senza nemmeno degnarla di uno sguardo. Talvolta, raramente, e come per intervalla insaniae, cioè nella tregua della pazzia, è anche sensibile, per esempio quando ascolta un brano musicale. Ma è un artista non dimentichiamolo.
    Semmai merita qualche parola la sua pazzia, ereditata dalla madre che è stata ricoverata in manicomio quand’era piccolo. Ma è una pazzia che riece a tenere sotto controllo. Turner è in grado, come il Ciampa del Berretto a sonagli di Pirandello, di attivare, secondo necessità, e secondo convenienza, la “corda pazza” o la “corda civile”. A dire il vero, Ciampa parlava di tre corde, la terza era la “corda seria”. Ma in Turner non esiste una corda seria.
    Il rapporto con il padre del «pittore della luce» è trattato egregiamente. A suo modo William Turner amava il padre, che gli aveva fatto da padre e da madre, anche se non arrivò a ricambiare il genitore dell’affetto ricevuto. In questo senso, dire che Turner era anaffettivo è sbagliato. Sarebbe più giusto dire che Turner fu anaffettivo nei confronti di tutti, tranne che con il padre. E lo stesso regista, che aveva rinunciato a esplorare i rapporti di causa ed effetto, presentandoci in più di una sequenza il pittore accanto al padre ci consegna gli indizi per svolgere un’analisi che lui non si è sentito di portare a termine.

    Quando si sono accese le luci in sala, ecco il colpo di scena. Eravamo seduti in una fila centrale Gandolfi, sua moglie ed io. Ci accorgemmo che dietro di noi sedeva la dott.ssa Serra, insieme con due dame di compagnia. Ci ha salutati in fretta, ci siamo salutati, poi è scomparsa. Peccato: sarebbe stata un’occasione per parlare dei grandi misteri che mai furono chiariti e mai si vollero chiarire. Quello sguardo d’intesa con Vito Conti, per esempio, quando si impose la mordacchia a Gandolfi perché assolutamente non bisognava mettere sotto accusa (politica) il Pedretti. O quel che c’era dietro l’accordo serrapedrettista, in particolare il lavoro di preparazione del terreno compiuto da Max Conti insieme con il suo amico Rob Pedretti. O l’affaire Toyota, che recentemente ha visto la dott.ssa Serra coinvolta in una campagna promozionale della nota casa automobilistica giapponese.

    ———————————-
    [*] Ci siamo occupati di questo film in una precedente pagina di Nusquamia: The imitation game: un buon film, con venti minuti di troppo.
    [**] Il film dà vita a una storia nella quale agiscono i personaggi rappresentati nella Salita al Calvario del pittore Pieter Bruegel il Vecchio, quello stesso dei Proverbi fiamminghi che abbiamo presentato im una pagina precedente di Nusquamia.
    [***] Einstein ne era comunque consapevole, tant’è che nelle prime pagine della sua autobiografia scrisse: «Per un uomo nella mia condizione è fondamentale che cosa e come pensa e non ciò che fa o soffre».

    • Nusquamia è un foglio impegnato, sferzante ma leale

      Sono pervenuti diversi commenti all’articoletto qui sopra, che s’inizia con una recensione del film Turner e che termina con la cronaca del fugace incontro, nella sala del Capitol, con la dott.ssa Serra. Non ho pubblicato i commenti finora pervenuti, perché porterebbero la navicella di Nusquamia nelle secche di una goliardia disimpegnata (noi invece siamo engagé: cioè impegnati politicamente) o anche impegnata, ma pesantuccia. Riguardo ad altri possibili commenti futuri sull’incontro fugace, si deciderà caso per caso.
      Noi combattiamo lealmente e, a differenza della dott.ssa Serra che si compiaceva della sorda guerra di logoramento politico intrapresa dal Pedretti contro il Gandolfi, e che strinse il patto serrapedrettista, la tuteliamo da attacchi che giudichiamo sopra le righe. Non ci piace che la Serra sia oggetto di sarcasmo non ancorato a fatti concreti, tanto più se si tratta di sarcasmo anonimo. Noi abbiamo attaccato la Serra per il suo coinvolgimento (involontario, come ha detto lei stessa, e non abbiamo ragione di dubitarne) nella campagna promozionale della Toyota, ci ricamiamo su, visto che lei ha assunto un atteggiamento politicamente sprezzante nei confronti dell’interrogazione di Gandolfi, ma non andiamo oltre. E i nostri attacchi non sono anonimi, visto che tutti sanno chi sia Aristide, dopo che la sua identità fu rivelata in un capolavoro di giornalismo anglorobicosassone, su Bergamo news, allora diretto da Zapperi, già principe dei giornalisti anglorobicosassoni.
      Può piacere o non piacere, ma questo è lo spirito “illuministico” di Nusquamia. Non è proibito attaccare la Serra, non è proibito “sfruculiare” Gandolfi: gli attacchi e gli sfruculiamenti sono regolarmente pubblicati, purché leali, purché non oracolari, nel senso che si prestano a interpretazione multipla: quella più malevola, che potrebbe recare danno a Nusquamia, e quella più benevola, a scarico di responsabilità del commentatore che scrive sotto pseudonimo.
      Scrivere sotto pseudonimo in questo diario, e in tutti i diari reziali, è giusto, è sacrosanto, è una tutela della libertà di espressione. Se le intenzioni sono buone, come diceva fra Cristoforo, omnia munda mundis. Se però insorge il sospetto che si voglia portare la navicella di Nusquamia su fondali malsicuri, il navarca interviene per riportare la barra al centro. È questa una censura? Sì è censura, come ben sa il gatto padano. Ma non è la censura di un despota, o di un giornalista poco scrupoloso e prono alla volontà del gruppo Cürenberg. È la censura di chi è destituito di potere istituzionale, di amicizie influenti ecc., di chi combatte il potere reale ed è costretto pertanto a guardarsi le spalle, di chi si sente in dovere di difendere l’esistenza di Nusquamia e la sopravvivenza dello spirito di Nusquamia.

  15. Dedicato agli aziendalsimilprogressisti in carriera

    Qui sopra un appello del’Opera san Francesco per i poveri. Lo giriamo agli aziendalsimilprogressisti che in quanto aziendalisti hanno mutuato il peggio dell’etica protestante del capitalismo, cioè l’idea che il denaro, la carriera e i successo siano manifestazione della benevolenza divina. Ergo essere egoisti ed eventualmente sleali, se essere sleali serve ad affermare il proprio ego, è giusto: Dio lo vuole! Sì, ma questo non è il Dio della buona novella, questo è il Dio degli eserciti, quello cattivo della Bibbia, un Dio barbarico che si rivolgeva, come scrisse Voltaire, a una comunità primitiva di pastori. Fra l’altro, l’etica protestante nel suo contesto, con i suoi contrappesi nei paesi toccati dalla Riforma, ha senso. Non è perniciosa. Ma l’etica protestante, rimasticata dall’aziendalismo, coniugata con il consumismo e introdotta in Italia, paese del familismo amorale, ha prodotto il deserto morale. Altro che convivialità delle differenze: noi con questi aziendalisti proprio non vogliamo sederci a tavola. Noi disprezziamo l’egoismo.
    Signori aziendalsimilprogressisti, smettetela di pensare sempre a voi stessi, alle vostre carriere! Altro che indossare i sandali francescani, buoni per le fiaccolate ma anche, e soprattutto, perché in questa stagione stanno bene sul piede abbronzato.

    A proposito di sandali francescani
    Giangiacomo Feltrinelli, com’è noto, a un certo punto della sua vita e del suo impegno politico, entrò in clandestinità. Scomparve per qualche tempo, finché ricomparve ai piedi di un traliccio di Segrate; in tasca aveva un documento falso intestato a tale Maggioni: si era arrampicato sul traliccio per collocarvi un ordigno a orologeria, ma non aveva pensato alle correnti elettriche indotte dal campo magnetico variabile associato a una linea ad alta tensione. Queste correnti avrebbero comunque provocato l’innesco.
    Nei primi tempi Feltrinelli si trovava alla macchia sul monte di Portofino: aveva anche lui la passione per i sandali, sandali simil-francescani. Ormai era ricercato, la sua fotografia era stata distribuita alle stazioni di polizia e ai comandi dei carabinieri. Eppure non dubitò di scendere giù in paese per acquistare i sandali, quei sandali, in una boutique rinomata del posto. Rischiò di essere catturato, ma il desiderio dei sandali “fichi” era più forte di lui.

    Colgo l’occasione per fare l’elenco delle calzature più odiose:
    • al primo posto, le famigerate espadrillas, che tanto piacciono ai cattoprogressisti, quelle che si portano «scalcagnate dietro, quasia a pantofola e che dànno un senso di sporcizia, di sfacciataggine», secondo le parole di Nanni Moretti (si veda il video qui sotto);
    • al secondo posto, le orribili infradito, generatrici di batteri e funghi (si veda Dieci motivi per non indossare le infradito);
    • al terzo posto, i sandali francescani, che spudoratamente ostentano un numero incredibile di dita deformi, ditoni (detti anche alluci) sgraziati, mignoli ritorti: non tutti, per la precisione non tutte, hanno il bel piede di Gradiva, che è oggetto di un bel racconto antichista di Jensen, analizzato da Freud. Naturalmente, non ho niente da dire contro i sandali francescani indossati dai francescani veri. Detesto i sandali indossati dai borghesi.


    Il discorso sulle espadrillas è al min. 4 : 11.

    • Maria de la F. permalink

      Però i sandali aperti, tipo Geox, francescani fin che lei vuole, d’estate, anche per il mio ragazzo oltre che per me, sono comodi, freschi, confortevoli, ti fanno sentire libero e… non ti fanno puzzare i piedi. Mica niente. Per questo li indossano in tanti e non solo i cappuccini. E contribuiscono al risparmio dell’acqua, perché si lavano meno le lenzuola.

      [Mio nonno, un signore borghese all’antica, colmo di durezze, ma non meno intransigente con se stesso che con gli altri, non approverebbe nemmeno i sandali tipo Geox. Io un po’ devo somigliargli. Anni fa, non essendo riuscito a evitare il tedio di un congresso dove avrei sentito persone che con pronuncia inglese approssimativa leggevano relazioni tecniche che, quando fossero state degne di esser lette, si sarebbero finalmente capite sfogliando gli atti del congresso medesimo, inorridii alla vista di un relatore tedesco che saliva sul podio vestito di tutto punto, con il cravattino a farfalla, ma calzato di sandali. Come dice Kurz prima di morire, in Cuore di tenebra: Che orrore! Che orrore! N.d.Ar.]

  16. Preferirei essere un martello, piuttosto che un chiodo

    Avete visto il film Wild? È la storia di una ragazza, interpretata da Reese Witherspoon, che per mettere ordine nella sua vita decide di affrontare da sola il Sentiero delle creste del Pacifico (Pacific Crest Trail) che, a farlo tutto, comincia al confine tra gli Stati Uniti e il Messico e termina a nord al confine tra gli Stati Uniti e il Canada (4286 km).
    La protagonista è nuova a queste imprese, ma non fa niente, ha deciso di voltare le spalle a una vita di sesso, droga e rock’n’roll — così si diceva un tempo – e ci riuscirà.
    Nella scena iniziale la vediamo in cima a un precipizio, raggiunto dopo la difficile ascensione su per una scarpata. È provata dalla fatica, finalmente può levarsi lo scarponcino, il piede è martoriato, l’unghia dell’alluce si è staccata. Si tratta di trovare il coraggio di strappare quell’unghia. Per trovarlo, dice a se stessa: «Preferirei essere un martello, piuttosto che un chiodo». Sono le parole della seconda strofa di El Condor pasa, nella versione inglese cantata da Simon e Garfunkel:

    I’d rather be a hammer than a nail.
    Yes I would,
    If I only could,
    I surely would.

    In un’altra scena dal film si sente invece:

    I’d rather be a sparrow than a snail.
    Yes I would,
    If I could,
    I surely would.

    Cioè, “Preferirei essere un passero, piuttosto che una lumaca / Sì, preferirei / se potessi / certo preferirei.

    Questa canzone, con queste buffe parole nella versione di Simon e Garfunkel, è un tema musicale ricorrente nel film, in associazione al ricordo della madre della ragazza. La morte della madre, in aggiunta all’infanzia difficile, al matrimonio fallito, al sesso e alla droga (qui però non c’è il rock’n’roll) avevano fatto crollare la ragazza, che, grazie al viaggio, rientra nella “normalità”. si sposerà e avrà una figlia alla quale imporrà il nome della madre.
    Il film appartiene al genere “di sopravvivenza”, con l’idea che la natura possa essere un agente di redenzione e che le poesie di Emily Dickinson possano essere un viatico efficace. Io avrei qualche dubbio, soprattutto sulla poesia di Emily Dickinson, ma non fa niente. Avrei qualcosa da dire anche sulla natura della quale ci si ricorda quando si è con il culo per terra, come quando ci si ricorda di Dio in punto di morte, ma mi taccio perché sarebbe un discorso troppo lungo.

    E adesso sentiamo El condor pasa nella versione degli Inti Illimani (stupenda!).

  17. Appendice sul caso Galantino

    Ho completato l’analisi del caso Galantino, nell’articolo qui sopra riportato Poiché monsignor Galantino si occupa di politica…, con alcune considerazioni che ho preferito mettere in calce, per non appesantire il discorso. Avrei potuto limitarmi a presentarle a parte, come faccio adesso, ma ci tenevo a fare un discorso coerente, con un capo e una coda. Un discorso serio, nei limiti delle nostre possibilità, perciò non accetto commenti goliardici che, per screditare Nusquamia, screditerebbero il discorso. In particolare, non li accetto in questa pagina, che pretende di avere una sua dignità ideologica. Ecco, in parte, le considerazioni di approfondimento apportate in nota all’articolo menzionato.

    1. Sulla Chiesa povera e la spettacolarità di papa Francesco – Ometto la dimostrazione del passaggio, inevitabile, dalle posizioni del mons. Galantino alla povertà della Chiesa. Qualora non fosse evidente (come appare evidente a don Mazzi, che è sulle posizioni di Galantino) possiamo parlarne. Non basta, evidentemente, sostituire la croce pettorale d’oro con una croce di latta, come ha fatto papa Bergoglio. Quello è solo un fatto simbolico che a noi razionalisti, ma non pregiudizialmente avversari della Chiesa, non è piaciuto granché. È stato un gesto corrivo alle esigenze della società dello spettacolo. Papa Francesco dice cose straordinarie, alle quali plaudiamo sinceramente: come quando, parlando ai prelati della nunziatura, li mise in guardia contro i pericoli del narcisismo e del carrierismo. Quando, in buona sostanza, senza nominarla, prende posizione contro l’etica protestante del capitalismo. Quando, proprio ieri, ammoniva i fedeli con queste parole: «Quando il lavoro si distacca dall’alleanza di Dio con l’uomo e la donna, quando si separa dalle loro qualità spirituali, quando è in ostaggio della logica del solo profitto e disprezza gli affetti della vita, l’avvilimento dell’anima contamina tutto: anche l’aria, l’acqua, l’erba, il cibo…». Insomma il profitto avvelena l’anima, ed è evidente che il papa non parlava della “famiglia” Lgbt. Sì, papa Francesco dice cose meravigliose, ma scivola su fatterelli, espressioni e decisioni che sono degni più di una damazza delle terrazze romane o dei salotti milanesi che di un pontefice.

    2. Salvini, come in altri tempi i sindacati, lucra sul malessere degl’italiani – Fuori di metafora, per chi non avesse capito: a Salvini fa comodo il disagio degli italiani marginali o marginalizzati (i giovani disoccupati cronici, i cinquantenni che hanno perso il lavoro ecc.), proprio come ai sindacati facevano comodo i lavoratori di Bagnoli impauriti dallo spettro del licenziamento. Il sindacato non faceva niente perché si uscisse da quella situazione di stallo. Analogamente Salvini non aiuta Renzi — anzi, non lo costringe — a mettere a segno quelle poche cose concrete che il bullo fiorentino dice di voler fare, ma che non ha la forza di fare. Salvini non porta un contributo perché Renzi faccia quello che non può fare, non vuol fare e non sa fare. Meglio Berlusconi, allora. Salvini fa la politica del pire ça va, mieux ça est, cioè del tanto peggio, tanto meglio, perché di qui trae il suo lucro elettorale. Si fa vedere in giro accompagnato da quel suo segugio sempre affannato, l'”economista” ambiziosetto Claudio Borghi, che certifica con la sua pseudoscienza tutto ciò che Salvini dice. Così lui, Salvini, getta la palla oltre l’ostacolo, il gioco continua e lui ha il suo bel guadagno (per il momento). Quello di Salvini è un modo di fare politica indecente, immorale. Neanche i democristiani si comportarono mai così, consapevoli del fatto che per poter trarre un lucro elettorale e di potere, dovevano tuttavia dare al corpo sociale la possibilità di sopravvivere.

