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L’ideologia della grammatica

10 Maggio 2018

Un opuscolo di padre Giuseppe Zanchi ci aiuta a capire lo sconcerto dei religiosi nei confronti della scuola laica dell’Italia post-risorgimentale

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Alvarez_Corso di latino

Il corso di latino dell’Álvares, articolato in tre libri dedicati rispettivamente alla morfologia, alla sintassi e alla prosodia: per sfogliarlo, fare clic sull’immagine. La prima pubblicazione dell’opera in forma completa è del 1572. Era il testo di riferimento per l’insegnamento del latino nelle scuole gesuitiche, raccomandato dalla Ratio atque institutio studiorum Societatis Iesu [1599]. Di questo corso si ebbero più di 400 edizioni conformi, tutte in latino, perché il latino era la lingua franca dei gesuiti in tutto il mondo, e perché la Ratio studiorum gesuitica prevedeva che il latino fosse lingua di comunicazione. Conobbe inoltre un numero incredibile di adattamenti (riduzioni) e traduzioni. Il metodo dell’Álvares, osserva Emilio Springhetti, «è un metodo razionale: esposte brevemente le regole, vi aggiunge in corsivo Appendici e Commentari pieni di osservazioni e spiegazioni storiche, filologiche, pedagogiche per i professori» (Storia e fortuna della grammatica di Emmanuele Álvares ). Ai gesuiti era demandata in particolare l’istruzione superiore del clero e della nobiltà. L’insegnamento del latino fu impartito nell’Italia pre-unitaria, oltre che nei collegi dei gesuiti, prevalentemente nelle scuole pubbliche tenute dagli ordini religiosi dei barnabiti, scolopi e somaschi.

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L’anno scorso mi ero imbattuto – in rete – in un trattatello sul modo d’insegnare l’analisi logica nelle scuole elementari, scritto da un religioso. A dir la verità non sono sicurissimo che l’autore, Giuseppe Zanchi, fosse un religioso, non essendo riuscito a trovare riscontri, ma la lettura dell’opera, in particolare della seconda parte, quella ideologica, non dovrebbe dare adito a soverchi dubbi. In ogni caso il sentire di Zanchi è religioso, in senso militante, ed egli non fa niente per dissimularlo, come si capisce già leggendo queste parole del sommario: «Per il verbo [inteso come ente grammaticale] l’anima si fa mirabilmente specchio della Divinità». L’immagine qui sotto presenta la prima pagina dell’opuscolo: facendovi clic con il topo del computer sarà possibile sfogliarlo.

Opuscolo Zanchi

In queste Riflessioni pratiche ed esercizi di analisi logica si nota una strana commistione di raccomandazioni di buon senso, nella prima parte (pp. 1-11) e considerazioni teoriche, puntigliose, nella seconda parte (pp. 12-19). Le raccomandazioni sono rivolte ai maestri, sul modo di presentare una materia così difficile, tutto sommato, quando veramente si voglia capire che cosa sia l’analisi logica, cioè quando l’analisi logica non sia un esercizio svolto a norma di cacata carta, “come vuole la maestra”. Sono le cose che il buon maestro dovrà insegnare ai ragazzi, con metodo e gradualmente. Anche le considerazioni teoriche sono rivolte ai maestri, ma come in segreto: infatti – scrive Zanchi – queste cose che io vi dico non dovete ripeterle ai ragazzi. A ben vedere le considerazioni teoriche tutto sono  tranne che gli «esercizi di analisi logica» promessi nel titolo, sono invece una puntigliosa presa di posizione contro la scuola laica dell’Italia post-risorgimentale. Proprio qui sta l’interesse dell’opuscolo.

Scrivendo dell’insegnamento dell’analisi logica ai bambini (nel 1870, pare), Zanchi in realtà intende levarsi qualche sassolino dalla scarpa e appuntare i suoi strali sul ginnasio-liceo della riforma Casati, modellato sul ginnasio prussiano, del quale il religioso avvertiva certo sentore di massoneria. La legge Casati è del 1859 ed entrò in vigore nel Regno di Sardegna nel 1860, prima dell’impresa garibaldina; quindi, con l’unificazione, divenne legge per tutta l’Italia (tranne che per lo Stato pontificio e per il Trentino, che comunque aveva una scuola di tutto rispetto).

