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Curno è inchiavardata?

23 settembre 2012

In due precedenti pagine di Nusquamia, due internauti si domandano se veramente a Curno il dominio dell’ammucchiata istituzionale sia tale da aver inchiavardato l’agibilità politica in maniera ineluttabile. Non c’è dunque niente da fare in questo sciagurato paese? Rispondendo ad Aqui (il secondo degl’internauti che poneva il problema) mi è venuta questa risposta “articolata” (ma se volete, diciamolo pure: lunga, oltre che articolata), che trascrivo in questa nuova pagina di Nusquamia.

Esempio di utilizzazione di chiavarde nelle costruzioni ferroviarie, per la giunzione delle rotaie.

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Sul familismo amorale, il trasformismo del notabilato in “società civile”, la necessità di fare ‘tabula rasa’ delle rappresentanze politiche locali a Curno

 

«Se i soldi sono pochi, si pagano solo gli amici», scrive Aqui, e scrive bene.

La crisi economica e lo sfacelo morale

Posso andar oltre, raccogliendo il filo del discorso? Solo gli amici ricevono il pagamento e — aggiungo — solo gli amici hanno una prospettiva di sopravvivenza, in senso lato. Mi allontano un po’ da Curno, ma ci tornerò, lo prometto.
Osserviamo che se l’economia ristagna, non c’è mobilità nel mercato del lavoro: già ce n’era poca prima, ma in Lombardia, almeno in Lombardia, e in Liguria, e nel Veneto, in Piemonte, in Emilia e in altre regioni fortunate dell’Italia, il settore privato tirava. Per una persona normalmente intelligente era inconcepibile pensare di intrupparsi nell’ignominia di un impiego fisso nel settore pubblico. Io, per esempio, sentivo la vocazione per l’insegnamento. Ma poi vedevo che finivano a insegnare tutti i miei colleghi più tontoloni. Mi feci passare la voglia, per orgoglio, non volevo che si pensasse, ch’io pensassi di me stesso, di essere come loro.
Per un meccanismo omeostatico, e per il principio di Le Châtelier (che espresso in termini brutalmente semplicistici, significa che ogni sistema, purché non vincolato, evolve naturalmente verso l’equilibrio che ne annulla le tensioni interne), quando c’era mobilità nel mercato del lavoro, ognuno finiva con il trovare il posto “giusto”, si metteva in pace, per così dire. Oggi non c’è mobilità sociale, non c’è mobilità nel mercato del lavoro, non c’è mobilità nemmeno nell’ambito degli stessi strati sociali. Si va per raccomandazione, dappertutto, Finisce che tutti, ognuno e singolarmente, si trovino nel posto sbagliato, perché è l’unico posto che in un certo momento sono riusciti a ottenere, per raccomandazione: e di lì non si schiodano, lì s’incarogniscono.

La politichetta, il familismo amorale e la famiglia barbarica si evolvono in c.d. “società civile”