    • Invoco riflessi blu permalink

      Parto dal fondo: noi democristiani siamo partiti dal pensiero di don Sturzo e de Gasperi, quindi, da un concetto veramente democratico per quei tempi e non di struttura/organizzazione di potere, come invece altri. La degenerazione è venuta dopo, quando ci si è (per necessità) dovuti mettere assieme agli altri. I due criteri erano inconciliabili e si è caduti in quello meno virtuoso ma di maggior profitto, personale e di gruppi. Ciononostante mai, anche nei profittatori, è venuta meno la convinzione che la società dovesse sopravvivere per naturale forza propria. Non così per gli altri.
      Credo che per questo, perché non era nel nostro Dna occupare la società e sostituirla, ci siamo estinti ed è stato facile spazzarci via completamente.
      Ma non credo sia un capitolo completamente chiuso sotto l’aspetto del pensiero, ed è per questo che cerco di ragionare con voi, per ora gli unici coi quali ci si può confrontare in questa zona.
      Per tutto ciò, sono anch’io entusiasta di Papa Francesco, profondo riformatore, e mi interessano poco le sue concessioni alle pessime abitudini attuali della comunicazione di massa.
      Salvini: fa quello che facevano i sindacati, lucra sul disagio. Vero. Ma non del tutto. I sindacati avevano una parte politica cui riferirsi, e ne hanno seguito in modo suicida le strategie invece di elaborarne di proprie.
      Anche Salvini non sembra avere una chiara visione di riforma della società e dello Stato, ma oggi a chi dovrebbe dare sostegno, assumendosi responsabilità e nessun controllo? A quel Renzi che parla e basta, non mostrando neppure lui un quadro riformista? Quel poco che fa è quanto meno contraddittorio. Lo scandalo romano è indicativo della sua impotenza di fronte al potere effettivo della mafiosità diffusa, delle cosche nei partiti, nel suo stesso partito.
      Resta la considerazione che, oltre alla figura gigantesca del Papa, nel panorama politico italiano, fatto fuori inopportunamente Berlusconi, l’unico politico d’interesse è purtroppo proprio Salvini. Del quale lei giustamente si occupa quasi in esclusiva. Criticandolo e avversandolo. Ma non c’è altro fuori dal pantano dell’omologazione sociopolitica. Prr questo invito a riprendere, rivisti, i presupposti del 1993.

      • La mafiosità dei partiti non giustifica lo sfascio postulato da Salvini

        Salvini non è il capo del governo e noi non abbiamo alcun dovere nei suoi confronti. Renzi invece è capo del governo e nei suoi confronti abbiamo il dovere:
        a) di costringerlo a operare bene, se riteniamo che non esista un’alternativa a Renzi;
        b) di farlo cadere, se abbiamo un’alternativa praticabile e migliore.

        Questo, naturalmente, non significa che, quando andremo a votare, voteremo per Renzi. Ma far cadere Renzi solo per farlo cadere, senza alternative serie o addirittura mettendo in pericolo la tenuta democratica del paese, è sciocco. Così come fu sciocco dare credito alle baggianate di Tsipras, che ha dovuto far inghiottire ai suoi connazionali condizioni più gravose di quante avrebbero dovuto subire, se avessero da principio accettato le condizioni draconiane imposte dalla Germania. Certo, c’era un’alternativa: non pagare i creditori, tornare alla dracma e instaurare un regime di autarchia. Ma Tsipras non era l’uomo adatto.
        Soprattutto, teniamo bene a mente che la mafiosità dei partiti non giustifica lo sfascio che torna comodo a Salvini. Alla mafiosità dei partiti si risponde con misure di repressione (a tutto campo, o “a 360°”, come dicono quei coglionazzi aziendalisti) e con ampio dispiegamento di rigore etico. Qui, veramente, papa Bergoglio potrebbe esserci d’aiuto. Però dovrebbe rendersi conto che monsignor Galantino non gli sta rendendo un bel servigio. Monsignor Galantino, a ben vedere, vorrebbe essere il Claudio Borghi di papa Bergoglio, il suo segugio; papa Bergoglio, però, non è Salvini (ci mancherebbe!).
        Non è vero che Salvini sia «l’unico politico di interesse». Salvini è l’orrore.

        La scuoletta di partito di Salvini
        – Mi sembra penosa l’ultima trovata di Salvini: una scuola di formazione politica del partito, un’ennesima scuoletta, una pallida e squallida imitazione della scuola di partito alle Frattocchie del Partito comunista italiano, che a sua volta era un’imitazione degli Esercizi spirituali della Chiesa cattolica, introdotti da Ignazio di Loyola. Con la consegna, ovviamente, che l’indirizzo della scuola di partito della Lega 3.0 sia di stretta osservanza salvinesca, con il contorno, però, di qualche voce critica, così sembra una cosa fru-fru. Ma alle Frattocchie e negli Esercizi spirituali della Chiesa, come pure nei “ritiri” della democristianeria, non c’era niente di fru-fru. Ma chi crede di essere, Salvini, il guru di Comunione e liberazione? Quelli di CL sono specialisti dell’organizzazione di eventi con riscontro mediatico [*] e hanno in organico, ai massimi livelli, persone anche intelligenti. Nella Lega 3.0 ai massimi livelli c’è soltanto Salvini, che non è nemmeno tanto intelligente. È furbo, è spregiudicato: ma l’intelligenza è un’altra cosa.
        I seminari delle Frattocchie e quelli della Chiesa cattolica erano cose serie, da Salvini non possiamo aspettarci altro che smargiassate. Dice Salvini che a questa sua scuoletta (costo di iscrizione: 600 €) vuol chiamare Landini, l’urlatore sindacalista, Marine Le Pen e Varoufakis. Se intervenisse Landini non mi meraviglierei, perché quello è un personaggio della società dello spettacolo; se interviene Marine Le Pen, neanche questo mi meraviglia granché, considerato che lei, pur essendo comunque a sinistra del fascioleghista Salvini, pur donna di destra, pur novella Giovanna d’Arco, non si sputtana più che tanto. Mi meraviglierebbe parecchio, invece, che intervenisse Varoufakis. Quello è un piacione sexy, un furbo di tre cotte, ed è anche intelligente: chi glielo fa fare di sputtanarsi così? Spero che Maria Luisa Rodotà sappia consigliarlo bene: lei è la figlia di Stefano Rodotà (il giurista “scienziato” il cui traghettamento dal Partito repubblicano al Partito comunista fu inutilmente osteggiato da Giancarlo Pajetta) e ha preso una cotta per Varoufakis.

        ———————————
        [* Si veda Meeting Comunione e Liberazione, tra i relatori anche deputato M5S: “Ma andrà con approccio critico”.

      • Intingo boa alati permalink

        Quindi devo dedurre che secondo Lei oggi in sede nazionale non c’è un’immediata alternativa a Renzi. Dunque, fa bene Berlusconi ad accordarsi in segreto, facendo la stessa cosa che Alfano ha fatto alla luce del sole. Resta però il problema di creare e formare un’alternativa, a Renzi come all’ormai fatiscente sistema dei partiti. Come si può fare?

        • Calma e gesso. Se si cambia strada, dev’essere una strada migliore

          Se non abbiamo la forza, i numeri, per creare un’alternativa ilico et immediate, da cogliere cioè al volo nella sua immediatezza, bisogna aprire bene gli occhi, seguire le tracce e cogliere le occasioni che l’avversario ci presenta, talora praeter spem, di là dalla nostra speranza. Non facciamo così anche a Curno? La dott.ssa Serra manovra le truppe cammellate, può contare sull’indotto scolastico e la force de frappe delle associazioni, è vero. Abbiamo contro la stampa anglorobicosassone, è vero. Ma non fa niente, resistiamo. E facciamo bene a resistere. Infatti, non è forse crollato il Pedretti? Cavagna il Giovane non è stato forse sfanculato? E chissà quante altre sorprese può presentarci la cronaca della politichetta curnense, talora anche con un nostro modesto contributo, soprattuto adesso che il gioco si fa duro. L’importante è perseverare, osservare, ragionare, prepararsi a fare la mossa giusta e scatenare l’offensiva quando e come ci conviene, senza prendere imbeccate interessate, senza prestare ascolto al canto delle sirene che ci porterebbero su un terreno insidioso. Estinguendo il sacro fuoco della concitazione, casomai il pòdice prendesse fuoco.
          Non so se Berlusconi faccia bene, perché non conosco le sue intenzioni. Visto che è prigioniero del cerchio magico, anche lui, dubito che faccia bene. Lui si fida molto dei sondaggi che, come abbiamo scritto, sono i maître à penser dei coglioni; fra l’altro, i sondaggi di Berlusconi, come tutti i sondaggi commissionati dai partiti e dagli uomini politici, sono finalizzati a una risposta in termini di potere: quel che conviene fare per accularsi alla tolda di comando.
          La mia analisi è invece ideologica, indifferente alla posizione di Salvini eventualmente in testa ai sondaggi, indifferente, anzi preoccupato del fatto che possa contare sull’amicizia di Putin e Kim Jong-un. Per me questi tre restano delle grandi schifezze, mai e poi mai farò atto di sottomissione culilinctoria.
          Che fare? Resistere, direi; fare il proprio dovere, essere in pace con la propria coscienza, seguire il “pincipio superiore”, se uno è un “uomo di conseguenza”, cioè se è un uomo. Si veda la pagina di Testitrahus che ho dedicato al film Il principio superiore.
          Non sono un moralista, non sono un fanatico delle “mani pulite”, che furno una grandissima mistificazione: servirono a liquidare sul nascere la possibilità di una modernizzazione dello Stato, quale avrebbero anche potuto sortire, per una sorta di astuzia della Storia, la convergenza dell’affermazione della Lega nord, allora anti-sistema, e dell’azione disgregatrice del piccone di Cossiga. Dico che le mani si possono anche sporcare, talvolta è necessario. La vita ci pone davanti a scelte dolorose, talvolta, ma bisogna scegliere: vedi la storia raccontata nel film La scelta di Sophie. Certo non mi sporco le mani per uno come Salvini.
          Dovrei stare con Salvini perché alleandosi con i fascisti e chiamando i topi delle fogne a votare per lui, Salvini potrebbe sostituirsi a Renzi? Eh, no! Merda!

  18. Gadgettistica papale

    In edicola è possibile acquistare un’elegante serie di fascicoli, intitolati ai «rosari della devozion di papa Francesco». È un’iniziativa della rivista Il mio papa (vedi qui sotto).

    Segnalo in particolare:
    • Con il primo numero (a 3,99 euro, oltre al costo del giornale) c’è il rosario del Buon cristiano con la Croce di Francesco.
    • La seconda uscita (19 agosto) include la Corona francescana.
    • Con la terza uscita (26 agosto) c’è il rosario della Madonna che scioglie i nodi.

    In ogni caso, i rosari potranno essere acquistati insieme a Il mio Papa, Sorrisi e Canzoni o Confidenze.

    E pensare che noi prendevamo per i fondelli il Pedretti, per questa sua benedetta mania dei gadget. Però, diamo a Cesare quel che è di Cesare: ai rosari come gadget ci aveva già pensato lui.

    Certo che se n’è fatto di progresso, dal tempo in cui nei negozi per turisti di Città alta si acquistavano preziosi oggetti di ricordo come quello che vediamo qui sotto, dove il papa buono posa con John Kennedy («i due Giovanni») con in più, come per omaggio, Bob Kennedy. Eh, altri tempi!

    • Romana permalink

      Guardi che tutti quei gadget [si riferisce ai «rosari della devozione di papa Francesco»? N.d.Ar.] sono nulla, bazzecole, roba per smacchiare i ghepardi e pettinar le bambole [povero Bersani: è un santo! E che c’entra lui con i gadget francescani? a proposito: a quando i sandali francescani in edicola? N.d.Ar.]. I veri gadget sono quelli offerti a cooperative e associazioni per “fantastiche” prestazioni. Dei quali ovviamente la maggioranza non parla, l’opposizione non ne è capace e ne discute solo Lei, con quel poco che può venirne a sapere.

      [Lei chiama “gadget” le consulenze, per esempio, o, in generale, gl’incarichi assegnati alle associazioni? Per non ingenerare confusione, io preferisco chiamere le consulenze e gl’incarichi con il loro nome. Sì, lo so, ci sono, ci sono: ma io, in particolare, non ne so quasi niente, giusto quel che lorsignori vogliono farci sapere in occasione di qualche sparata mediatica. Ma non ha visto che sono sempre più sobri? Si sentono sotto tiro e hanno ridotto al minimo le sparate. Ma non per questo stanno con le mani in mano. Qualcosa si potrebbe capire passando una per una tutte le delibere di giunta, leggendole fra le righe, ponendosi domande pertinenti e impertinenti. Occorrerebbe che questo lavoro fosse svolto da qualcuno che è bravo, che se n’intende. In ogni caso, io credo che sia tutto a norma di cacata carta: anzi, ne sono sicuro. Moltissimi aspetti insidiosi della gestione allegra del “sistema Italia” sono a norma di cacata carta. Per esempio, l’esistenza degli enti inutili. Inutili sì, ma legittimi e a norma di cacata carta. Anche le spese pazze e i relativi rimborsi alla Regione lombarda erano a norma di cacata carta, finché non si è data un’interpretazione diversa delle cacate carte.
      Già: l’interpretazione delle cacate carte. Come quando Renzo andò dall’Azeccagarbugli e da principio il notaio gli disse che ma sì, la cosa non era poi così grave. L’Azzeccagarbugli disse così perché credeva che Renzo fosse al servizio di qualche signore, e che proprio Renzo avesse commesso qualche soperchieria. Quando capì che era vero tutto il contrario, e che Renzo era un povero operaio tessile, vittima di un sopruso, lo cacciò in malo modo, insieme con i suoi capponi. Fortuna che talora c’è un giudice a Berlino: e in quello noi speriamo, ma, ormai, molto fievolmente.
      N.d.Ar.]

      • Agnina fossile permalink

        Quello che lei suggerisce di fare sarebbe esattamente il compito dei consiglieri della minoranza. Fino alla scorsa legislatura la minoranza poteva avere un ruolo. E lo dimostra il fatto che, col tradimento politico del Locatelli, essa (attuale maggioranza) riuscì, in alleanza col Pedretti, a far saltare il consiglio comunale.
        [O io non ho capito, o qui c’è qualcosa che non torna. Il Consiglio comunale al tempo dell’Amministrazione Gandolfi è saltato 40 giorni prima della scadenza naturale del mandato per via del patto serraperettista, la cui trama è stata tessuta da Max Conti ‘extra moenia’ fuori cioè delle mura del brutto Municipio. Probabilmente con la benedizione degli attori del territorio: altrimenti perché far cadere Gandolfi quaranta giorni prima? Come ho già spiegato, il brutto gesto di dare le dimissioni in massa, da parte dei congiurati, era un segnale preciso, un pegno di finalmente trovata concordia antigandulfiana. Qualcosa del genere abbiamo visto in ‘Assassinio sull’Orient Express’, come illustrai a suo tempo su Nusquamia. N.d.Ar.]

        Oggi, dopo la sciagurata riforma fortemente voluta dal ghepardo pseudocomunista (in visione presso lo zoo di Piacenza), è quasi sempre impossibile nei piccoli comuni fare opposizione. Che così è quasi sempre ridicola, come a Curno, e comunque priva di efficacia. [Povero Bersani: qui viene trattato come se si fosse laureato sul “pensiero” di Martha Nussbaum. Non è giusto, protesto! N.d.Ar.]

        Pensare che i comuni cittadini possano sostituirsi alla minoranza, che è stata appositamente frammentata e sterilizzata, è un’irrealizzabile utopia.
        [Però i comuni cittadini, e più ancora quelli fuori del comune, coloro che hanno competenze tecniche, potrebbebro dare una mano: sarebbe il loro interesse, oltre tutto, un interesse “di classe”. Capisco che in Italia, a quanto pare, tutti hanno diritti e nessuno ha doveri; e che se a qualcuno rinfacci i suoi doveri, quello sovente si mette a urlare (a me è successo di assistere a episodi del genere). Ma ritengo che i cittadini del Terzo stato, in particolare, e soprattutto loro, non possono pretendere che Gandolfi o Nusquamia facciano quel che sarebbe dovere dei cittadini fare, mettendo le proprie competenze al servizio della causa comune. N.d.Ar.]

        L’unica arma è che i singoli consiglieri di minoranza rompano le balle su tutto, facciano lunghe interrogazioni a valanga, propongano mozioni una dopo l’altra, come facevano questi qui quando erano minoranza, questionando anche sulla marca delle mutande degli islamisti di Boko Aram piuttosto che di quelle dell’imam di Curno in relazione al colore della poltrona del sindaco.
        All’oppressione per cacata carta si risponde con metodi consentiti dalla cacata carta, di brutto, senza riguardi e con giusta cattiveria, fregandosene dei sorrisetti o delle disapprovazioni della Maria Antonia Svizzera. Ciao.
        [Non sono d’accordo, per due ragioni. La prima, perché gli aziendalsimilprogressisti godono di tutta una rete di relazioni che li aiutano a confezionare i “pacchi” talora in maniera egregia, senza contare che alcuni di loro sono obiettivametne bravi. Se per esempio, devono favorire un’ssociazione per loro importante, ai fini del ritorno elettorale, a confezionare il ‘pacco’ non c’è solo il consigliere similprogressista, ci sono anche i componenti dell’associazione, i consulenti dell’asssociazione, tutta una rete di relazioni. Non si può dire invece che siano bravi né l’ansimante Cavagna il Giovane, né tampoco la fasciofemminista. Ma neanche di Gandolfi si può dire che sia particolarmente bravo, né potrebbe esserlo, se appena si considera la sua condizione di minorità, quanto a risorse umane, me nemmeno trascurando che ha altri meriti, non quello di sondatore delle cacate carte: perciò dico che qualche rappresentante del Terzo stato, invece di pretendere l’impossibile da Gandolfi e da Nusquamia, stando alla finestra e vedere quanto riescono a resistere (resistiamo, resistiamo…), desse una mano. La seconda ragione è che a voltolarsi e rivoltolarsi nelle cacate carte, oltre lo stretto necessario, ci s’immeschinisce. Del resto Cavagna il Giovane si dà molto da fare nel senso che lei dice, ma con risultati risibili. Va bene che lui è Cavagna il Giovane… Ho già detto che talora bisogna pure sporcarsi le mani, ma adesso aggiungo: senza godere, perdiana! Così nel ‘Giorno della civetta di Sciascia’ si espresse il capitano Bellodi rivolto al maresciallo che si propose come molto bavo a scrivere una lettera anonima, per stanare un mafioso. Il capitano accettò la proposta, con questa postilla: «Va bene, facciamolo, ma almeno senza godere!». In generale, i problemi politici vanno affrontati sul terreno politico, che è poi quello dove siamo più forti, tanto che lorsignori se la dànno regolarmente a gambe, quando si tratti di avere un confronto non cammellato. Invece sulle cacate carte, visto (anche) che nessuno ci dà una mano, sono più forti loro. Dunque, perché dovremmo dar battaglia su un terreno dove mostrano di essere in evidente vantaggio? Il che però non significa che rinunciamo, per principio, a esaminare le cacate carte. Dobbiamo però francamente ammettere che, nel trattare quell’olezzante materia, siamo meno bravi.
        Sono d’accordo, invece, sul fatto che non dobbiamo farci impressionare dai sorrisetti asseverativi o sprezzanti. Anzi, bisogna essere svelti di parola: Lei sprezza? E io insisto! Lei dice “Non m’interessa!”? Ma la cosa interessa a me! Lei dice “Basta!”? E io dico che non finisce qui!
        N.d.Ar.]

        .

      • Sandali francescani


        Sandali simil francescani Birkenstock con suola anatomica consigliati per le fiaccolate e le àgapi cattoprogressiste. Agape = convito fraterno presso le prime comunità cristiane; dunque siamo in tema con la “convivialità delle differenze”.

        Scrive Giulia Blasi, «scrittrice, creatrice e curatrice di contenuti per il web e social media manager, da settembre 2014 conduttrice di Hashtag Radio 1, striscia di satira quotidiana da Twitter, in onda su Radio 1»:

        Sì, fa caldo, e quando fa caldo anche voi reclamate il diritto di andare in giro con meno stoffa possibile addosso. E quindi il pinocchietto, che lasciatevelo dire, fa schifo. Fa proprio schifo. E se altrove noi siamo costrette a tenere testa e braccia e gambe coperte anche a cinquanta gradi, voi potreste anche fare lo sforzo di tenere nascosti quei polpacci pelosi; ma è un paese libero, e quindi pinocchietto sia. E sia anche il sandalo, che fa anche più schifo del pinocchietto, perché non esistono – non esistono proprio, nonostante gli sforzi congiunti degli stilisti di tutto il mondo – sandali da uomo che non siano orrendi. Quindi finisce che vi comprate le Birkenstock. La Birkenstock è quella cosa che se una è un po’ indecisa se darvela o meno [‘si parla della prima F, evidentemente: N.d.Ar.], vede le Birkenstock e non ve la dà più.
        […] Ma se proprio ve le dovete mettere, ‘ste Birkenstock o sandali che dir si voglia, e non siete dei frati francescani, vi preghiamo, vi imploriamo: la pedicure. Minima. Il piede lavato. L’unghia pulita e tagliata. Sembra banale, ma milioni di uomini vanno in giro lavati, sbarbati, pettinati e improfumati e con dei piedi da senzatetto. Piedi che stanno a tanto così da Howard Hughes verso la fine della sua vita. Piedi imperdonabili anche ai peggio fricchettoni.
        […] Eppure sono dappertutto, ’sti piedi conciati da fare ribrezzo. È come se lo sforzo di cura della persona si esaurisse intorno al ginocchio, e il resto fosse negoziabile. Ma non lo è! Non lo è, sappiatelo! Noi guardiamo i vostri piedi, li guardiamo e spesso dobbiamo farci una ragione del loro essere inguardabili. Poi, per carità, magari avete altre qualità: ma quella sciatteria rimane.

  19. Fossile non fossilizzato permalink

    @ Agnina fossile, Romana, Intingo boa alati, Invoco riflessi blu, Petra Groa.
    Se queste signore e questi signori hanno qualcosa da suggerire, perché non dirlo apertamente?
    Ho motivo di credere che tutti questi personaggi siano una persona sola, vista la consistenza dei discorsi alati transeatori che terminano tutti verso lo stesso aulico fine. Tutti quanti stridono verso un fine, ma il qual fine non si defila in nessun antro e quindi credo siano tutti partoriti dalla stessa penna. Per me, che son di sinistra ma non troppo e di destra marxista. A volte franchista.
    [Franchista, nel senso di Francisco Franco? Mamma mia! Beh, allora lei sarà alleato di Salvini. N.d.Ar.]

    Comunque convengo con elle, che il segretario di partito piddino curnense e la sindachesa abbiano poco da temere se da voi non esce nulla se non concitate parabole.
    [Non sia reticente, siamo abituati a sentire i buoni consigli: che cosa dovremmo fare, secondo lei? Mettere le bombe sull’uscio dei giornalisti anglorobicosassoni? Impossibile: siamo contro la violenza, la denuncia ecc. come succedaneo della dialettica. Abbiamo quella, e quella usiamo. O forse, anche lei vuol dire che dovremmo accedere all’ipotesi inculante (per noi) di un’alleanza con Forza Italia? Dovremmo sputtanarci, per fare poi che cosa?
    Parabole? In italiano “parola” deriva dal gr. παραβολή, cioè, “parabola”. Di mezzo c’è l’egemonia culturale dei sacerdoti che raccontavano la buona novella, cioè il Vangelo, ricco delle parabole di Cristo. Con tanti saluti alla mistica dell’identitarismo, fra l’altro. Ometto tutti i passaggi del discorso e arrivo alla conclusione. Lei forse voleva dire che usiamo le parole. Certo, usiamo le parole, lealmente. Mica scriviamo lettere anonime. Vada dunque per le parabole. Ma perché concitate? Se c’è una cosa che a me, epicureo, fa schifo è proprio la concitazione, il fuoco al culo, l’ebbrezza mistica. O lei ha sbagliato il vocabolo, o non ha capito niente, abbia pazienza.
    N.d.Ar.]

    • Romana permalink

      Nell’apprezzare la sarcastica e demolitoria critica al precedente intervento da parte del prof. Aristide, rivendico la mia indipendenza di pensiero, che non deve rendere conto di sé a chi la pensa diversamente, e nemmeno deve essere a costui o costoro omologata.
      Penso che abbiate ideologicamente accorpato pensieri, possibilità e intenti diversi e fra loro inconciliabili mentre abbiate separato con nettezza ciò che finalisticamente avrebbe dovuto rimanere unito e che avrebbe potuto interessarvi. Se in questo consiste il marxismo di destra tanto sbandierato, meglio quello pur scivoloso della sinistra serratica, anche se similbersaniano e non renzista.

      • Esortazione alla chiarezza di linguaggio

        Nella frase «Penso che abbiate ideologicamente accorpato…» manca il soggetto. Né esso è deducibile dal contesto. Non dico che lei, cara prof.ssa Romana, lo faccia apposta, se non è stata perspicua. Ma sono costretto a ricordarle che la chiarezza di linguaggio non solo è fondamentale per un discorso “fattivo”, come anche si dice, ma è specchio di onestà. Dunque dobbiamo impegnarci a fare discorsi chiari, perché non si pensi male di noi, come se di prposito avessimo voluto intavolare un discorso oracolare. Conosciamo tutti la storia di Martin che per un punto perse la cappa. E ho già parlato su Nusquamia di quell’oracolo dato a un soldato che doveva partire per la guerra e voleva sapere come gli sarebbe andata. Copio e incollo:

        Gli oracoli erano oscuri, proprio perché pretendevano di aver sempre ragione. Come quello, ben noto:

        Ibi redibis non morieris in bello

        Questo responso oracolare, secondo come viene pronunciato, secondo cioè dove s’interpone una pausa nell’enunciazione delle parole, significa due cose, l’una contraria all’altra:
        a) Andrai e tornerai, non morirai in guerra;
        b) Andrai e non tornerai, morirai in guerra.

        Proprio così: per coglionare il povero soldato il quale voleva sapere che cosa sarebbe stato di sé, quando fosse partito in guerra, la sacerdotessa pronunciava l’oracolo in modo di cantilena, evitando di dare colore all’espressione. Ma non è giusto.

        Naturalmente parlare chiaramente non significa abbassarsi ai livelli bestiali della sciura Rusina, o esprimersi per grugniti e bofonchiamenti «perché solo così il popolo capisce». Non è vero. Anche se, purtroppo, è vero che c’è gente come Salvini che fa leva su quanto c’è di bestiale nella plebe smarrita. La quale, una volta aizzata, in mancanza di una controffensiva efficace, risponde bestialmente. Ma è anche vero che la plebe è fatta di uomini, dove c’è la bestia e c’è il divino.Il cuore e la mente degli uomini peggiori, se non sono pazzi, possono essere toccati. Tutto sta a voler percorrere questa strada; molto dipende anche dalle figure che sono vicine al popolo: i sacerdoti, soprattutto quelli di una volta, o i medici che andavano a trovare i malati nelle case. Ma sono solo due esempi.
        Mia madre mi raccontava di un medico (fra parentesi, era anche lui un cacciatore, non identitario, però) descritto nel libro Paese d’ombre, di G. Dessì, ma è un personaggio reale. Allora non c’era la mutua e i poveri raramente chiamavano il medico, solo nei casi gravissimi; avveniva anche che la malattia fosse dovuta a malnutrizione, alla fame. Ebbene, uscendo dalla povera casa del malato, il medico tornava alla sua bella casa e dava disposizione alla serva perché prendesse il cibo che andava preparando per la famiglia del medico e lo portasse a quella casa. Poi lui, che pure era libero pensatore, si recava dal sacerdote (era un cacciatore anche lui) perché qualcosa si facesse per quella famiglia. Secondo lei, in quel “paese d’ombre” contava più la parola di un politicante ambiziosetto o quella del medico?
        Prendere la via della bestialità solo perché è la più facile sarà un giochetto per Salvini, certo non è degno di noi che abbiamo una cultura che abbraccia tutti gli uomini, perché la cultura è universale, non identitaria. Sì lo so, il Pedretti diceva che «la caccia è la nostra cultura»: se il politico territoriale non si offende, non terrò conto di questa sua indicazione. Lo dice uno che è pronipote di un grande cacciatore (battute di caccia al cinghiale, da lui organizzate e finanziate, in modalità di festa pagana).
        Lei che è renzista dovrebbe darmi ragione, almeno in parte. O vuol dire che Salvini fa bene?

    • Petra Groa permalink

      Questo riconoscibile signore poco lucido e molto permaloso ritiene che tutto quanto è stato oggetto di quel che mi è sembrato un vivace e profondo dibattito a più voci, compresa quella di Aristide (e sottolineo sotto vari aspetti la pluralità delle voci, a beneficio di questo spirito accentratore, semplicistico e semplificatore), sia stato un’inutile perdita di tempo, da impiegare invece a richiedere ed analizzare non si sa bene di preciso quali documenti comunali (dice l’impiegata, sentita per conferma, che non ci si può sostituire e nemmeno affiancare a un consigliere, pena possibile denuncia).
      In ogni caso, in coerenza con quanto osservato da Aristide e con la ragione stessa per la quale egli ha iniziato codesto diario, credo che a un’indagine di quel tipo debbano necessariamente fatte precedere tutte le possibili valutazioni, parte delle quali più di uno ha volenterosamente voluto proporre all’attenzione dei lettori.
      Mi è stata data occasione di ascoltare opinioni diverse, antiche e attuali, sintetizzate da Aristide: credo siano un ottimo bagaglio per chi vuol capire e affrontare la realtà politicante attuale.
      Con preparazione e saggezza.

      • Sulla giacchetta di Gandolfi

        Il «riconoscibile signore» dovrebbe essere colui che si firma “Fossile non fossilizzato”. Lei l’ha riconosciuto? A me è sembrato uno che ha voluto imitare il modo di scrivere di un altro.
        Non sono d’accordo con il signore “non fossilizzato” — a differenza dell’osso di Sombreno, e di certi coccodrilli, dei quali ci siamo occupati, ben fossilizzati — quando ritiene che gli aziendalsimilprogressisti si trovino in una botte di ferro, ma non scarterei l’ipotesi iniziale, sulla quale comunque sospendo il giudizio. L’ipotesi iniziale è che le voci di Agnina fossile, Romana, Intingo boa alati, Invoco riflessi blu e Petra Groa provengano da una medesima sorgente, modulata su registri diversi.
        Un indizio in realtà ci sarebbe: tendono tutte a una sorta di sfruculiamento nei confronti di Gandolfi e Aristide e, quale più, quale meno garbatamente, tirano la giacchetta a Gandolfi per portarlo su posizioni convenienti a qualcuno, forse, ma non a Gandolfi. Sarebbero posizioni autoinculanti, a mio sommesso parere.

  20. Fossile non fossilizzato permalink

    Vede Aristide, il mio scritto equivale agli scritti di cui sopra citati. Fumosi e ingarbugliati, fatti per diffondere e per confondere, perché se ci si vuol far comprendere, il linguaggio perfetto è il suo, perfetto, pulito, elegante; a maggioranza, altri scritti sono difficili da collocare.
    La mia espressione di franchista è stata propria per scatenare un dialogo appropriato. Mi son dato del franchista semplicemente per far capire che tutti possono dire tutto e io chi sono per non poterlo dire?
    [Cioè, lei sta dicendo: io sono franchista, ma non è vero che sono franchista. Dunque da questo falso (da questa contraddizione) può seguire qualunque altra proposizione. Questo è un principio fondamentale della logica classica: ‘ex falso sequitur quodlibet’. Nel linguaggio della logica proposizionale scriveremo: ¬A ⇒ A → B. Cioè, se A è falso (o contraddittorio), allora dobbiamo aspettarci che da A segua B. Ma potrebbero anche seguire C, D… Per questa ragione non si insisterà mai abbastanza sulla chiarezza del linguaggio e non si disprezzeranno mai abbastanza i politici (e non solo) che fanno sistematicamente ricorso a un linguaggio ambiguo. Loro se ne compiacciono, credono di essere furbi, noi li disprezziamo. N.d.Ar.]

    Ha ragione lei quando afferma che in Italia, se si dovesse andare alle urne oggi, non esiste chi sia migliore di altri e se proprio dobbiamo votare, meglio turarsi, naso, bocca, orecchi e occhi e buttarsi alla cieca, oppure far parte di quel grande partito nazionale che è l’astensione. Prendersela con Bersani non è bello, perché a differenza di tutti quelli che si sono succeduti, era forse l’unico che utilizzava l’intelligenza per sopravvivere e non era neppure scandalosamente determinato. Cosa han fatto di meglio gli altri? Aveva ragione Cossiga quando diceva che in Italia una cosa sola è certa, che in Italia è impossibile cambiare le cose e fare riforme appropriate per il bene nazionale e che in Italia vige la regola che “-tutto può cambiare purché nulla cambi”-.
    E’ un bene che su questo diario si trattino vari argomenti, però a parte lei e pochissime altre persone, hanno avuta la libertà di condannare l’ignobile operato di alcuni capi di partito per proprio guadagno.
    Cortesemente la ringrazio per lo spazio dedicatomi.

  21. Dopo il Perù, la Colombia

    Con El condor pasa (il video è stato presentato in questa pagina) siamo stati in Perù. Adesso andiamo in Colombia con la trasposizione cinematografica della Cronaca di una morte annunciata, il bel libro di Gabriel García Márquez. Una volta tanto un Nobel che non fa a pugni con i meriti reali.
    Il regista, Francesco Rosi, ha realizzato un’ambientazione eccellente. Ho letto il libro due volte, l’aver visto il film tra la prima e la seconda lettura mi ha aiutato a fissare nella memoria immagini indelebili, credibili, molto belle.
    Ornella Muti recita la parte di una ragazza di bellezza abbagliante, non altrettanto si direbbe della sua intelligenza. In effetti è molto bella, in questo film. Non saprei pronunciarmi sull’intelligenza, ma posso dire che è molto brava, qui. Ho visto parecchi suoi film, perché quand’era giovane mi piaceva, lo confesso. Come recitazione non era granché, ma non fa niente. Qui però è diverso: merito, forse, di Francesco Rosi, che fu nella vita fu Pigmalione. Mi pare questa la migliore interpretazione dell’attrice dagli occhi viola (li aveva viola anche Alessia Merz, ma non era un’attrice, anche se era una brava ragazza, una santa [*]); subito dopo, fra le interpretazioni memorabili di Ornella Muti, viene La stanza del vescovo, con uno strepitoso Ugo Tognazzi. Fra l’altro a suo tempo lessi che la voce spagnola di Ornella Muti è proprio la sua. Non so se sia vero, ma se è vero, bisogna dire che è stata proprio brava.
    A Napoli Francesco Rosi fu compagno di liceo di Giorgio Napolitano, all’Umberto I: [**] tuttavia Francesco Rosi non fu mai melensamente “istituzionale”: tutto il contrario, direi.
    Su You tube il film è presentato spezzato in otto parti, ma non è difficile navigare da un episodio all’altro e vedere tuto il film.