Lo so, questi sono discorsi che non piacciono a Max Conti, non piacciono a Luisa Gamba, loro preferiscono parlarci di etica dell’impresa, ci scommetto. Spinoza inorridirebbe. Ma il fatto è che il familismo amorale, studiato da principio da un sociologo americano in relazione a un paesino della Lucania, è ormai la regola in Lombardia. Dobbiamo far finta di niente, solo perché qualcuno ci dice “Non m’interessa”?  Max Conti si sente violentato se io dico che proprio lui, che è un aziendalista, dovrebbe darci una testimonianza delle nequizie dell’aziendalismo, dello stato di sfacelo del sistema industriale italiano, proprio sotto il profilo delle relazioni umane. Dice che m’intrometto nella sua vita privata. Io dico che in qualità di responsabile del circolo del Pd e in qualità di aziendalista lui ci deve parlare di queste cose. Qualcuno che su questo diario giudica molto interessante il profilo professionale di Max Conti, afferma pretestuosamente che il diario sarebbe “vomitevole”, aprendo così una via di fuga alla ventilata ipotesi di un dibattito sullo “scabroso” argomento. Noi però, come Socrate (si parva licet…) non ci spostiamo dal luogo di combattimento che ci è stato assegnato. In parole povere, siamo tornati sull’argomento, e ci torneremo ancora, finché mordacchia non ci metta a tacere.
Lorsignori che praticano il familismo amorale, per farci fessi, mettono in atto le strategie di dissimulazione. Esempio: il direttore di un giornale di destra “sistema” come giornalista di buone speranze la figlia di un uomo di sinistra; in compenso l’uomo di sinistra darà una mano all’uomo di destra per sistemargli il figlio in un ente pubblico, in una società “partecipata” ecc. (o si sdebita in altro modo: le vie degli uomini di potere sono quasi infinite). Vogliamo fare la prova del nove? Vogliamo andare a vedere quanti siano i cognomi eccellenti (si fa per dire) in un giornale qualsiasi? O in una società “partecipata”? Le ultime assunzioni a livello monageriale e sottomonageriale sono tutte di questo tipo. Senza contare la ’ndrangheta, la camorra, i commerci più inverecondi (non sto parlando soltanto della tratta delle bianche, che poi non sono necessariamente bianche, parlo di commercio d’armi, per esempio, e non sono soltanto pistole).
È vero, «Se i soldi sono pochi, si pagano solo gli amici»: infatti, questo è un caso particolare del familismo amorale. Intendendo per “famiglia” quella che per i celti era un clan, per i longobardi era una “fara” e nel Meridione d’Italia è, sic et simpliciter, una “famiglia”: i consanguinei, gli amici e gli amici degli amici. Se “il denaro sposa il denaro”, come recita un proverbio milanese, in fondo, di che meravigliarsi? Ma il ricostituirsi delle strutture barbariche (che ebbero la loro funzione storica, comunque) nel contesto attuale significa soffocare ogni speranza. Il familismo amorale è insieme una causa (una delle cause) e una prova del declino della nostra società. Questa società dominata dalle famiglie sarebbe una “società industriale avanzata”?
Dai tempi del cinghialone (Craxi) quanto è mutata la politica! Come si è raffinata! Ho già parlato del sistema delle triangolazioni. E come si è svuotata la società, come diventano sempre più esangui i cittadini, di giorno in giorno, perché il loro sangue è succhiato da vampiri che succhiano e infettano, ma niente producono! È impressionante il modo in cui la classe politica e tutti i traffichini della politica si riciclano come membri della “società civile”: ripuliti, rispettabili, politicamente corretti ecc. Il contagio si propaga, ed è peggio della linea delle palme che sale al Nord, della quale parlava Sciascia. Questo è il contagio, è il colera, è la peste. Quando verrà la pioggia che si porti via la peste, come ce la descrive il Manzoni nei Promessi sposi?

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Se la c.d. sinistra non avesse tradito la classe operaia e le istanze di progresso, avremmo oggi una società migliore. Non è importante avere le ricchezze, è importante avere le speranze

Milano operaia in una foto di scena per il film La vita agra, di Carlo Lizzani (1964), tratto dall’omonimo romanzo di Bianciardi: gli operai che vediamo sono arrivati a Milano con i treni dei pendolari, i “treni del sonno”. Lo scrittore toscano coglie negli anni del boom economico i segnali d’involuzione delle strutture di partito, che accetta a braccia aperte burocrati e impiegatucci, senza che nemmeno debbano vergognarsi del loro mestiere. Per esempio, a Milano, in centro, il responsabile della cellula è un tosatore di barboncini che si vanta delle medaglie riportate alle esposizioni canine. Eh già, prevale il terziario, che poi imperverserà come “terziario avanzato”. Anzi, Bianciardi preconizza il “quartario”. Le umane relazioni assumono un ruolo invadente, salvo poi fluidificarsi, all’occorrenza. Da Milano spediscono alla miniera di Ribolla (Grosseto) un esperto di relazioni umane, per spiegare agli operai che devono cavare più lignite, perché la lignite in America si cava a cielo aperto: c’è la concorrenza, e se la lignite toscana costa troppo, si chiude. Dunque bisogna produrre di più. Quando però lo scoppio di grisou determina la tragedia della morte di 43 minatori (questo è un fatto storico), e il grisou è scoppiato perché si è andati per le spicce con il sistema di ventilazione, introducendo metodi più “moderni” di ventilazione forzata e soprattutto “risparmiosi”, le relazioni svaniscono. Nella vita aziendale hanno un ruolo d’importanza crescente le “segretariette dalle gambe secche”, determinatissime nel raggiungere posizioni di potere amplificando a dismisura l’importanza di procedure inutili. Interessantissima la descrizione della carogneria aziendale e delle tecniche carrieristiche di “marcamento a zona” e “marcamento a uomo”.

Ricordo la stazione centrale di Milano, ai tempi in cui al piano superiore c’era “la nave”, un modello della turbonave Michelangelo, sotto una teca di cristallo, comodo per darsi gli appuntamenti: “Ci vediamo alla Nave”, così si diceva. Ricordo in particolare la grande edicola al pianterreno, prima che il pianterreno divenisse, com’è ora, una specie di suk tecnologico. Riviste pornografiche all’edicola non ce n’erano. Soltanto qualche romanzetto erotico, ma in inglese: una volta ne acquistai uno, una storia ambientata in un harem.
Però quanti libri tecnici, in quell’edicola! Libri tecnici per tornitori, fresatori, per elettricisti, libri che spiegavano gli avvolgimenti dei rotori nei motori elettrici, i segreti della posa delle piastrelle. Una meraviglia. Mica marketing triccheballacche, roba seria. Ma perché quei libri tecnici? Perché gli operai e gl’impiegati che si recavano ogni giorno a Milano il mattino presto, in quei “treni del sonno”, quei libri libri la sera li guardavano, in attesa di salire ai binari, qualcuno anche lo compravano. Li leggevano in treno, sonno permettendo, poi anche a casa. Così sapevano di più, e sapendo di più potevano fare più cose, migliorare, stare al passo con il progresso. Il progresso si faceva anche in Italia. Si poteva sperare di guadagnare di più, ma vivendo onestamente, facendo cose oneste, contribuendo alla crescita morale, civile ed economica del proprio paese, mica fregando il prossimo, mica rubando, mica buttandosi in politica.
Oggi un giovane che, non avendo raccomandazioni, si metta in testa di guadagnare abbastanza, per esempio perché deve sposare una fidanzata esigente, o per altri fatti suoi, o si arruola in una formazione militare, per andare in qualche parte del mondo a fare la guerra dicendo però che è in missione di pace, oppure si butta su queste professioni richieste da società strutturate fondamentalmente come le catene di sant’Antonio dell’Italia rurale. Hanno i computer, gli algoritmi di calcolo automatico, ma il concetto è sempre quello. Si tratta di fregare qualcuno che per salvarsi dalla fregatura deve fregare qualcun altro. Vincono quelli che si sono accomodati per primi, gli altri perdono tutti. L’Albania è crollata così, con queste società create dalla mafia italiana. E futures? Stesso concetto.
La Magrini di Bergamo fu fondata dall’ing. Luigi Magrini, di nazione veneta ma cittadinanza bergamasca: fece delle cose meravigliose in ambito elettrotecnico, ma oggi a petto dell’ing. Carlo De Benedetti, che dice di essere un industriale e invece è soltanto un finanziere, sarebbe considerato un coglione. L’Ismes fu fondata a Bergamo da un gruppo di ingegneri milanesi, in parte perché c’era di mezzo l’Italcementi, ma anche perché c’erano a Bergamo gli operai bergamaschi, gente seria. Non c’era bisogno di marketing triccheballacche. Infatti, quando all’Ismes si ebbe la prevalenza del monager, la società è crollata.

Conclusione: dirò, ripetendo quel che ho affermato in un altro commento, che la politica fa schifo, ma che la c.d. società civile non scherza. Anzi, questa fa più schifo ancora della politica, perché pretende di essere migliore, ipso facto, per il fatto di essere società civile.