    ———————————————-
    [*] Per essere precisi, Alessia Merz ha avuto qualche parte anche al cinema. Inoltre come dimenticare la sua apparizione nella Voce del violino, un episodio della serie televisiva di Montalbano?
    [**] Nomen omen, direbbe Bossi, come in effetti disse alla Bèrghen Fest, a proposito di Napolitano, ma non si riferiva al liceo e alla presunta discendenza di Napolitano da Umberto II. Bossi voleva dire che Napolitano è un napoletano, di nome e di fatto; fu allora che il Pedretti fece quel duetto con Bossi. Il Pedretti disse: «L’è un terùn». E Bossi, a ruota, come in uno sketch di Gianni e Pinotto: «Ah, l’è un terùn? Non sapevo!».

  22. Il suono del violino, un episodio della serie televisiva di Montalbano

    Poiché abbiamo evocato la memorabile interpretazione di Alessia Merz nel Suono del violino, vediamocelo questo episodio!


    Fare clic sull’immagine per entrare nella pagina della Rai. L’episodio è completo..

  23. Sgarbi non tollera la mordacchia

    Domanda: la dott.ssa Serra sarebbe stata più abile nel togliere la parola a Sgarbi? O, per troppa “empatia”, l’asseverativa dott.ssa Serra non avrebbe forse vieppiù esasperato il focoso critico romagnolo? Rimarremo nel dubbio. In ogni caso, ci guardiamo bene dall’indire una raccolta di pareri. Non facciamo queste buffonate, noi (parlo dei sondaggi d’opinione riguardo al “mi piace” e “non mi piace”; “penso che sì” e “penso che no”). Soprattutto siamo indifferenti all’opinione della “ggente” su cose che non sa. E se anche sa, ne registriamo l’opinione, ma non cambiamo la nostra, che può solo essere incrinata da un ragionamento migliore. Il ragionamento “migliore” non è come la “buona scuola” o “le buone pratiche Lgbt”, che sono prerogativa di gruppi impancatisi a giudici della Corte suprema del politicamente corretto. Un buon ragionamento è quello logicamente ineccepibile, basato su dati di fatto controllabili e misurabili.
    Piuttosto che fare un sondaggio d’opinione, mi provvedo di una paio di sandali francescani, da indossare in occasione della prossima fiaccolata indetta dalla Serra in cooperazione con quelli della “convivialità delle differenze”.

  24. Una modesta proposta
    Perché la dott.ssa Serra non organizza a Curno un Franciscan party? [*]


    Immagine di copertina del profilo tweeter dei frati capuccini irlandesi. I capuccini, com’è noto, sono una delle tre famiglie francescane.

    Nel mondo anglosassone sono di moda i toga party (ne abbiamo già parlato su Nusquamia). Ci permettiamo a questo punto di gettare il sasso nello stagno — anzi nella palude — della politichetta curnense e formuliamo una nostra modesta proposta.
    La dott.ssa Serra, coadiuvata dalla consigliera Bellezza, sempre alla ricerca di nuove occasioni, di nuovi “eventi” da sottoporre alla “condivisione” e alla “partecipazione” cammellata dei cittadini, porebbero organizzare una grandiosa riedizione di Consiglio comunale in piazza, questa volta in forma di Franciscan party. C’è un precedente, ricordate? Si veda A Curno, il 18 maggio, il Consiglio è in piazza «per consentire la massima partecipazione della cittadinanza»: solo per questo?; in calce all’articolo è possibile leggere un interessante intervento di Mattia Maggioni.
    L’evento potrebbe essere organizzato con la collaborazione dei cattoprogressisti della “convivialità delle differenze”, che promossero la recita dei Salmi in piazza Dante a Bergamo, alla quale fu invitata la dott.ssa Serra con il sindago di Bergamo Giogio Gori, con il pubblico ministero Pugliese, con il direttore Gàndola dell’Eco di Bergamo, con un rappresentante della Confindustria del quale non ricordo il nome e con tutta la crema del bel mondo bergamasco; con i quali ha accolto Vera Baboun, la famosa sindachessa betlemita, nel suo tour di madonna pellegrina in terra orobica; con il concorso dei quali ha organizzato una fiaccolata della pace, da lei officiata franciscanorum more.
    I cittadini per l’occasione sono invitati a calzare i sandali francescani che — mi sembra ovvio — saranno rigorosamente indossati dai consiglieri di maggioranza, da tutti i consiglieri, dico tutti, compreso Cavagna il Vecchio.
    Autorizziamo la dott.ssa Serra a commissionare per sé sandali francescani fatti a mano, presso la bottega Canfora di Capri, dove facevano i loro acquisti Soraya, Margaret d’Inghilterra, Maria Callas, Grace Kelly e Jaqueline Kennedy in Onassis, purché devolva una somma pari al costo dei sandali all’Opera di san Francesco di Milano, che sovviene alle necessità primarie dei padri separati ridotti sul lastrico da mogli-piraña e dei milanesi che hanno perso il lavoro, e che non lo troveranno mai più.

    ——————————————–
    [*] Nota di terza F – Mi raccomando la pronunzia: non frànciscan ma francìscan, con l’accento sulla “i”. Per una coretta pronuncia, si faccia clic qui.

  25. Minimo comune denominatore permalink

    Utilizzare la ruspa per farne uno strumento di propaganda politica o come strumento di distruzione di edifici storici, ancorchè luoghi di culto, mi sembra un chiaro segno del declino e dell’imbarbarimento delle civiltà.
    La nostra e quella di altri popoli

    http://www.corriere.it/esteri/15_agosto_21/siria-distrutto-monastero-cattolico-qaryatayn-isis-posta-foto-video-ruspe-azione-aff47402-47cf-11e5-9031-22dbf5f9fa34.shtml

    • Le ruspe, che passione!


      A sinistra, ruspa islamica in azione, in Siria. A destra. ruspa salvinesca a Pontida, inattiva e accalappiagonzi.

      Peccato che abbiano messo il Pedretti soto naftalina e che meno se ne parla, meno parla lui stesso, meglio è, [*] per lorsignori della Lega nord. Però,se il Pedretti fosse ancora sulla breccia, se fosse quello di una volta, chissà che bei gadget sul tema della ruspa avebbe tirato fuori: la ruspa per levare le briciole dalla tovaglia, la ruspa per pulire il vassoio del gatto, [**] la ruspa per portare i calzini sporchi alla cesta dei panni da lavare ecc. Roba di prima qualità s’intende, azionata da pile Duracell, evocatrici (le pile Duracell) dello slogan buxista, ai tempi eroici in cui Bossi ammoniva la Boniver, ministro socialista, già craxista, poi traditrice di Craxi, ma sempre molto vicina alle questioni “di genere”: “La Lega ce l’ha duro!”.

      ————————————–
      [*] Noi invece vogliamo che parli. coraggio, Pedretti, parla! Fagli vedere i sorci verdi a questa gente. Guarda Craxi: neanche lui ha parlato, da Hammamet. Cioè, ha anche parlato, ma ha parlato d’altro. Ma che cosa ci ha guadagnato? È stato abbandonato da tutti, e non è più rientrato nel gioco politico. Senza nemmeno prendersi la soddisfazione di fargliela pagare, ai vari Amato, a Martelli, ai moralisti faccia-di-tolla come Occhetto e La Malfa (Giogio La Malfa: il padre Ugo era una persona perbene) e a tanti altri.

      [**] In un catalogo di quelli che ti infognano la cassetta delle lettere ho visto che qualche aziendalista / copywriter, verisimilmente di Curno, chiama questi vassoi (in inglese!?) “pet di corteisa”. Ma in inglese i “courtesy pet” sono gli animali domestici in comodato d’uso gratuito. Per esempio, se uno ha un gatto vecchio, ed è stufo, e vuol comprare un modello nuovo di gatto, mette un annuncio su Internet sotto la voce “courtesy pet”. Chi lo vuole, se lo prende, a scatola chusa.

  26. Questo del Pedretti non è un coniglio mediatico, non è una promessa renzista, è un impegno preciso al quale manterrà fede
    Facendo del coniglio un “evento”, il Pedretti rompe l’isolamento, mette in imbarazzo Marcobelotti, la dott.ssa Serra, Max Conti e l’ex sodale di lotta antigandulfiana, il Locatelli


    Annuncia il conte zio, proprio lui, quello stesso Roberto Calderoli che sembrava essersi disamorato del discepolo di provata fede, del Pedretti territoriale, orobico e brembano: «Grazie al nostro militante storico Pedretti, che mette gratuitamente a disposizione un suo appartamento, un bergamasco in difficoltà riuscirà a sopravvivere dignitosamente. Ma la Chiesa e lo Stato dove sono?». Il Pedretti l’aveva detto: «La storia del pensionato senza casa sarà portata all’attenzione del senatore Roberto Calderoli alla Bèrghem Fest di Alzano». Ma ha anche aggiunto: «Non vogliamo strumentalizzazione politica»: in che senso?

    Per ragionare correttamente cominciamo con il ricordare le parole di Gesù Cristo (Matteo, VI,1-4):

    Guardatevi dal praticare le vostre buone opere davanti agli uomini per essere da loro ammirati, altrimenti non avrete ricompensa presso il Padre vostro che è nei cieli. Quando dunque fai l’elemosina, non suonare la tromba davanti a te, come fanno gli ipocriti nelle sinagoghe e nelle strade per essere lodati dagli uomini. In verità vi dico: hanno già ricevuto la loro ricompensa. Quando invece tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà.

    Il Pedretti, nonostante il rispetto che gl’identitaristi celti potano per il dio Balanu (da cui il ligure “belìn”, ed è vero!) sembrava essere d’accordo con le parole di Gesù, che è ebreo e non celta. Poi la cosa dev’essergli sfuggita di mano, la pubblicità al suo gesto non è voluta, anzi contraddice alla sua espressa volontà. Infatti il Pedretti aveva annunciato di non volere strumentalizzazione politica. Lui non voleva, altri hanno strumentalizzato, è evidente.
    Ma procediamo con ordine. Tutto comincia con un articolo pubblicato sull’Eco di Bergamo sabato 22 agosto 2015: A 68 anni vive da abusivo in una cantina (vedi). Nell’articolo si racconta di un pensionato, mal sostentato da una magra pensione, che fino a poco tempo fa occupava a titolo gratuito una casa di Gaverina Terme, in Val Cavallina, per gentile concessione della proprietaria. Quando poi la casa servì al figlio della signora, il pensionato ottenne da un anziano di alloggiare presso di lui, in cambio di qualche lavoretto. Quest’altra casa era di proprietà dell’Aler: quando l’anziano si trasferì in una casa di riposo, il nostro pensionato non aveva titoli per rimanervi – così pare di capire leggendo il resoconto giornalistico – ma si trasferì nella cantina, forse perché i burocrati dell’Aler non sapevano della cantina. O perché tra i burocrati, forse, sopravvive qualcuno che è un uomo, prima di essere un burocrate a norma di cacata carta, e ha pensato di chiudere un occhio su quella cantina.
    Questa è una delle tante storie dei nostri poveri. Proprio ieri scrivevo dell’Opera San Francesco di Milano che dà una pasto caldo ai cinquantenni che hanno perso il lavoro, ormai probabilmente per sempre, e ai padri separati messi sul lastrico da mogli-piranha.
    Dunque il sabato Pedretti legge la notizia ed ecco che, ratto come la folgore, appare domenica, sempre sull’Eco di Bergamo un altro articolo: Pensionato in cantina, Pedretti gli offre una casa. L’articolo è firmato da Alessandra Loche, invece che dal solito Remo Traìna (mi raccomando l’accento). Però, se non è zuppa, è pan bagnato: il nome del Pedretti è nel titolo, l’articolo sembra confezionato su misura, per consentire al Pedretti di uscire dall’isolamento nel quale si trova da un po’ di tempo.
    Non è un mistero per nessuno che per la Lega nord, in particolare per la Lega nord di Curno, il Pedretti è un personaggio scomodo. Ma lui non ci sta: se il Marcobelotti pensava di tenerlo in naftalina, ebbene, sappia ceh si sbaglia. Idem con patate per Roberto Calderoli che sembrava smemorato, fino a ieri. Ma il Pedretti ha confezionato un bel pacco, che né Marcobelotti né Roberto Calderoli possono rifiutare. Il Pedretti confida infatti alla giornalista Alessandra Loche: «La storia del pensionato questa sera sarà portata all’attenzione del senatore Roberto Calderoli». Il coniglio mediatico prende la connotazione di un “evento”. E così i due sono serviti, non rimane che fare buon viso a cattivo gioco. Leggiamo infatti in un articolo sul Corriere della Sera, più sobrio, che Roberto Calderoli ha ringraziato il Pedretti «militante storico», già insignito di una onorificenza da parte di Salvini. A Marcobelotti non rimane che esprimersi anche lui a favore del Pedretti, mica può continuare a far le viste che il Pedretti sia trasparente.
    Naturalmente, non sfuge a nessuno che con questa mossa il Pedretti non solo torna ad essere autorevole nella Lega nord curnense, ma soprattutto dà fastidio alla cosiddetta sinistra. Lorsignori hanno predicato, anche con una punta di petulanza, come abbiamo avuto modo di sottolineare più volte, la «convivialità delle differenze». Ed ecco che il Pedretti mette a segno un esempio di «convivialità delle similitudini». E adesso, che fare? Gli aziendalsimilprogressisti potrebbero predisporre, con l’aiuto dell'”impresa sociale” Energheia e con il suo meraviglioso think tank, qualcosa di analogo a quel che fecero per rispondere all’offensiva canina promossa da Marcobelotti, Cavagna il Giovane e Locatelli. Costoro, come i lettori certamente ricordano, s’inventarono l’associazione acchiappa-voti “Curno a sei zampe” (a proposito, che fine ha fatto?), sulla falsariga delle associazioni controllate dai serrani. I similprogressisti allora, per smorzare la trovata elettorale della destra curnense non ebbero un attimo di esitazione, promossero l’istituzione di due aree che consentissero ai cani di annusarsi il culo, proprio come dice quella famosa favola di Fedro, al riparo dai miasmi dei tubi di scappamento. E così Cavagna il Giovane rimase con un palmo di naso: pare che il giorno dell’inaugurazione del sacrario canino ci siano state parole grosse, all’indirizzo dei serrani “copioni”.
    Va bene, i similprogressisti potrebbero rispondere con una controffensiva. Ma quale? Proprio qui viene il bello: perché la cosa più semplice da fare, e che procurerebbe pari e forse maggiore consenso ai serrani similprogressisti, sarebbe una sorta di persuasione morale su Max Conti che, insieme a Locatelli ha voce in capitolo, voglio dire nella sala capitolare del convento “Ecodomus”. La Serra potrebbe convincere Max Conti a mettere una parola buona perché coloro che a Curno si trovano in stato di disagio siano alloggiati in almeno uno degli appartamenti del piano di lottizzazione Ecodomus. Parimenti Cavagna il Giovane, che ancora non si decide a gettare la spugna, potrebbe – anzi, dovrebbe – convincere Locatelli a mettere anche lui una buona parola perché un secondo appartamento del prestigioso piano di lottizzazione Ecodomus, per la parte che gli compete, sia messo a disposizione dei bisognosi.
    Ecco dunque come, con questo gesto di liberalità, tirato fuori dal cappello a cilindro, il Pedretti ha messo in difficoltà, in un colpo solo, Marcobelotti, Roberto Calderoli, la dott.ssa Serra, Max Conti e Giovanni Locatelli. Bel colpo! Tanto più che noi non abbiamo alcun dubbio in merito: quello del Pedretti sarà anche un coniglio mediatico, un coniglio-evento, ma è anche un impegno, che la stampa anglorobicosassone non mancherà di documentare. Quel re diceva «Parigi val bene una messa!». Ebbene, il Pedretti, non meno regalmente, potrebbe dire: «La visibilità, il ritorno sulla scena politica val bene un bilocale!».

    Un Pedretti inedito, filosofo – E poi proprio il Pedretti non ci dà forse una bellissima dimostrazione di uso sapiente dell’“argomento del sacrificio”? Facendo il sacrificio del bilocale, che è di sua proprietà e non soggetto a vincolo di sorta, dunque rinunciando al guadagno che gli deriverebbe dal porlo in vendita o dall’affittarlo, il Pedretti porta un argomento fondamentale a favore della sua tesi, quella di essere un vero leghista, territoriale ed identitario: a Marcobelotti e Roberto Calderoli non rimane che intascare e portare a casa l’argomento. Nello stesso tempo il Pedretti dimostra agli aziendalsimilprogressisti e ai cattoprogressisti in genere che non esiste soltanto la “convivialità delle differenze” ma anche la “convivialità delle similitudini”. Ottimo: clap clap!
    Non so se a Curno sia conosciuto l’argomento del sacrificio, perché ho l’impressione che Martha Nussbaum non ne abbia parlato. Comunque, affermava in proposito Pascal di non essere disposto a dar credito che ai testimoni i quali, per affermare il vero, fossero disposti a farsi sgozzare (Pensées, sez. IX, n.593):

    Je ne croix que les histoires dont les témoins se feraient égorger.

    Naturalmente, tutto questo è vero se il Pedretti va incontro a un vero sacrificio e se il suo non è soltanto un coniglio mediatico (Oddio, un po’ lo è), non è una promessa renzista, ma un impegno che sarà debitamente onorato.
    Cioè, chiediamo al Pedretti comportamenti rigorosi e coerenti, meglio di quanto sia avvenuto nel passato, quando ai conigli mediatici non seguirono i fatti. Vedi per esempio l’episodio dei tunisini ai quali aveva promesso il traghettamento alla frontiera francese e l’altro episodio dell’anziano artigiano tartassato dai burocrati della Rai, in favore del quale aveva annunciato che avrebbe attivato Nunziante Consiglio (ma noi dimostrammo che non ce n’era bisogno: si veda Balzello Rai su imprenditori e liberi professionisti: il Pedretti ci zompa sopra e la butta in politica.