E adesso parliamo di Curno

Ora, tornando a Curno, il guaio di questo sciagurato paese è duplice: il primo è che a Curno non si fa politica: bisognerebbe fare politica, buona politica, non politichetta, s’intende. Il secondo guaio è il camuffamento della politica nella “società civile” (nel senso mistificato del quale ho parlato altrove) e, per converso, il dominio totale sul paese della c.d. società civile: coloro che — come ho spiegato altrove — credono di essere i mejo fichi der bigoncio, si proclamano “società civile” e opprimono la società dei cittadini. La via d’uscita, in questo momento, non è né di destra, né di sinistra, ma di demistificazione. L’ammucchiata istituzionale che pretende di dettar legge a Curno, che di fatto detta legge, è una cosa oscena. Curno ha bisogno della dialettica tra una visione politica di destra, per così dire (da non confondere con la stramaledetta vision degli aziendalisti, che non sanno neanche loro che cosa sia) e una visione di sinistra. Questo significa che c’è bisogno di formazioni politiche “di destra” e di formazioni “di sinistra”? Non in questo momento, perché questo è il momento della demistificazione.
Per essere molto concreti, occore a Curno che le due componenti locali del Pdl svaniscano del tutto, perché intercettano, al momento del voto, il sentire politico di cittadini che credono di votare per una cosa, ma che non vedranno “la cosa” mai realizzata da costoro. Stesso discorso per il Pd, questo Pd, che intercetta indebitamente il sentire dell’elettorato di sinistra, o anche solo genericamente progressista, il cui voto viene però convogliato ideologicamente nell’aziendalismo e praticamente nell’ammucchiata istituzionale: anche qui bisognerebbe fare tabula rasa. E che dire poi della Lega Nord finora dominata dal Pedretti e formalmente affidata alle cure dell’intellettuale Foresti? Qui non basta fare tabula rasa: dopo aver fatto tabula rasa occorre compiere un rito di espiazione, come spiego nella pagina iniziale di Testitrahus.
Quante cose da fare! Beh, io credo molto nell’osservazione. Cominciamo da quella. Osserviamo con quale voluttà gli amministratori di Curno giocano con i gingillini elettronici, con quale intimo compiacimento proiettano le “slàid” e armeggiano sul proiettore con fare sacerdotale, come fosse la pisside nel tabernacolo. Osserviamo il sorrisetto asseverativo, l’albagìa, la crudeltà, la legnosità (traduco dall’inglese woodness, che ho trovato in Conrad). Perfetto, tutto in tonalità aziendalistica (una delle varie tonalità di società civile: delle altre parleremo un’altra volta, forse).

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Uno dei tre mas utilizzati per la Beffa di Bùccari (febbraio 1918), in esposizione al Vittoriale degl’Italiani. Com’è spiegato nel sito Comminus eminus, nell’articolo Sulla beffa e il dovere di punire gli stolti, quella di Buccari è una beffa usata come arma impropria da un’Italia messa in ginocchio, quattro mesi prima, dalla disfatta di Caporetto. Ai cittadini inermi di Curno, oppressi da una classe politica camuffata in “società civile”, ma in realtà “ammucchiata istituzionale”, è forse rimasta soltanto la beffa, come arma di difesa e di offesa?

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 L’ammucchiata istituzionale usa come arma di offesa e di mistificazione l’aziendalismo, pretende di confondere i cittadini con le invenzioni della neolingua (gli “attori del territorio”: oh yeah! la “sobrietà”: oh, yeah! la “determinazione”: oh, yeah! la “condivisione”: oh yeah! la “cultura dell’ascolto”: oh yeah! le “bibliomamme”: oh, yeah! le adunate di Consiglio “partecipate”: oh yeah! ecc.)? Ebbene, sappiamo dov’è l’avversario, conosciamo le sue armi. Noi che invece siamo inermi, ragioniamo, inventiamoci nuove armi e combattiamo!. L’Inno a Oberdan recitava “Vogliamo formare una lapide di pietra garibaldina…”: in Garibaldi (che non era un santo, ma era una persona onesta con un ideale sincero) c’è la forza di volontà pura e disinteressata; D’Annunzio fu protagonista della Beffa di Buccari: qui c’è l’intelligenza, che irride alla forza dell’avversario e ne sgretola le difese morali; Perlasca salvò la vita a cinquemila ebrei ungheresi: qui c’è la volontà (non la “determinazione”, per carità!) e l’intelligenza al servizio della volontà.

Il Manzoni concludeva I promessi sposi con le parole: «[Questa storia], se non v’è dispiaciuta affatto, vogliatene bene a chi l’ha scritta […] Ma se in vece fossimo riusciti ad annoiarvi, credete che non s’è fatto apposta». Io invece dico che se questo articolo non è piaciuto agli aziendalisti, la cosa non mi dispiace affatto.