    • La trovata del Pedretti è ormai un “evento”
      Il Pedretti non voleva «strumentalizzazione politica» ma la consegna delle chiavi avviene in favore di macchina fotografica


      Per leggere l’articolo fare clic sull’immagine.

      Insomma, è proprio vero. Chi di “evento” colpisce, di evento perisce. Con la trovata di cedere a un pensionato in difficoltà il bilocale del quale gode il pieno e incondizionato possesso, il Pedretti diventa il regista di un “evento” alla Bèrghem Fest, che questi giorni si celebra ad Alzano Lombardo. La dott.ssa Serra che, anche lei, aveva voluto prodursi in veste di protagonista di un evento con risonanza mediatica, quando si fece fotografare fasciata e tricolorata al momento della consegna di un’autovettua Toyota — consegna che ella volle trasformare in cerimonia — risulta polverizzata.
      Ma noi rimaniamo del nostro parere. Postuliamo che la poltica sia una cosa seria. Non ci piacciono gli “eventi”.
      Salutiamo con gioia il ritorno del Pedretti sulla scena politica curnense. Condoglianze a Marcobelotti. La Lega nord curnense è impedrettata, a tutti gli effetti: c.v.d. Forse lo stesso Salvini è impedrettato: chapeau!

      • Anche Bergamo news dà notizia dell’“evento”

        Bergamo news dà notizia dell’evento di cui sopra; questa volta però non mette il nome del Pedretti nel titolo, non c’è nemmeno la foto del Pedretti in bella evidenza, non c’è il suo “santino”, come al bel tempo che fu. Naturalmente, non poteva non citarlo, perché il pacco mediatico è stato confezionato dal Pedretti. Solo che il Pedretti, sic stantibus rebus, cioè nelle circostanze attuali, non poteva gestire il pacco in prima persona. La gestione è stata affidata a Roberto Calderoli, che non si è tirato indietro, forse non poteva nemmeno: ed è stato lui — scrive Bergamo news — che «domenica sera ha consegnato le chiavi di una casa Graziano Manzoni». Ma i patti erano che il Pedretti dovesse essere presente alla consegna. Senza Pedretti, niente evento.
        Però, guardate bene la foto pubblicata sul Corriere della Sera: le chiavi effettivamente sono consegnate da Roberto Calderoli, ma il Pedretti allunga la mano. Ha qualcosa in mano? Che cosa?

        Si veda su Bergamo news l’articolo Bèrghem fest, la Lega dà una casa a un pensionato “Noi facciamo i fatti”.
        Il fatto è che i conigli mediatici del Pedretti, quando erano antigandulfiani, erano benvenuti, tanto più che spesso convergevano con il lavorìo della similsinistra. In questo caso però l’evento promosso dal Pedretti, annunciato sull’Eco di Bergamo e dato in gestione a Calderoli (che non poteva tirarsi indietro) risulta fondamentalmente antiserrano. E la Serra, com’è noto, è molto attiva negli ambienti che contano e che decidono le nomine, in vista di una collocazione OltreCurno a copertura di qualche importante incarico istituzionale. Questa volta il Pedretti deve contentarsi di uno strapuntino.
        Ho inoltrato a Bergamo news il commento:

        Gesù Cristo disse: «Quando tu fai l’elemosina, non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta; e il Padre tuo, che vede nel segreto, ti ricompenserà». E il Pedretti aveva dichiarato: «Non vogliamo strumentalizzazione politica». Come la mettiamo?

        • La mano sinistra del Calderoli e la mano destra del Pedretti

          Si veda, sempre sull’Eco di Bergamo, che segue dappresso gli sviluppi dell’“evento” (speriamo che continui a farlo) Pensionato che vive in cantina. La Lega offre una casa. Mi pare di cogliere il segnale di un aggiustamento del tiro: meglio non fare pubblicità al Pedretti, non più che tanto.
          Come che sia, vediamo nella foto che le chiavi sono consegnate da Roberto Calderoli. E la mano del Pedretti che ci sta a fare? Cristo disse: «Non sappia la tua sinistra ciò che fa la tua destra, perché la tua elemosina resti segreta». Nella foto vediamo la mano sinistra di Calderoli che consegna le chiavi, mentre il Pedretti allunga la destra. C’è qualcosa che non torna.

        • C’è stato uno scontro fra le diverse anime di Bergamo news? I commenti alla notizia Bèrghem Fest, la Lega dà una casa… sono apparsi con notevole ritardo. Il mio, sotto lo psudonimo di A., mentre mi ero firmato, al solito, Aristide.
          Segnalo infine un interessante commento sulla pagina Facebook di Calderoli, che ce la dice lunga sulla capacità di pensiero critico di coloro che votano per Salvini & Co.:

          Giampiero Romeo – Bravo al Sig. PEDRETTI, meno a Calderoli!!! Sarebbe stato bello vedere Calderoli dare lui un suo appartamento e parte del suo stipendio ad un’Italiano. Magari il sig. PEDRETTI non voleva neanche pubblicità. Questa si chiama ipocrisia!!

          Si ipotizza che il Pedretti non volesse pubblicità. Oh, santa ingenuità! Senz’altro meglio questo commento:

          Maria Sole Avio – Anche un altro militante ha fatto e sta facendo tanto per un’italiana. Ma è riservato. Un applauso caloroso anke per lui!

  27. Pecunia non olet

    Se il Pedretti non è più inserzionista di Bergamo news, da qualche parte si dovranno pur trovare i quattrini per andare avanti. Ecco un esempio di pubblicità esplicita (questo, vivaddio, non è un redazionale!) su Bergamo news:

    Non siamo moralisti, ma abbiamo un forte senso etico: perciò diciamo che questa pubblicità è un modo onesto di far entrare i quattrini in cassa, molto meglio dei redazionali, cioè della pubblicità occulta — per esempio, pubblicità di una casa automobilistica giapponese — presentata sotto le mentite spoglie di un articolo d’informazione “al servizio del lettore”.
    Mi dicono che la dott.ssa Serra sia amica della dott.ssa Rosella del Castro, direttrice di Bergamo news. Non potrebbe dunque la dott.ssa Serra seguirne le orme e finalmente acconsentire che il Bibliomostro curnense divenisse una sorta di Salon Kitty (celebre casa di tolleranza di Berlino)? Tutto alla luce del sole: voglio vedere chi ha qualcosa da dire. Anche questa è convivialità delle differenze.

    • PornoBergamo: ecco la pubblicità nel suo contesto

      Riproduco la pubblicità dell’“evento” pornorobico nel suo contesto, cioè entro una pagina di Bergamo news, dedicata alla Lega nord. Spero così che al gatto padano, gran falsificatore, disinformatore e ciambellano dei potenti di turno, non venga in mente di dire che mi sono inventasto tutto; e che magari ho voluto fare pubblicità a Rocco Siffredi, detentore del’unità di misura con cui a Curno si designa l’aggetto della serra di Gandolfi padre. Tale aggetto fu argomento dapprima di una vigliacca lettera anonima, quindi di un pressante interessamento di Cavagna il Giovane, perché l’oscenità fosse recisa.

  28. Il Tribunale di Amburgo per la legge del mare si è pronunciato. E adesso basta con la retorica dei «nostri marò»

    Leggiamo in Marò, il primo verdetto del Tribunale di Amburgo: «Fermare il processo in India, ma Girone resta a Delhi» che il Tribunale del mare ha rimandato tutto a una corte arbitrale. L’ordinanza vincola sia l’Italia sia l’India, che hanno firmato la Convenzione internazionale sul diritto del mare, a porre fine al triccheballacche del contenzioso giudiziario e a rimettersi alle decisioni di un tribunale arbitrale costituito ad hoc, che potrebbe essere formato all’Aia, dove già opera una Corte internazionale di arbitrato.
    Da quel che abbiamo capito, non c’è da sperare su una soluzione del contenzioso a breve termine. Ma è sempre meglio del cazzeggio. Se ne devono essere accorti perfino i nostri intelligentissimi uomini politici, gli scaltri diplomatici, i brasseur d’affaires che hanno inquinato fin dall’inizio tutta la questione: dopo aver gestito la cosa pessimamente, e in maniera tale da costringerci a vergognarci, ancora una volta, di essere italiani, finalmente hanno chiesto quel che avrebbero dovuto chiedere fin da principio: l’intervento di un arbitrato internazionale. Speravano di trovare una soluzione furbetta, “all’italiana”, come se i giudici indiani fossero degli sprovveduti. Ma, finalmente, siamo arrivati a un punto di svolta.
    In realtà si tratta ancora di stabilire, una volta per tutte e seriamente, senza cazzeggio, di là da ogni melensa retorica sui «nostri marò»:
    a) se i due fucilieri italiani hanno effettivamente sparato contro i due pescatori indiani, provocandone la morte;
    b) se è vero che i due indiani a bordo del peschereccio attrezzato per la pesca del tonno erano armati di fucile;
    c) nel caso in cui i due fucilieri italiani siano gli autori degli spari, se abbiano sparato intenzionalmente o se i colpi siano usciti di canna preterintenzionalmente;
    c) nel caso in cui abbiano sparato intenzionalmente, perché abbiano scambiato per pirati dei normali pescatori di tonno (cioè i pescatori erano armati? E se non erano armati, da che cosa si deduceva che fossero pirati?);
    d) se hanno ricevuto da qualcuno l’indicazione che quei due pescatori erano pirati, dicano i due fucilieri chi ha dato loro quest’indicazione, se non altro per alleggerire la pripria posizione processuale.

    L’Italia aveva chiesto, in attesa della conclusione dell’iter giudiziario, che Salvatore Girone, ora in India, tornasse in patria e che Massimiliano Latorre restasse in Italia senza limiti di tempo anche al termine del periodo di convalescenza concessogli dopo il malore accusato in India. La richiesta non è stata esaudita. A questo punto speriamo di non sentire i soliti piagnistei, la solita retorica sui «nostri marò». Con buona pace di Giorgiameloni, dei fascioleghisti di Sovranità & Salvini e della fasciofemminista curnense (poco conosciuta, ma determinatissima: pare addirittura che voglia diventare sindachessa di Curno) ricordiamoci dell’esempio di Attilio Regolo e comportiamoci, se non proprio da eroi, almeno da uomini.

  29. Marcobelotti assediato

    Il povero Marcobelotti è assediato. Abbiamo visto nei commenti precedenti come il Pedretti, con la trovata mediatica di dare in comodato d’uso un bilocale a un pensionato lombardo, ottenendo che la notizia fosse divulgata acriticamente dalla stampa anglorobicosassone (come se non sapessero chi è il Pedretti), intenda riproporsi al centro dell’attenzione. Il conte zio l’ha lasciato fare, e avrà le sue ragioni, anche se poi i patti erano chiari: quella “paginata pubblicitaria” sarebbe stata intitolata alla Lega nord, più che al Pedretti. Infatti le chiavi sono state consegnate al pensionato da Roberto Calderoli in persona. Ma, come abbiamo visto nella fotografia, il Pedretti ha voluto firmare la consegna, allungando la mano, come se le chiavi le consegnasse lui.
    (Problemino elementare: Se X è il costo di una pagina pubblicitaria su un giornale specifico, centrato su un gruppo preciso di lettori-consumatori, e se Y è il valore di un bilocale in comodato d’uso per tre mesi (o sei mesi, o un anno), in quali condizioni è possibile che X > Y ? Secondo problema, per gli studenti del liceo scientifico: studiare la funzione di convenienza di un investimento pubblicitario in relazione al valore della posta in gioco e della probabilità di conseguire la posta: nel caso del Pedretti, ottenere candidature a cariche elettive e/o sistemazioni “istituzionali”).

    Sospettavo che Marcobelotti fosse insidiato dalle mire egemoniche della consigliera fasciofemminista. Come forse qualche lettore ricorderà, ipotizzavo che la fasciofemminista abbandonasse il nonno imperiale che l’aveva candidata nella lista del Consolandi, al posto del quale si è poi insediata nel Consiglio comunale di Curno, per traghettarsi verso il lido giorgiamelonita, più sicuro e più congeniale. Giorgiameloni infatti, com’è noto, è sempre più culo e camicia con i fascioleghisti, e non ci vuol molto a capire perché. Così come non ci vuol molto a capire che l’approdo naturale della fasciofemminista è proprio la sempreggiovane Giorgiameloni, a meno che alla fasciofemminista, anche lei sempreggiovane, non pervengano candidature sicure OltreCurno, anche da parte di altri “soggetti politici”.
    Ecco però che un resistente mi manda una fotografia che fuga ogni dubbio. La fasciofemminista è fotografata, al tempo dei tripudi fascioleghisti sul “sacro suolo” di Pontida, insieme con Giacomo Stucchi, autorevole leghista bergamasco.
    Sappia dunque il buon Marcobelotti che potrebbero arrivare alla sgangherata Lega nord di Curno pressioni e offerte “impossibili da rifiutare” per la costituenda lista civica farlocca con la quale la destra curnense vorrebbe far cadere i cittadini di Curno dalla padella serrana alla brace dell’Inferno fascioleghista.

  30. Marcobelotti spera di riscattare il passato impedrettato e il presente di agente curnense del fascioleghista Salvini mascherandosi da comunista rivoluzionario

    Da principio non volevo credere ai miei occhi, leggendo questo intervento di Marcobelotti, nella sua pagina prosopobiblica. Perché ve ne facciate un’idea, ne riporto l’incipit:

    Di fronte all’indicibile tragedia che si sviluppa nel Mediterraneo c’è un responsabile: la linea politica dell’UE e della NATO, in poche parole dell’imperialismo, che ha foraggiato e praticato tutte le guerre nel Mediterraneo Orientale, Medio Oriente e Nord Africa. Questa tragedia fonda la sua radice nel sistema capitalista stesso, che genera povertà, sfruttamento di classe e oppressione dei lavoratori e dei popoli da parte di regimi reazionari, così come l’acutizzazione delle contraddizioni imperialiste che causano guerre e interventi imperialisti.
    La dottrina del pensiero unico del capitalismo globalizzato, prevede che uno Stato indipendente che non segua la dottrina di asservimento all’imperialismo americano ed europeo, debba essere attaccato e sconfitto…

    Però i miei occhi leggevano bene, e quel che leggevano non era certo farina del sacco di Marcobelotti. Non è stato difficile trovare la fonte dalla quale ha copiato e incollato. Si tratta di un’intervista rilasciata da Marco Rizzo, che è il segretario del Partito comunista. Trovate l’intervista, tra l’altro, in questa pagina dell’Intellettuale dissidente. In realtà ve ne sono parecchie tracce nella rete. L’intervista è rispecchiata nella Dichiarazione congiunta del Partito comunista di Grecia (KKE), del Partito comunista (PC, Italia) del Partito comunista marxista (PCM) e del Partito comunista dei Popoli di Spagna (PCPE). Si veda No alle politiche migratorie assassine dell’UE! Dichiarazione congiunta.
    Dunque, Marcobelotti sì e rimangiato tutto il suo passato di supina acquiescenza all’impedrettatamento? Dunque Marcobelotti sconfessa Salvini, servo di Putin e amico del dittatore nordcoreano? E veramente Marcobelotti concorda con Marco Rizzo il quale scrive queste parole? Eccole:

    Noi lottiamo per far sì che si mettano in pratica misure di soccorso e che i governi garantiscano forme immediate di centri di accoglienza temporanei degni per i rifugiati.

    Questo non è molto salvinista. Tutto il contrario di quel che dice Salvini, al cui volgare populismo Marcobelotti plaude quotidianamente. Vero è che Marco Rizzo scrive anche:

    [Noi lottiamo per far sì che i governi] forniscano i rifugiati di documentazione per poter viaggiare nei loro veri paesi di destinazione.

    Ma questa affermazione è esattamente il famoso piano B, a suo tempo agitato da Renzi, quando voleva far vedere che, se lui alza la voce, non c’è niente che possa arrestare il tremore delle mutande della Merkel. Ma era una sbruffonata di Renzi, che abbiamo dileggiato come meritava in una precedente pagina di Nusquamia. Poi Renzi si è rimangiato tutto, spera che noi ci dimentichiamo, confida nell’oblio: anche lui. E non si vergogna di far sparate mediatiche, come se fosse curnense, e non fiorentino.
    Dunque, massimo dispezzo per Renzi. Con Rizzo siamo un po’ più indulgenti, perché in fondo fa il suo mestiere. Con Marcobelotti siamo guardinghi; ma rivolgiamo a lui l’invito che abbiamo già rivolto ai papaveri bergamaschi del partito di Forza Italia & collegati, in rapida dissolvenza: se avete bisogno di sfogarvi, se cercate una parola buona e forse anche l’indicazione di un percorso di redenzione (un percorso laico: niente convivialità delle differenze, qui, per carità!), rivolgetevi con fiducia a noi. Ma ricordatevi di non fare i furbi, non fatelo più, non fatelo mai, con noi. Ricordatevi che fra noi e voi c’è questa differenza: voi sparate disperatamente, la vostra dialettica è miserella, perciò vi sforzate, l’aria è fetida, voi stessi siete storditi dal lezzo, e vi trovate ben presto senza più munizioni. Noi invece, come Ringo Kid, interpretato da John Wayne in Ombre rosse, intanto combattiamo lealmente, inoltre anche nei momenti più difficili della battaglia abbiamo il buon senso di conservare, nel nastro intorno alla cupola del cappello, tre proiettili. Servono per il compimento dell’opera.

    • Con un messaggio cifrato inoltratoci da Radio Monteceneri Didima, il comandante Ettorino notifica al mondo Urleghista di non aver apprezzato il recente mascheramento di Marcobelotti.
      Riguardo alla trovata del Pedretti di cedere un bilocale in comodato d’uso a un pensionato lombardo, anche un po’ elvetico (mai quanto la Serra), nella speranza di rientrare nel giro dei nominabili della Lega nord e nella prospettiva di assaggiare qualcuno dei buoni fruttiferi leghisti, Ettorino commenta: «Doppia merda! Bau!».

      Messaggio speciale: Lo sparviero ama la passera.

      • François-Marie Arouet permalink

        Contromessaggio speciale: Dobbiamo coltivare il nostro giardino.

        [Così scriveva Voltaire al termine del suo meraviglioso ‘Candide’, che irrideva alla dottrina di Wolff e alla sua implicazione, per cui noi vivremmo nel migliore dei mondi possibili. Ciò premesso, il Wolff era pur sempre un filosofo, mica era Martha Nussbaum, patrona di Curno e “vestale del politicamente corretto” (così Camille Paglia della quale ieri Ferrara tesseva un elogio, sul ‘Foglio’). N.d.Ar.]

    • Libertà borghesi, libertà sociali e libertà tout court

      Nell’intervista di Marco Rizzo, che Marcobelotti ha giuntato e fatto passare per farina del suo sacco, troviamo formulato un argomento classico del pensiero marxista:

      Dal punto di vista sociale, in Italia c’è da fare una lotta per i diritti che non è quella dei diritti borghesi individuali — cioè la libertà di religione, la moschea — ma per i diritti sociali.

      Mi permetto di osservare che i diritti individuali non sono necessariamente borghesi: spesso sono soltanto diritti umani, e i diritti umani vanno rispettati. Ma è anche vero che la similsinistra si è completamente dimenticata dei diritti sociali e si agita, talora anche indecorosamente, per allargare la base dei diritti, anche di quelli che non sono né umani né naturali, e che spesso non si capisce nemmeno quali siano.
      Certo, la discussione è aperta: quali sono i diritti naturali? Quali sono i diritti umani? Appunto, la discussione è — anzi, dev’essere — aperta. Rispediamo però al mittente, senza paura di passare per reazionari, le imposizioni di sciacquette senz’arte né parte che, invece, vogliono chiudere l’universo del discorso e imporci i dogmi del pensiero unico politicamente corretto. Reazionari saranno loro, che se ne impipano dei diritti sociali, della giustizia e della libertà di pensiero. La libertà è una cosa seria e nobile, non va confusa con la libertà di usare questa o quella parte del corpo, compreso il culo. Per carità c’è anche quella, ma vediamo di ragionare, caso per caso, senza farci trascinare su un terreno di convenienze settoriali e volgari. Quando si ragiona, le lobby abbiano la compiacenza di stare alla porta. Si ragiona tra amanti della sapienza, cultori della terza “F”.

  31. Mongomanager cinesi assediati dalla folla inferocita

    Estraggo dall’articolo «Ridateci i soldi»: caccia agli yuppies in strada a Shangai. È la fine di u sogno, pubblicato a p. 6 di Repubblica, 26 agosto 2015:

    Colletto bianco e grisaglia addio. Sconsigliati anche tailleur e tacchi a spillo [‘Questa è la divisa delle donne determinate in carriera’: N.d.Ar.]. A Shanghai e a Shenzhen ora è aperta la caccia a brokers, traders e funzionari di banca. Sparite, nel quartiere dei grattacieli eleganti di Pudong, auto sportive e borsette di lusso. Chiusi i ristoranti gourmet, spente le vetrine con gli orologi svizzeri. Lavorare in Borsa, fino a due mesi fa, in Cina era il simbolo del successo e proiettava nella “dolce vita all’occidentale”. Regola numero uno: esibire l’eccesso, mostrare a tutti di avercela fatta.
    Oggi il “compagno economista” recupera dall’armadio i vecchi jeans, sandali e t-shirt, va in ufficio in metrò ed entra dal retro, succhiando tagliolini liofilizzati assieme alle giovani migranti interne assunte per le pulizie. L’alternativa è venire linciati dalla folla, o essere arrestati dalla polizia. Nella capitale finanziaria gli investitori inferociti sfondano i portoni blindati che proteggevano i manager di quattro banche. «Ridateci i nostri soldi – grida la folla – dove li avete nascosti?». Immagini censurate dei media di Stato, che tacciono pure come banche, finanziarie e palazzi dei mercati, compresi quelli di Hong Kong, siano ora difesi dell’esercito. Per i cinesi accettare che in un giorno la “febbre gialla” dei listini bruci 5 mila miliardi di dollari, azzerando i guadagni da gennaio, è impossibile. «La ricchezza – scrivono i piccoli risparmiatori sulla facciata del secondo istituto di credito di Pechino – non può sparire: trovatela e restituitela al popolo»

    E gli aziedalsimilprogressisti curnensi? Probabile che mangino la foglia. Se hanno senno, niente più slàid o, quanto meno, il tripudio delle slàid sara contenuto all’essenziale, giusto la dose minima consentita a chi è drogato di aziendalismo. Per non essere identificati per quel che sono, cioè aziendalisti, calzeranno sandali francescani e cercheranno protezione presso le conventicole (da non confondere con i conventi) della “convivialità delle differenze”.
    Che cosa ha da dirci in proposito Claudio Borghi, ex agente di borsa, “economista” tuttofare di Salvini? Ho cercato sue profezie in rete: per il momento ancora niente. Però ho trovato l'”immagine di copertina”, nel profilo Tweeter, che vedete qui sotto. E scusate se è poco.

    • Ai “politici” piace mettersi in posa improbabile • Claudio Borghi, leggermente narciso, si vede così

      Questa è l’immagine che Claudio Borghi ha di se stesso (dalla sua pagina di ciaccolate tweeter). Vi piace l’atteggiamento pensoso? Adesso è di moda. Anche il conte zio dei leghisti curnensi, il Calderoli, da qualche tempo fa circolare una sua foto pensosa (vedi profilo Facebook). Anche Marcobelotti si è ultimamente prodotto in posa pensosa, ispirata (vedi sempre Facebook). A quando il Pedretti? A meno che non ritenesse “pensosa” quella foto che fece stampare nelle bustine di zucchero promozionali che distribuì in Val Seriana (era candidato a un seggio regionale, vi si acculò, rimediando però una condanna in primo grado da parte della Corte dei Conti, con l’obbligo di restituzione immediata dei rimborsi allegri; seguirà procedimento penale).
      Ma a noi quella sembrava un’espressione da falchetto, quale il Pedretti si poteva permettere al tempo del fulgore della sua potenza. Adesso non se la può permettere, infatti ha tutt’altra espressione (si faccia il confronto-finestra con la foto che lo ritrae mentre protende la mano alle chiavi che Calderoli consegna al pensionato lombardo, nel corso dell'”evento” promozionale di Alzano lombardo).

  32. Scarpe chiodate sì, sandali chiodati no

    Vedo che si parla molto di De Gasperi questi giorni, in occasione del raduno di Comunione e liberazione. Sempre a proposito di De Gasperi, Togliatti disse, nel 1948: «Voglio comprarmi un paio di scarponi chiodati per dare un calcio nel sedere a De Gasperi». Ricordo alla dott.ssa Serra e a Max Conti che i sandali francescani chiodati sono fuori ordinanza.

  33. Segretario politico CDX permalink

    Circa cinque settimane fa ho sentito per la prima volta parlare del lavoro del sig. Aristide e ho letto sette o otto articoli di Nusquamia. Mi aspettavo un’ esperienza insolita e fui accontentata. Dopo di che ho cominciato a raccomandare la lettura di Nusquamia a colleghi e pazienti, anche se certi miei colleghi si indignano o si stupiscono, naturalmente.

    • Il centrodestra curnense in pillole

      Quale dei segretari politici del Cdx?
      • Il nonno imperiale? È stato lasciato in brache di tela dalla fasciofemminista, tant’è che, rassegnato, ha rinunciato a ogni velleità politica.
      • Fausto Corti? È stato messo fuori gioco da Locatelli. Sia Fausto Corti sia, a sua volta, Locatelli hanno imparato a proprie spese quanto si guadagna a stare con il Pedretti. L’unica che ci ha guadagnato è stata la Serra, perché intelligentemente ha mandato avanti Max Conti a trattare con il coetaneo e amico Pedretti, mentre lei ha sempre mostrato di non saper niente del patto che pure da lei, per metà, prende il nome: parlo del patto serrapedrettista. Ma ha intascato furbescamente i dividendi.
      • Locatelli stesso? Con lo sfanculamento di Cavagna il Giovane non si è capito se il personaggio sgradito fosse Locatelli, o Cavagna il Giovane o tutt’e due insieme, a pari merito. In ogni caso, già la presenza in lizza di Gandolfi impedirà al Cdx di toccare palla (sia che Gandolfi vinca le elezioni, sia che sciaguratamente siano vinte dai serrani): a maggior ragione un Cdx senza la Lega è destinato a contare come il due di picche quando la briscola è a bastoni. Locatelli dovrà dunque inventarsi una lista farlocca, ma con quali prospettive di successo? Nulle direi, nemmeno se per suo interessamento due appartamenti di Ecodomus saranno assegnati in comodato d’uso a pensionati lombardi, e se un terzo appartamento sarà trasformato in casa di riposo per cani.
      • Cavagna il Giovane? Per ingraziarsi la Lega, potrebbe dire che lui non è più il pupillo di Locatelli, e offrire alla Lega la sua esperienza di consigliere comunale nonché la sua caratura di statista. Le sue mosse in Consiglio erano tutte manfestamente intese a ingraziarsi la Lega. Dubito però che la sua offerta sarà accettata. Gli conviene gettare la spugna adesso, piuttosto che insistere, esponendosi al ridicolo. Fra l’altro, si è fatto fotografare con Brunetta e Toti: gongolava, si vedeva benissimo, anche se con le labbra serrate e con le chiappe strette, come si vede nelle foto da lui pubblicate in rete. Però proprio ieri Brunetta e Toti non se le sono mandate a dire, a proposito delle primarie di partito. Cavagna il Giovane con chi ha deciso di stare? Un consiglio disinteressato: meglio Brunetta; è alquanto balzano, ma almeno è intelligente.
      • La fasciofemminista? Certo, può contare su qualche sponsorizzazione altolocata (lei può, lei sa come usare certe sue arti magiche, a proprio beneficio), può impetrare da Traìna l’adattamento di un comunicato stampa in spigliata intervista anglorobicosassone, ma è politicamente inaffidabile. Chi è disposto a correre il pericolo di assegnarle un incarico di responsabilità politica? Neanche la Lega nord, neanche se lei con doppio salto carpiato s’iscrive ai Fratelli d’Italia e si appunta il distintivo di Sovranità.
      • Marcobelotti? È l’unico che avrebbe titoli per designarsi segretario del Cdx, perlomeno se si guarda il “trend” italico, come si dice in linguaggio coglion-aziendale, se si guarda cioè la tendenza evolutiva del consenso elettorale. Peccato però che a Curno la Lega nord sia impedrettata, che Marcobelotti abbia continuato a temporeggiare e procrastinare la depedrettizzazione, e che ormai abbia ragionevolmente perso il treno per quell’iniziativa salvifica (per la sgarruppata Lega nord di Curno) e foriera di successo elettorale. Si troverà con Foresti, Dolci e Sàgula (mi raccomando l’accento) a sinistra e con un pugno di mosche nella mano destra.
      • Gandolfi? Non è possibile, perché Gandolfi non è a sinistra, non è a destra, ma in alto.

      I papaveri del centrodestra di Bergamo potrebbero sfanculare Locatelli e Cavagna il Giovane, come ho già scritto, e rivolgersi a Gandolfi per consiglio, onde evitare gli errori del passato e studiare un’uscita di scena onorevole. Ma in una prospettiva non-inculante (per Gandolfi), perché non è possibile che chi ha dimostrato totale inadeguatezza politica, chi ha sbagliato tutto subendo a suo tempo l’iniziativa pedrettesca, pretenda poi di condurre le danze. Non credo però che, anche sfanculando Locatelli e Cavagna il Giovane, il centrodestra abbia a Curno grandi prospettive di affermazione politica. Ormai i buoi sono scappati e, se veramente i papaveri (o ex papaveri) credono in quel che dicono di professare (nella libertà, nell’opposizione al pensiero unico politicamente corretto ecc.) farebbero bene a promuovere una nobile desistenza in funzione antiserrana.

  34. Claudio Borghi ha un piano segreto per far uscire l’Italia dall’euro

    Claudio Borghi, il petulante “economista” salvinesco, ci fa sapere di avere un piano di uscita dall’euro, bellissimo, ma esoterico: non tollera un esame scientifico, men che meno di essere popperianamente falsificato. Alla pari dei dogmi del politicamnte corretto, non se ne può discutere, dobbiamo fidarci dell’enorme intelligenza dell’ex agente di borsa, laureato con 110 e lode alla Cattolica milanese (come la Bellezza, però a Bologna [*]). E se Claudio Borghi fosse pazzo? Non fa niente: forse che Hitler non era pazzo? Sì, però Hitler, per quanto pazzo, si affidava a scienziati e ingegneri che sapevano il fatto loro. Noi invece dovremmo fidarci di Borghi?
    Leggo su Termometro politico che su tweeter c’è qualcuno che chiede al tenebroso “economista” se esiste un documento tecnico e operativo per uscire dall’euro. Lui, l’economista geniale e oracolare, risponde che il suo non esiste ufficialmente perchè «non si fa vedere il piano di battaglia al nemico». Sì, e io non ho scritto sulla fronte “Giocondo”: fammi vedere il piano, poi ne discutiamo. Ecco come si esprime lo spavaldo “economista” salvinesco:

    Al che — leggiamo sempre su Termometro politico — l’ambizioso e paragnosta Borghi aggiunge che per portare a effetto il suo piano segreto occorre che pochissime persone abbiano accesso a tutte le informazioni. Invece moltissime devono essere coinvolte nell’“implementazione” [merda! o, più bonariamente, come si dice nel Canton Ticino: ciula!], senza che però abbiano la piena conoscenza dell’obiettivo finale. Ecco un altro stralcio della sua espressione il linguaggio coglion-aziendalistico:

    Spiegazione del linguaggio coglione impiegato nei cinguettii:
    • “Solo una q” significa solo “una question”, cioè una domanda
    • “FTE” significa “numero di persone che lavorano a tempo pieno”, da Full time equivalent
    • “full information” significa “informazione completa”
    • “full info” significa full information (vedi sopra)
    • “the whole picture” significa “il quadro completo”.

    ——————————————
    [*] È stata la consigliera Paola Bellezza a volercelo comunicare, a tutti i costi, nel corso di una seduta di Consiglio comunale. Fu così che abbiamo scperto che la laurea di primo livello è stata conseguita discutendo la proposta etica di Martha Nussbaum. Invece la laurea di secondo livello, in apparenza equivalente alla laurea d’altri tempi, oggi si chiama pretenziosamente “laurea magistrale”. Spero che la Bellezza si sia pentita di quell’improvvida esternazione.
    Dato che ci sono ricordo che sempre a Bologna si è laureata la giornalista antigandulfiana Sara(h) Agostinelli: anche lei, al pari della Bellezza, figlia di un esponente della sinistra orobica. Ricordo a Bologna di aver visto una “Casa dei tedeschi” dove fin dal Medioevo albergavano gli studenti d’oltralpe. Non mi ricordo però di una “Casa dei bergamaschi”.

    • Uscire dall’euro

      Lo studio citato da Claudio Borghi (che è una riflessione critica, mica un piano di uscita dall’euro) è questo: S’il faut sortir de l’euro…, par Jacques Sapir. In buona sostanza, qui si afferma che si può uscire dall’euro, ma che se si fa, dev’essere un’operazione seria. Come per l’indipendentismo: le regioni settentrionali possono staccarsi dall’Italia, anzi sarebbe opportuno — per tutti, anche per l’Italia — che tale divorzio fosse consumato. Ma occorre un piano serio, validato scientificamente, che prescinda in toto dalle cazzate identitarie, dalle panzane celtiche ecc.
      Così in economia: se dobbiamo metterci nelle mani di Claudio Borghi, che ambisce a essere ministro dell’Economia in un improbabile e deprecabile governo a conduzione fascioleghista, meglio allora stare sul sicuro, con questo stramaledetto euro che puzza di mortadella felsinea (Prodi) e scorreggia labronica (Ciampi).
      Si veda anche, dello stesso autore (Sapir) La dissolution de la zone Euro: Une solution raisonnable pour éviter la catastrophe.

  35. Francois Teroux permalink

    @ François-Marie Arouet.
    Approvo in modo assoluto quanto afferma l’illustre Francois.
    Aggiungo anzi tutto che mi sto approntando nella costruzione di roccoli atti alla cattura della passera; volatile dall’equilibrio instabile, ma pace di ogni bene.

    • La fasciofemminista di decida: Giorgiameloni, Storace o Matteo Salvini?