8 commenti
  1. Giuseppe permalink

    Esimio Aristides de Nusquamia,
    noto che il Suo articolo è la prima e approfondita esplorazione consequenziale, sia pur di parte, di quanto sotto il profilo teorico avevo cercato di introdurre a commento di un precedente articolo. Mi auguro che, nell’interesse della comunità, seguano altri interventi di tale profondità, soprattutto da parte delle “teste pensanti” che sicuramente esistono fra coloro, o loro sostenitori, che attualmente reggono l’amministrazione del “laboratorio” Curno. Sarebbe molto bello e molto interessante. E anche molto democratico, di una democrazia effettivamente partecipata.
    Ossequio.

    • Infatti, mi sono sforzato — anch’io — di far discendere alcune proposizioni “forti” riguardo a Curno da altre proposizioni, diciamo così, “abbastanza forti”.
      Avviene, infatti, che alcuni furbetti sviluppino le loro argomentazioni a partire da premesse false o comunque tutte da verificare. Oppure dichiarano insignificanti, o di nessun interesse, le premesse del nostro discorso (“Non m’interessa! Punto! Basta!). Ho voluto ancorare il ragionamento a principi e osservazioni di carattere generale, non necessariamente curnensi, ma applicabili al caso curnense. Mostrando altresì che le nostre sono premesse importanti, imprescindibili — fra l’altro — per chi si dichiari “di sinistra”, anche genericamente e all’acqua di rose.
      A dire il vero questa tendenza ad argomentare come viene viene, che nelle discussioni pubbliche (non solo nei dibattiti televisivi) si traduce nella preoccupazione di scantonare e togliere la parola all’interlocutore (per non dire di peggio), non è prerogativa dei soli c.d. progressisti d’Italia. La tendenza è — ahinoi — generalizzata. Che differenza c’è fra certe sceneggiate della Santanché che abbiamo ammirato (si fa per dire) negli studi televisivi e l’indignazione dei c.d. progressisti che un certo giorno, il 5 dic. 2011, se ricordo bene, abbandonano indignati l’aula consiliare di Curno, insieme a un indignato Corti che proclama la sua uscita dalla maggioranza, in vista dell’eversione della maggioranza stessa di lì a meno di quattro mesi, e a un’indignata consigliera esoterica di parte pedrettista? Perché abbandonano l’aula? È presto detto: perché l’allora sindaco Gandolfi non presentasse in sede istituzionale la documentazione dei comportamenti pochissimo istituzionali del Pedretti, con il quale da tempo si facevano incontri ravvicinati. Insomma: la mordacchia.
      Quando non ci si riduce a questo modo violento di argomentare troncando e castrando l’altrui discorso, ci sono altri trucchetti. S’introducono le cosiddette ipotesi ad hoc, finalizzate “a questo caso”, che giustifichino la conclusione alla quale si vorrebbe arrivare in questo caso, e che senza quell’ipotesi sarebbe irraggiungibile. (Sarò stato chiaro? Vabbè, per la sciura Rusina non c’è niente da fare. Il gatto padano invece dirà che quel che affermo non gli risulta dalla lettura delle cacate carte, così trova una scusa per non capire, se non capisce.).
      Ammetto che talvolta le ipotesi ad hoc possano essere introdotte: ma per studiare gli scenari emergenti da un’impostazione teorica, mica per imbrogliare. I fisici, per esempio, che sono persone serie e non monager, non markettari triccheballacche, introducono le ipotesi ad hoc (le chiamano fine tuning), ma se ne vergognano, e fanno di tutto, lavorano assiduamente, per rimuoverle.
      Invece i polticanti — purtroppo non solo loro — introducono l’ipotesi ad hoc per imbrogliare, destinate a rimanere lì, a falsare il discorso. Infatti, prima la buttano lì, con nonchalance, aria di superiorità e sorrisetto asseverativo, sperando che nessuno si accorga del valore probabilistico (Se questa ipotesi è vera, allora…), quindi, se l’inganno riesce, la proposizione da ipotetica diventa veritiera. Il giochino funziona finché non si trova qualcuno che neghi il valore di verità delle finzioni spacciate per verità (nelle esercitazioni di logica usava una volta dire proprio così: nego maiorem! oppure nego minorem!, intendendo così negare questa o quella premessa di un ragionamento sillogistico). In pratica, i politicanti (e non solo loro) s’inventano le leggi che gli fan comodo (un esempio per tutti: il diritto all’oblio, che non sta né in cielo né in terra), oppure introducono dati falsi o distorcono a proprio vantaggio il quadro dei dati veri (per omissione o aggiunta con destrezza di dettagli che si riveleranno importanti nella conclusione del discorso).