      A suo tempo la fasciofemminista volle farci sapere di essere molto richiesta, e che avrebbe preso in considerazione — bontà sua — una proposta passerina, nel senso di Corrado Passera. Precisamente la fasciofemminista rilasciò la fatale dichiarazione: «È una proposta politica interessante, la sto valutando». Si veda Democratici, forzisti e debuttanti La platea eterogenea dell’ex ministro. Certo, interpretando i comportamenti della fasciofemminista, la si direbbe oggi indecisa, più che altro, tra Fratelli d’Italia e Salvini. La sua pagina di chicchiericcio tweeter abbonda di “retweetate” da Salvini; quando non “retweeta” e scrive lei, manda messaggi a Salvini, a Storace (che adesso dovrebbe essere di Forza Italia) e qualche volta — toh! — ad Alfio Marchini (la fasciofemminista potrebbe trasferirsi a Roma, mentre la Serra va a New York, al Palazzo di vetro: bel colpo!). Giorgiameloni no, Giorgiameloni che pure rappresenta l’approdo naturale della fasciofemminista, non viene re-tweetata. Non le cinguetta nemmeno. Che cosa c’è sotto?
      Ma, in questi ultimissimi tempi — parlo di giorni e di ore — lei, la donna del destino curnense (come Mussolini fu l’uomo del destino, secondo il cardinale Gasparri), pencola tutta dalla parte di Salvini. Conta forse su una raccomandazione altolocata, tanto da mettere Marcobelotti davanti al fatto compiuto? Cioè, grazie alla raccomandazione altolocata, lei s’inscrive alla Lega da un giorno all’altro, con tanti saluti al nonno imperiale, e s’impone candidato sindaco fascioleghista? Ammesso che queste siano le sue intenzioni, non le prenderei troppo sul serio. Lei crede di essere molto importante, anche perché vanta «studi filosofici, giuridici, sociali» (così si legge sul suo curriculum vitae), e perché fu dottoressa (così si leggeva sulla targa dell’ufficio di assessore), ma non lo è. In ogni caso, non vorrei essere al posto di Marcobelotti, costretto a vedersela con il Pedretti da un lato, e con la fasciofemminista dall’altro. Nessuno dei due conta granché, ma sono come i cagnolini di piccola taglia, possono dare molto fastidio.

      Tornando a Passera, costui ha avuto l’ardire di scrivere un libro, intitolato “Io siamo”. Ce ne siamo occupati nell’articoletto La bufala del “cambiamento”. Ivi scrivevamo che pensiamo tutto il male possibile di Corrado Passera, anche se non disdegnamo di gustare la Passerina del Frusinate. Ma sono due cose diverse.

  36. Fascioleghismo: Casa Pound e Lega nord alleati

    Gli aziendalsimilprogressisti invece si agitarsi come forsennati per accreditarsi come anime belle e far belle carriere, pensino alle esigenze del popolo. Si mettano una mano sulla coscienza: il consenso crescente raccolto da casa Pound e da Matteo Salvini, alleati come vediamo in questo video, è conseguenza diretta di due fattori principali che caratterizzano inequivocabilmente i similprogressisti:
    a) la mancanza di iniziative concrete che smentisca la fama, meritata, di politicanti in carriera indifferenti alle sofferenze del popolo;
    b) l’atteggiamento spocchioso, simboleggiato dai sandali francescani e sostanziato dalla promozione a raffica di eventi politicamente corretti. Qui siamo sul piano simbolico, che spesso è quello che più facilmente fa imbufalire il popolo.

    Noi non vogliamo regredire alla barbarie belluina fascioleghista. Bisogna fermarla, questa barbarie, perché i fascioleghisti sono peggiori dei fascisti storici. Quelli se non altro erano tenuti a bada da Mussolini, era lui che dava il “la”. Questi invece scatenano gl’istinti peggiori della plebe, e sono fatalmente ostaggio di tali istinti, sacralizzati dai sondaggi e dai c.d. social media.
    Inoltre, varrà la pena ricordare che Mussolini era un geniaccio politico. Era figlio di un anarcosocialista, era maestro elementare ai tempi in cui un maestro elementare era un educatore (altro che lauree su Martha Nussbaum!), fu agitatore socialista in Svizzera, pubblicò sulla Voce di Prezzolini Il Trentino visto da un socialista, combatté in guerra, fu direttore dell’Avanti, arricchì la sua cultura diventando l’amante di Angelica Balabanoff, che fu segretaria della Terza internazionale socialista, quindi di Margherita Sarfatti, animatrice del movimento artistico Novecento, fondò il fascismo, conseguì l’importante obiettivo della “Quota 90”, che rivalutava la lira italiana portandola al cambio di 90 lire per una sterlina inglese, affidò a Beneduce, ex socialista, la fondazione dell’IRI «per tutelare il lavoro italiano» (Beneduce era un matematico e un economista vero, una persona seria: altro che Claudio Borghi). Poi seguì quel che seguì: le leggi razziali e una morte indecorosa. In ogni caso, fu abbastanza spesso un uomo (essere uomini tutta la vita è una fatica enorme, come dice anche quella canzone di Endrigo). Ma Salvini chi è?

  37. Siamo allo sfacelo permalink

    Salvini è il peggio che una persona onesta possa immaginare. E’ l’elogio al nulla e menefreghista della quiete morale e pubblica.
    Innanzitutto, se fosse un uomo, rinuncerebbe al lauto stipendio che percepisce ignobilmente come parlamentare europeo. Mamma mia, parlamentare, europeo per giunta. Assenteista di primo grido.
    Abbrancato alla nuova filosofia del piglia fin che puoi e in culo tutto il resto. Un aziendalista minchione che, senza arte né parte, trae profitto dalla bestialità del popolo che, senza capacità di ragionamento, segue il capo senza pensare. I peggiori dunque.
    Ricordo, alcuni anni fa, mentre bazzicavo per ragioni di lavoro con alcuni elementi rapresentativi del bestiario latifondista (parlo di agrari padani, ma non credo che altrove le cose vadano meglio: anzi), che la loro etica si riassumeva in questa regola di vita: “Mangiare, trombare e cacare”. Noto, con estremo dispiacere, che nulla è cambiato. Ne soffro ora come allora, ma a quel tempo ero giovane e nutrivo una sana speranza che tutto si sarebbe sistemato con l’avvento delle nuove generazioni. Nulla di tutto questo purtroppo è accaduto. Tutt’altro, addirittura i ggiovani di oggi sono ancora più vecchi dei loro antenati, con una piccola differenza: oggi questi ”coglioni” hanno i telefonini del modello più recente. Per il resto, sono senza sogni, senza nota che li identifichi come persone libere, greggi al mattatoio per raggiungere i nuovi -dei- del giga byte.

    P.S.
    Ultima generazione: speriamo sia proprio l’ultima.

    • Il ruolo nefasto degli “esperti” venduti al sistema delle pubbliche relazioni

      Lei scrive parole di giusto disprezzo nei confronti di chi, per sentirsi qualcuno, deve essere “griffato”. Un uomo non ci tiene più a essere un uomo, ma a essere uno del gregge, con l’ultimo modello di i-Pod, o di sandali francescani, poco importa. Purché sia quella tal cosa che è ambita tra i coglioni che frequenta abitualmente, o che ambisce di frequentare.
      Mi vengono in mente certi sottoproletari che s’intrufolavano nell’ambiente di “Società civile” quando questo movimento nandochiesastico raccoglieva a Milano alcuni bei nomi della borghesia milanese, padre David Maria Turoldo, magistrati ecc. S’intrufolavano nella speranza di far parte di quel bel mondo. Ma almeno i bei nomi di Società civile, sia pure partendo da un’analisi sbagliata, avevano un “proggetto” (una mia amica, che faceva parte di quel gruppo, diceva proprio così), addirittura un “proggetto” palingenetico. E gli stessi sottoproletari furbetti, per il fenomeno di eterogenesi dei fini, quando fossero arrivati a sposare una ragazza borghese ed essere essi stessi borghesi, avrebbero perfino potuto fare qualcosa di buono.
      Invece questi giovani coglionicini protesizzati con i gingillini dell’ultimo grido non vogliono cambiare proprio niente. Questa è la cosa che più mi sconcerta. I giovani, finché se lo possono permettere, cioè finché sono giovani, è giusto che sognino l’utopia, che siano eversori delle regole tràdite (con l’accento sulla “a”). Invece, guardate Curno: c’è chi si attarda nei videogiochi, altri passano improvvisamente dai videogiochi al “Comune delle ragazze e dei ragazzi”, che è una baggianata conformista, in prospettiva anche malefica. Gli rubano la giovinezza: quando non sono vittime dei perusasori occulti che li inducono al possesso compulsivo delle merci, ecco in agguato i manipolatori serrani che potrebbero farne degli ambiziosetti. Gli hanno rubato i sogni, a questi poveri giovani. Non hanno nemmeno l’istinto vitale dei sottoproletari dei quali dicevo, che volevano diventare importanti, anche loro, forse — perché no? — per fare qualcosa di buono nella vita. No, ormai quasi tutti vogliono diventae “importanti” a prescindere. Perciò partecipano alle trasmissioni della De Filippi, perché apparire è già essere un po’ imortanti. Vogliono perdersi nel flusso del conformismo.
      Se, in particolare, consideriamo il feticcio delle merci (più in particolare, dei gingillini elettronici) al quale lei faceva riferimento, vediamo che questi “ggiovani” sono vittime della pubblicità occulta, che non è una cosa nuova, ma che mai come adesso miete tante vittime. La patologia è diventata fisiologia, siamo arrivati a questo.
      La pubblicità occulta, per definizione truffaldina e teoricamente illegale (ma tollerata ampiamente, tanto che molti pensano che sia legale) la troviamo ormai dappertutto. Infesta i giornali, per opera di giornalisti di dubbia moralità che fanno passare un “redazionale” per un “articolo d’informazione” al servizio del lettore (bisogna pur arrotondarte lo stipendio, dicono loro); nei programmi televisivi; e, soprattutto in rete, dove prendono la parola presunti “esperti”, che immancabilmente ti consigliano questo o quel prodotto: fanno così perché sono venduti ai markettari e ai confezionatori di “pacchi” di pubbliche relazioni. Questi esperti non s’intendono di elettronica e, in generale, delle cose delle quali dicono di essere “esperti”, più di quanto s’intendesse di ananas “l’uomo Del Monte”. Ve lo ricordate?

    • Indistinto permalink

      All’ orizzonte non un cane, non un pastore e nemmeno una pecora rossa, per carità.

      [Qui si allude. Fateci capire. N.d.Ar.]

  38. Questa sera, al cinema virtuale di MyMovie, un film vero

    Ho prenotato un posto (il numero 462) al cinema virtuale di MyMovies. Vedrò il film questa sera, in modalità di flusso d’immagni e suoni (cosiddetto streaming), alle 21.30. Un orario comodo, senza muovermi di casa e a un prezzo conveniente (1,99 €). Il film che vedrò s’intitola Taxi Teheran, il regista è tale Jafar Panahi, le cui vicissitudini di per sé invitano a vederne il film. Pare che sia un uomo vero, questa è già una buona ragione. Si veda in proposito Taxi Teheran, arte, desiderio di vita e libertà contro i divieti.
    Nel momento in cui scrivo (h. 17: 40 del 27.08.2015) avanzano 23 posti liberi, su un totale di 700 posti “a sedere”.
    Chi voglia vedere il film in una sala cinematografica reale (convengo che è meglio), può recarsi alla Conca Verde, Bergamo; o all’Anteo, Milano; anche in qualche altra città.
    Per giudicare il film aspetto di vederlo. Ma sono in buona aspettazione, perché vado alla ricerca di realtà non pisciate dal pensiero unico politicametne corretto. Qualche tempo fa avevo visto un film di un altro regista iraniano, Qualcuno da amare, di Kiarostami, girato in realtà i Giappone, per sfuggire al controllo dell’occhiuta censura del suo paese. Uscii dalla saletta milanese quasi entusiasta. L’Iran è un paese non democratico, dove trovi ancora l’uomo. L’Italia invece è un paese democratico, fino a un certo punto, dove tutto è politicamente corretto, e non ci sono più uomini. Ho parlato di questo secondo film nell’articolo Cinefilia.

    • Ho visto Taxi Teheran. Direi che come film non è un capolavoro, ma nemmeno possiamo pretendere che lo sia. Dobbiamo vederlo come una testimonianza, e allora il giudzio cambia: come testimonianza ironica, precisa, tagliente, perfettamente rispecchiata dall’espressione del regista che riprende se stesso, è un piccolo capolavoro. Sarà perché è sempre più difficile fare ancora del buon cinema (ci riescono però due grandi vecchi, Polanski e Woody Allen), avviene che sempre più spesso si vada al cinema e non si veda un film, ma un quasi-film. Così, fra l’altro, si spiega l’affermarsi del genere biopic, quello delle cinebiografie, del quale abbiamo già parlato.
      Il regista di Taxi Teheran è un uomo al quale il regime ha posto la mordacchia: è stato condannato a non far cinema per vent’anni; non potendo girare un film vero e proprio, confeziona allora un film-non-film e con questo stampa una rasoiata sul volto del regime. Speriamo che l’assegnazione dell’Orso berlinese lo preservi dalla vendetta. (L’Orso d’oro è il premio del Festival internazionale del cinema di Berlino.)
      Dispiace però leggere che a favore della libertà di espressione di Panahi, il regista, si siano mobilitati i soliti noti, i professionisti dell’appello. Questa gente fa del male a Panhai, ne scalfiscono l’integrità morale; ma a loro non importa niente, per loro è importante firmare. Fra i firmatari figura — addirittura! — Ambra Angiolini. Ve la ricordate? Era la sgallettata di Non è la Rai, quella ragazzetta con l’auricolare suggeritore. Quand’era giovane e carina era odiata dalle femministe. Non ha sopportato il peso di quell’odio e, per riscattarsi, è diventata brutta. Adesso che è gallina per brodo è nevrotica, non sa recitae ma recita (le vengono bene solo le parti dove interpreta se stessa), pensa perifino di essere un’intellettuale.
      Anche se noi resistenti non contiamo un cazzo, e non possiamo far niente per Panhai (come del resto non può far niente Ambra Angiolini) sappia il regista Panahi che noi stiamo con lui. E della nostra simpatia, che non è pelosa, non ha da vergognarsi.

  39. Rovinata dalle femministe


    Facendo clic sull’immagine, si accede alla pagina contenente il video di un’esibizione sgallettata di Ambra Angiolini. A quel tempo conduceva la trasmissione “Non è la Rai”, sotto la guida, via auricolare, di Gianni Boncompagni. Il gruppo di ragazzette scatenate che smaniavano dalla voglia di apparire e che eccitavano il desiderio maschile faceva impazzire di rabbia le femministe, tanto più che Boncompagni affermò che lui si immaginava il paradiso un luogo fatto proprio così, come il palcoscenico della sua trasmissione. Giampiero Mughini, intellettuale politicamente scorretto, affermava che poteva anche cascare il mondo, ma lui non si perdeva una puntata della trasmissione.

    Nel commento precedente ricordavamo il caso lacrimevole di Ambra Angilini che appone la sua firma in calce ai manifesti stilati dagl’intellettuali di grido. In un altro commento di Nusquamia, prima ancora, facevamo presente che «Ambra Angiolini ha subito un vero e proprio trauma, a seguito degli attacchi femministi, in conseguenza dei quali ha conosciuto un periodo di depressione; per uscirne è diventata lei stessa paladina del politicamente corretto. Adesso fa l’attrice, è parecchio gay-friendly (se volete soffrire, non mancano in rete le sue esternazioni al riguardo) e, soprattutto, è molto pallosa». È più forte di lei, è attratta dai suoi carnefici, vuol piacere a tutti i costi a coloro che un tempo la volevano sbranare. Questa si chiama la «sindrome del portiere di notte»: prende il nome dal film che narra di una donna, già internata in un campo di concentramento nazista, che incontra tredici anni dopo, in un albergo di Vienna, il suo aguzzino, per il quale prova un’attrazione irresistibile.
    Ed ecco come si è ridotta Ambra Angiolini, oggi, mentre presenta un film che la vede protagonista. Regista del film è Michele Placido, attore belloccio, protagonista della serie televisiva La piovra, uno — anche lui! — che crede di essere un grande intellettuale. Insopportabile.

    • Per dimenticare la spocchia similprogressista e la tupitudine dei “pusher” della paura

      Siete rimasti disgustati dala sguaiataggine di Ambra Angiolini che ambisce al ruolo di vestale del politicamente coretto? Vi capisco. Siete sconcertati dalle «reazioni drogate» promosse un po’ in tutta Europa dai «pusher della paura che vendono odio in cambio di voti»? (Copio quest’epressione da Repubblica del 28.08.2015, p. 34.) È bene che sia così, questo vi fa onore. Allora tuffiamoci nel bello. Dimentichiamo questa gente, almeno per qualche ora.
      Copio e incollo un mio precedente intervento che s’intitolava “La bellezza non salverà il mondo, ma ci aiuta a soffrire meno per via della turpitudine d’indifferenza etica”. E il riferimento era all’indifferenza etica dei similprogressisti, che adesso s’indignano per quel che dice Salvini, ma che non s’indignarono per quel che voleva fare il Pedretti, e che avrebbe fatto, se non fosse stato fermato per tempo. Gli stessi contenuti di quell’intervento di quasi due anni fa si confanno alla situazione attuale, ancora peggiore. Dunque, rifacciamoci la bocca e prepariamoci a combattere.

      —————————————————————————–

      Questo spezzone è tratto dalla Doppia vita di Veronica, meraviglioso film di Kieślowski; in particolare, qui Veronica canta l’incipit del secondo canto del Paradiso di Dante:

      O voi che siete, in piccioletta barca,
      desiderosi d’ascoltar, seguìti
      dietro al mio legno che cantando varca,

      tornate a riveder li vostri liti:
      non vi mettete in pelago, ché, forse,
      perdendo me, rimarreste smarriti.

      L’acqua ch’io prendo già mai non si corse:
      Minerva spira e conducemi Apollo,
      e nove Muse mi dimostran l’Orse.

      (Con queste parole Dante ammonisce i lettori perché non lo seguano a cuor leggero nel viaggio che intraprende. Se non sono ben provveduti degli strumenti della filosofia e della teologia, meglio farebbero a tornare alle consuete spiagge.
      Ai vv. 1-2, “siete” va unito a “seguìti”: O voi che siete… seguìti dietro al mio legno. Cioè, O voi che siete venuti dietro alla mia imbarcazione.)

      Il compositore Van den Budenmayer al quale questa musica viene attribuita, in realtà non esiste. La musica è di Zbigniew Preisner, l’autore della colonna sonora di Film rosso, altro capolavoro di Kieślowski (ma anche di Film bianco e Film blu: è una trilogia). Si veda questo articolo del Corriere della sera: Il musicista fantasma di Kieślowski.

      Per ascoltare tutto il Concerto in Mi minore di Van den Budenmayer [in realtà Zbigniew Preisner]:

      Ecco invece un brano del Film rosso, dove questa fanciulla meravigliosa, non determinata, rimane folgorata dalla musica di Van den Budenmayer, il compositore che non esiste. Riconosce che quella è la musica che modula lo svolgimento della sua vita, della quale il fato annoda e snoda gli accadimenti. Sì, il fato — non la caparbia e stupida ostinazione — vuole che nella composizione casuale degli eventi, come secondo il poeta Lucrezio avviene degli atomi, lei viva una vita che è stata già vissuta: non da lei, ma da altri. Film meraviglioso, questo Film rosso:

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      Terminavo quell’intervento con le parole: «Vergognatevi, serrapedrettisti, voi che baccheggiate al ritmo scatenato del vostro osceno tuca tuca». Termino questo dicendo: Vergognatevi — al solito — voi aziendalsimilprogressisti, ché (con l’accento, = perché) certo non ci faremo trarre in inganno dai vostri sandali francescani (vedremo a questo rientro dalle vacanze la dott.ssa Serra e Max Conti francescanamente calzati?). Ma dico anche: Vergognatevi fascioleghisti ché certo non ci traete in inganno indossando la maschera Ur-leghista, professandovi dunque in terra orobica separatisti (addirittura!), ma coglionando i vostri elettori, considerato che il vostro còmpito è portare acqua al mulino neofascista, tutto itagliano, come dicono gl’identitaristi che non sanno quel che dicono; a maggior ragione non viene meno la nostra vigilanza, quando Marcobelotti copia e incolla le parole del segretario del Pc-Italia, Marco Rizzo, per farci dimenticare la contiguità dei sedicenti Ur-leghisti curnensi con i pusher fascioleghisti della paura e dell’odio.

  40. Ottone permalink

    http://www.ilfattoquotidiano.it/2015/08/28/tedeschi-che-non-pagano-al-casello-tutti-furbetti-o-di-mancanza-di-comunicazione/1501079/

    [Alcuni tedeschi si comportano male nei confronti degli italiani perché metà degli italiani si comporta male nei confronti dell’altra metà. Fanno i furbi in Italia, non a casa loro, perché l’Italia è il paese dei furbi. La soluzione del problema? Reprimere la furbizia italiota, disprezzare chi fa il furbo. Naturalmente, il disprezzo dev’essere tanto maggiore quanto più l’essere spregevole svolge mansioni di responsabilità. Per i politici, per certi politici, in particolare per i politici indigeni, il cui operato è sotto gli occhi di tutti, non dovrebbe esserci scampo. N.d.Ar.]

  41. Angelo Gandolfi permalink

    No comment:

    [Sono sicuro che, adesso che sono al corrente di quest’iniziativa germanica, la dott.ssa Gamba e la dott.ssa Serra, finalmente d’accordo (come possono pretendere condivisione dai cittadini se non si condividono fra loro?), faranno una telefonata a Enèrgheia, l’impresa sociale che ha una soluzione miracolosa per tuttto. Qualcosa s’inventeranno e, quando quella cosa sarà attuata, ci sarà una bella cerimonia d’inaugurazione con tanto di sindachessa fasciata e tricolorata. N.d.Ar.]

  42. Giuda, non l' Iscariota permalink

    @ Giovanni Locatelli

    Siamo quello che pensiamo.

    [Chissà che cosa vuol dire. Un riferimento all’Ecodomus e alla possibilità che Locatelli e Max Conti vogliano emulare il gesto del Pedretti, con ricaduta mediatica? Che cioè si adoperino perché un appartamento di Ecodomus sia trasformato in comunità alloggio per curnensi indigenti, senza discriminazione di fede o di razza, un altro diventi una casa di riposo per cani, in continuità con l’iniziativa di ‘Curno a sei zampe’, che doveva portare voti alla coalizione Forza Italia + Lega nord? Ma adesso il sodalizio è rotto. Che ne é di ‘Curno a sei zampe’? Se Locatelli e Marcobelotti non vanno subito dal notaio, se non si affrettano a mettere tutto nero su bianco, finisce che i similprogressisti s’impadroniscono anche di questa associazione. N.d.Ar.]

    • Se ho capito bene, non si potrebbe dare del nazista, a nessuno. In particolare, non si potrebbe dare del nazista a Salvini. Possiamo però dire che è alleato di quelli di Solidarietà che — notoriamente — si dichiarano fascisti, almeno questo? O è proibito? E, se vanno alle urne insieme, potremo parlare di fascioleghismo, o è proibito anche questo? Ma chi credono di essere questi bei tomi, credono di essere la Serra che per molto meno mise la mordacchia a Gandolfi? Qui sotto, Simone Di Stefano, vicepresidente di Casa Pound, certifica l’alleanza fra leghisti e fascisti.

      Però si può dare del comunista. Berlusconi distribuiva questo epiteto a piene mani. Anch’io mi son sentito dare del comunista, più volte, anche qui su Nusquamia. E perché poi? Perché difendo le ragioni del socialismo scientifico, ho rispetto e quasi venerazione per gli apostoli del socialismo e perché apprezzo i tratti umani di Bersani, soprattutto se li metto a confronto con il ghigno impudìco di quel boy scout già democristiano, oggi aziendalsimilprogressista, erede di Berlusconi, manovrato dagli gnomi della McKinsey (parlo di Renzi, naturalmente).

  43. Dedicato a Marcobelotti che copia&incolla la perorazione di Marco Rizzo, segretario del PC-Italia, per farci dimenticare le amicizie pericolose (fasciste) della Lega nord


    Qui sopra, Kalinka nell’interpretazione del Coro dell’Armata rossa. O forse vi piace di più la versione “putiniana”, qui sotto, che piacerebbe anche a Berlusconi? Io però consiglio di aprire due finestre nel computer: attivate nella prima finestra la riproduzione dell’esecuzione sovietica, che è bellissima; nella seconda attivate l’esecuzione putiniana, avendo l’accortezza di levare l’audio. Così otterrete di far godere insieme il senso dell’udito e della vista.

    Però, a dir la verità, la seconda esecuzione è fin troppo “putinianamente” puttanegiante (detto con il massimo rispetto, naturalmente: mica ci sto sputando sopra), tanto che, avendo riguardo per il senso della vista e le sensazioi che trasmette al cervello, preferisco l’esecuzione per così dire “angelicata” che si vede nella seconda parte del video qui sotto.

    Marcobelotti faccia la sua scelta.

    • B. V. permalink

      Alla BerghemFest Maroni ha dichiarato che è amico di Flavio Tosi ma che è un traditore. Lui come altri usciti dalla Lega spariranno dalla scena politica. – Noi sappiamo che non é così e che i veri traditori sono loro. Maroni ha poi chiesto a Toti di sedersi al tavolo per concretizzare l’alleanza tra Lega e F.I. anche con Berlusconi che metterebbe a capo del ministero degli esteri togliendo la legge dell’incandidabitità. – sono basito di così tanta incoerenza.

      • Bobomaroni, un’ameba politica

        A rigore, ancor più dovremmo meravigliarci del fatto che Bobomaroni sia presidente della Regione lombarda (si dice “Regione lombarda”, cazzo, e non “Regione Lombardia”, anche se così è scritto nelle cacate carte). Certo, in parte la colpa sarà anche degli elettori. Ma che senso ha dare la colpa a coloro che non sanno quel che fanno? Molto più gravi sono le colpe della classe dirigente, degli intellettuali, di coloro che sanno quale sia la cultura politica di Maroni, quale la sua idoneità a guidare una regione che dovrebbe essere guidata da uomini di valore, da scienziati degni di raccogliere la meravigliosa eredità dell’illuminismo lombardo. E invece abbiamo Bobomaroni.
        Gesù disse dall’alto della croce: «Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno». Invece non c’è perdono per coloro che sanno, e sapevano, chi fosse e chi sia Bobomaroni e non hanno mosso un dito, non hanno detto nemmeno mezzo bah per entrare nel nocciolo del problema: la Lombardia ha bisogno di un progetto degno del Politecnico di Carlo Cattaneo, il quale lo presentava in questi termini:

        «Noi divisiamo [= intendiamo, N.d.Ar.] annunciare la più modesta delle intenzioni, quella cioè di appianare ai nostri concittadini con una raccolta periodica [Cattaneo intende il suo Politecnico, N.d.Ar.] la più pronta cognizione [cioè, “ci proponiamo di spezzare il pane dela conoscenza”: N.d.Ar.] di quella parte di vero che dalle ardue regioni della Scienza può facilmente condursi a fecondare il campo della Pratica, e crescere sussidio e conforto alla prosperità comune e alla convivenza civile».

        Insomma, la soluzione dei problemi e, a monte, la loro individuazione e comprensione, è difficile. Ma la scienza può e deve avere un ruolo nel sollevare il popolo dalle sue sofferenze. E il fatto che si abbia che fare con un sistema complesso, oggi ancora più che al tempo di Cattaneo, non significa che si debba gettare al popolo l’offa [la focaccia da lanciare al cane arrabbiato, per cattivarsene il consenso] di soluzioni farlocche acchiappa-voti, come vogliono i pusher della paura e dell’odio.
        Perciò le colpe della classe dirigente italiana (sia quella politica sia quella schifosetta che si fregia del titolo di “società civile”) sono enormi. Perché loro sanno, loro sapevano, e non hanno mosso un dito per contrastare la deriva irrazionale e la coseguente resistibile ascesa di amebe politiche come Maroni. Ricordo che le amebe sono organismi unicellulari caratterizzati dalla variabilità della forma (dal gr. ἀμοιβή “cambiamento”): proprio come Maroni, quando si occupa di politica e di cose più grandi di lui.

  44. Romantico permalink

    Al sentir la notizia vaga per Curno un cuore spezzato.

    http://www.corriere.it/politica/15_agosto_30/amor-leghista-due-cuori-camicia-verde-calderoli-si-sposa-203a3bbe-4ee4-11e5-ad01-b0aa98932a57.shtml

    Non temere o cuore infranto, agiato nell’ombra il vostro connubio sarà ancora perpetuato.

    • Il matrimonio è ormai un istituto sputtanato
      Nozze calderoliane: nella società dello spettacolo anche quelle sono un “evento”


      I due Calderoli, cioè, detto in linguaggio bobomaronita (intelligentissimo): Calderoli 2.0 e Calderoli 3.0. A sinistra, il Calderoli indomito, quand’era identitario, celtico e pagano, “h 24” (detto sempre in linguaggio bobomaronita). A destra il Calderoli domato: nazional-popolare, italo-salviniano e cristiano. Quale preferite? Fate la vostra scelta, ma, quale che sia la vostra preferenza, ricordate che questo non è un giornale anglorobicosassone, non è un giornale di markette, non è un giornale culilinctorio. Qui si ragiona liberamente, non ci facciamo condizionare dai sondaggi d’opinione e dalle convenienze meschine.

      Possiamo dire che queste nozze calderoliane ci deludono parecchio? Ma come, lui che è un politico patafisico, lui che se ne frega, lui che (soprattutto) a Curno svolgeva funzione di conte-zio, lui aderisce a un istituto così sputtanato come il matrimonio? Ma non lo sa che in questo mondo schifosissimo, politicamente corretto fino all’esasperazione, ora soprattutto che il matrimonio è petulantemente richiesto dagli e Lgbt in tutte le loro infinite declinazioni, il matrimonio è un passo da evitare? Ma che il matrimonio se lo godano gli Lgbt, visto che a loro piace tanto!
      Propongo che si torni alla saggezza degli antichi romani per i quali, tanto per cominciare «la cerimonia delle nozze non era necessaria alla costituzione del vincolo giuridico tra gli sposi». Questo avveniva al tempo in cui le nuptiae erano coniunctio maris et feminae, cioè l’unione di un uomo (maschio) è una donna (femmina).
      Inoltre il matrimonio poteva essere sine manu, cioè libero (quello di gran lunga preferito), oppure poteva essere una conventio in manum . Nel primo caso «la moglie continuava ad appartenere alla famiglia paterna, soggetta alla potestas del proprio padre e conservando i diritti successori della famiglia d’origine». Nel secondo caso, e questa era la forma più antica, «la donna veniva a far parte della famiglia del marito ed era soggetta al suo potere maritale (manus) nello stesso modo con cui i figli erano soggetti alla patria potestas».
      Anche il divorzio era una cosa semplicissima: il marito lo notificava alla moglie con queste parole: res tibi agito (“portati via quello che ti appartiene”); o con queste altre tuas res tibi habeto (“tienti la roba tua”). [*] Questo, perlomeno, avveniva nel matrimonio sine manu, quello più diffuso.
      Nel matrimonio cum manu, il problema dei beni della sposa non si poneva, perché il matrimonio era assimilato a una mancipatio, una sorta di atto di acquisto, mediante il quale «il padre trasmetteva allo sposo il suo potere di diritto sulla donna che ne era oggetto».
      A quel tempo non ci considerava, ovviamente, il matrimonio Lgbt. I brani virgolettati sono presi da U.E. Paoli, Vita romana, Le Monnier, Firenze 1958, pp 150 ss.
      Insomma in quest’epoca di merda, ma polticamente corretta (con merda biologica, cioè) il matrimonio non si limita a essere l'”inferno coniugale” di tolstojana memoria, il matrimonio è un istituto sputtanato. E il buon Calderoli si sposa? Poveretto!

      —————————————–
      [*] Si affiancavano a queste due formule canoniche le altre due: i foras; vade foras. Cioè “va fuori”. Poi ogni marito ci ricamava sopra, secondo il suo personale talento; per esempio leggiamo in Plauto: faxo foris vidua visas patrem, cioè “ti caccerò e andrai da tuo padre senza marito”. Si veda La familia romana: aspetti giuridici ed antiquari, L’erma di Bretschneider, Roma 2005.

  45. Ma va la permalink

    Che gli LGBT abbiano a desiderio il matrimonio, che lo contraggano e siano felici. Sono i sentimenti che alla fine dovrebbero avere il sopravvento sulla casualità del profitto. ”Siccome ci sentiamo diversi vogliamo le stesse vostre differenze”. sembra vogliano dire, e quindi vogliamo identitarci con gli stessi diritti di successione. Si accomodino. In questo stato bellino che è l’Italia, non ci si sposa più perché troppo oneroso e se poi ci si accapiglia per chi debba tenere il telecomando della televisione si corre il grosso rischio della separazione con obbligo di mantenimento della femmina di turno.
    Prestare attenzione alla parola femmina, propriamente adottata per descrivere l’assoluta mancanza di carattere maschile verso chi è umanamente preposto per questo compito. Quindi, scatta la zuffa tra donnine.
    Questo Calderoli, però, ne fa di cazzate ultimamente.
    Non faccio gli auguri a loro, ma li faccio; a noi!…

    [Ma sì, questo è un paese di merda. Quelli che in epoche meno oscurantiste, meno decadenti, meno savonaroliane, si dicevano normoscopanti, lascino perdere il matrimonio. Un tempo il matrimonio era un passo obbligato con il quale l’uomo faceva un tantativo di sopravvivere alla morte, mettendo al mondo figli che sarebbero stati educati dalla sua famiglia, secondo il suo sistema di valori, senza obbligo di condivisione del pensiero unico, da deglutire come olio di ricino. Ma oggi che senso ha sposarsi, se si è uomini di antico ceppo? Il matrimonio è stato regolamentato dalle femministe, colonizzato dagli Lgbt? Quel matrmonio non ci piace. Che se lo tengano! Sciopero! N.d.Ar.]

  46. Ma va la permalink

    Sgarbi, nelle sue esternazioni a volte sopra le righe — poche, del resto, più per il tono che per i contenuti — diceva che il matrimonio e la fedeltà, sono roba per i maniaci. Sul momento credevo fosse invaso da follia di apparizione. Pensandoci, a freddo, non ho potuto constatare altro che la sua era lucidità assoluta: consapevolezza del pericolo che le persone assennate corrono quotidianamente nell’autoviolentarsi perso [per? N.d.Ar.] un qualcosa o qualcuno che non merita.

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