      Riassumendo: sia lei sia io abbiamo sentito il bisogno di far discendere il nostro ragionamento da principi “condivisi” nel senso non mistificato del termine, cioè veramente condivisi, condivisi liberamente (e non fatti ingurgitare per via di “ammaestramento” forzoso), o quanto meno condivisibili da parte dei nostri interlocutori.

      Non credo però che i c.d. progressisti muoiano dalla voglia di dialogare. Veda quel che ho scritto in un commento pubblicato in una pagina precedente (nella risposta a Serafico) a proposito di Jacques il quale, avendo stabilito come assodato che questo sito sia vomitevole, sfugge alla mia domanda delle cento pistole e sfugge — soprattutto — alla questione “scabrosa” che avevo posto, se un uomo di sinistra possa servire insieme Dio e Mammona, cioè se si possa essere insieme aziendalisti e “di sinistra”, alla luce anche del fatto che Cristo fu il primo socialista. Così dà a intendere, fra l’altro, la canzone La zolfara, che abbiamo inserito in un commento seguente.
      Il carattere vomitivo di questo diario è, secondo me, tutt’altro che assodato. Anzi, per evitare che questa valutazione di Jacques passi per oro di coppella (buona, Rusina!) sarò costretto a scrivere una pagina di refutazione dell’accusa di potere emetico (Rusina, buona!) mossa da Jacques a Nusquamia, a fini di repressione preventiva di ogni tentativo di propalazione di giudizi pretestuosi e infondati.

  2. Bollettino di guerra N.1
    Si ha notizia che l’ammucchiata istituzionale sia furiosa, Non essendo riuscita a mettere a tacere il sindaco disarcionato Gandolfi con l’uso delle migliori mordacchie giapponesi, non essendo riuscita a demoralizzarlo con “buoni consigli” a raffica perché non si candidasse e semmai venisse a patti con i soliti noti, non avendo ottenuto che si ritirasse dalla competizione elettorale, avendo preso atto dell’inutilità dell’accerchiamento mediatico e dello sgretolamento del medesimo, intristita dall’ondata di simpatia sempre più manifesta nei confronti del Gandolfi, ricordato come il sindaco onesto e della buona amministrazione, commemorato con lo stesso fervore — quasi — con cui a Giassico di Cormons il 18 agosto si celebra il genetliaco di Francesco Giuseppe, ultimo imperatore d’Austria e Ungheria, alcuni emissari dell’ammucchiata hanno preso contatto con gli ambienti dell’esoterismo Vudù, bene introdotti a Curno.
    In particolare, hanno ordinato il rito tremendo “Agaou tonnerre”, «rituale di attacco per creare qualsiasi onda negativa», ideale per creare disaccordi tra coniugi, parenti o amici, crolli finanziari, disordini mentali (a richiesta, con apparato coreografico di sacerdoti danzanti e suonatori di cimbali). Ecco la terribile oggettistica della quale il nemico istituzionale intende far uso, roba da far impallidire perfino il Pedretti:
    Rito Vudù

    Sappiano i signori dell’ammucchiata istituzionale che non temiamo i loro ridicoli rituali. Abbiamo una risposta potentissima. Eccola:

    “Chi dice mal di me sia maledetto,
    sia maledetto per ’na settimana!
    Il lunedì gli venga il mar di petto,
    il martedì la febbre maremmana,
    mercoledì l’avesse il prete al letto,
    il giovedì sia messo nella bara,
    il venerdì sia messo nella fossa,
    il sabato distrutto carne ed ossa!”

    (N.B. – La maledizione dura una settimana. Si dà per scontato che dopo una settimana il poveretto risorga. Ma se insiste, ci sarà una nuova maledizione, e così via, finché non impara a stare al mondo.)

  3. Questa è la Badoglieide, non è la Pedretteide

    Dedicata a Carlo Saffioti, conte zio della quinta colonna curnense, patron del riversamento del Pdl nel verbo pedrettesco, monarchico e innamorato. (Badoglio era monarchico, non era repubblicano.)

    La Badoglieide (di anonimo, poi variamente rielaborata) è cantata da Fausto Amodei e Michele Straniero, che furono animatori del gruppo dei Cantacronache. Ad Amodei si deve anche la famosa canzone Per i morti di Reggio Emilia, che gli aziendalisti con foglia di fico progressista non conoscono, e che i traditori della classe operaia conoscono, ma fingono di non conoscere. Sempre di Amodei, con la collaborazione di Straniero, è La zolfara:

    Dedicata a coloro che invocano il diritto all’oblio, che peraltro non esiste né in cielo né in terra.

    P.S. 1 – Abbiamo presentato la canzone Per i morti di Reggio Emilia in Nusquamia, alla pagina Il diritto all’oblio non esiste. Progressisti in disarmo, tristi aziendalisti e traditori della classe operaia: ascoltate e vergognatevi

    P.S. 2 – Della Zolfara c’è una bella interpretazione di Ornella Vanoni, che per fortuna, con un po’ di pazienza, sono riuscito a rintracciare nel diario di un italianista francese (italianista vero, non curnense):

    http://finestagione.blogspot.it/2010/10/la-zolfara.html

    (Nella pagina che porta questo indirizzo, sotto la copertina del libro riprodotta in alto, si trova l’icona di un lettore di mp3 >> fare clic sul lettore >> ascolterete l’interpretazione di Ornella Vanoni. La riproduzione non è perfetta, ma è meglio che niente.)

  4. “Addio Lugano bella” in libera e gioiosa condivisione (libera: non coatta, non umiliante, non fantozzesco-aziendalista)

  5. Sinistra autocritica permalink

    Sinistra autocritica does not exist, sorry.

    • Cioè, è impossibile che la sinistra avvii una riflessione critica sulla sua storia e sulle linee di azione intraprese nel presente, per un futuro migliore del presente? In linea di principio, però, potrebbe: perché no?
      Però attenzione: quella di Curno non è “la sinistra”, è la “c.d. sinistra”. E la sinistra, quella storica, quella del Pci, quella del Bepi, tanto per intenderci? Beh, quella ha deciso di oppedere civibus operariisque (sempre per usare quella tal espressione di Orazio, che non oso tradurre, altrimenti gli “istituzionali”, tutti, anche quelli di destra, anche i pedretto-leghisti, mi fanno la boccuccia a culo di gallina, per significare stupore e indignazione). Hanno preso la bandiera rossa, l’hanno arrotolata e l’hanno gettata in un fosso, non senza aver versato una lacrimuccia, come fece Occhetto alla Bolognina, tanto per far vedere che loro sono “sensibili”. Si sono suicidati, ma con voluttà, per passare il testimone (ma di che cosa?) agli aziendalisti con foglia di fico progressista. I quali ringraziano e, in cambio del favore, dicono che il Bepi è mitico, che è fico, che è un precursore. Il Bepi, a sua volta, ringrazia: perché sarà anche vero che «El Bepi de Cüren al fa i sghei, gh’en da minga ai sö fradei», ma è ormai istituzionale, anche lui, fa parte del’Empireo. Se la cantano e se la suonano, tutti insieme, gli istituzionali, riuniti in solidale e “condivisa” ammucchiata.

      Il problema è dunque: ma esiste a Curno una sinistra vera, moderata quanto si vuole, concedo anche socialdemocratica, o turatiana o anche laburista, ma autenticamente progressista e degna di rappresentare la tradizione dell’umanesimo socialista, paladina dei diritti dell’uomo, aliena dal voler ridurre i cittadini in masse d’impiegati coatti a fantozzesca condivisione?

      Esiste o non esiste? Se esite, che cosa aspetta a dire il fatto suo a questa c.d. sinistra curnense, convergente con il Pedretti, a questa c.d. sinistra che è pilastro dell’ammucchiata istituzionale, cinica, intollerante, supponente, pasticciona?

  6. H. C. Andersen permalink

    Buongiorno sig. Aristide
    Faccio una premessa, inchiavardata da chiavarda, che non è una parolaccia: così mettiamo in pace il fragile cuore delle Principesse sul pisello 1 e 2.
    […]

    Ho trasferito queste interessanti considerazioni in una nuova pagina di Nusquamia: Curno inchiavardata: considerazioni in vista della seduta di Consiglio del 28.02.2012

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