Prima parte dell’opuscolo

In questa prima parte del trattatello si legge che la proposizione essenziale consta di tre parti: a) il soggetto; b) il verbo; c) l’attributo. Qui bisogna intendersi, considerato che noi “moderni” siamo abituati a considerare la proposizione essenziale come composta di due parti, e non tre: a) il soggetto; b) il predicato. E non è che lo diciamo noi moderni, perché già la Grammatica latina dello Schultz (vedi), alla quale abbiamo accennato nell’articolo  della pagina precedente (Per un umanesimo senza aggettivi) afferma, a p. 173: «Chiamasi proposizione l’epressione di un pensiero per mezzo di parole. Ogni proposizione è composta di due parti essenziali, che sono il soggetto e il predicato». Ho scritto “noi moderni”: sì, ma per modo di dire; infatti coloro che sono più moderni di noi moderni, appoggiandosi alla grammatica generativa, parleranno invece di “gruppo nominale” e “gruppo verbale”. Però, a ben pensarci, anche costoro sono moderni fino a un certo punto, perché codesta modernità data a più di cinquant’anni fa. Insomma, se uno insegue la modernità, rischia di fare una fine simile a quella di chi cerca la purezza in politica: c’è sempre qualcuno più puro di te che ti epura. Noi, che non abbiamo ansia di fichitudine, ci atteniamo al linguaggio tradizionale, moderno ma non troppo: quello, per esempio, della prof.ssa Calderini che insegnava latino e greco a Pierluigi Bersani nel liceo classico di Piacenza.
Vediamo allora che cosa padre Zanchi intenda per “verbo” e che cosa intenda per “attributo”. Attenzione, non abbiamo che fare con uno che voglia fare il fico (anche lui!), e che perciò le spara grosse, giusto per attirare l’attenzione: lui non è d’accordo con il modello d’insegnamento prussiano, vero, ma la sua analisi logica è radicata nella migliore tradizione delle scuole confessionali; le quali, se non erano gesuitiche, si sentivano libere di attingere alle importanti acquisizioni in fatto di analisi funzionale della scuola (giansenista) di Port Royal, quella che nel 1660 diede alle stampe la Grammaire générale et raisonnée. Facendo clic con il topo del computer sull’immagine qui sotto è possibile sfogliarne una ristampa del 1754.

Grammaire Port Royal

Leggiamo infatti a p. 57 dell’edizione della quale si è qui fornito il nesso: «Toute proposition enferme nécessairement deux termes: l’un appellé sujet, qui est ce dont on affirme, comme ‘terre’; et l’autre appellé attribut,qui est ce qu’on affirme, comme ‘ronde’; et de plus la liaison entre ces deux terme, ‘est’». Proprio come dice padre Zanchi.
Ora, per capire bene le cose, bisogna intendersi sul significato dei termini: intanto, per la grammatica di Port Royal il termine “soggetto” significa la stessa cosa che intendiamo noi; quello che per loro (e per padre Zanchi) si chiama attributo, invece, per noi è il predicato nominale; e anche il modo di intendere il verbo è diverso.
Consideriamo per esempio la frase “Il calamaio è nero”. Dice padre Zanchi: “il calamaio” = soggetto; “è” = verbo; “nero” = attributo. Noi invece diciamo: “il calamaio” = soggetto; “è” = copula, cioè nesso tra il soggetto e la parte nominale del predicato; “nero” = parte nominale del predicato. Per noi “moderni” il verbo “essere”, insieme con la parte nominale del predicato convergono in un unico elemento dell’analisi logica, che prende il nome di predicato nominale. Perciò diciamo che la proposizione essenziale (cioè, senza complementi) consta di due parti, e non di tre.
Ma se nella proposizione, invece di avere un predicato nominale, abbiamo un predicato verbale (così lo chiamiamo noi) secondo la logica di Port Royal (e secondo Zanchi) la proposizione essenziale consta ancora di tre parti? Sì, perché la proposizione essenziale, per esempio, “Pietro legge” si trasforma in “Pietro è leggente”, dove Pietro è il soggetto; con “è” si parla ancora di verbo, una voce del verbo “essere” che è verbo per antonomasia: è il “verbo semplice” o anche, come si legge in certe grammatiche francesi di qualche tempo fa, il “verbo sostantivo”; “leggente” è l’attributo, un termine che non può mancare in una proposizione essenziale, perché esso è ciò che si afferma, o si giudica, del soggetto. Insomma, “leggere” è un verbo, e nessuno lo nega; ma è un verbo che contiene l’attributo “leggente”, come abbiamo visto; pertanto si dirà che è un “verbo attributivo”. In sostanza, quel che noi chiamiamo “predicato verbale” per la grammatica di Port Royal si chiama “verbo attributivo”. Così quando dico «La calamita attira il ferro», esprimo un giudizio associando al soggetto (la calamita) un attributo, che è “attirante”(“attira” equivale a “è attirante”): l’attributo è un participio presente. Se volgiamo la frase al passivo, nella frase «Il ferro è attirato dalla calamita» troviamo il verbo “essere” già in evidenza, e l’attributo è un participio passato.
Questo modo di denotare gli elementi della proposizione in analisi logica è proprio non soltanto della scuola di Port Royal, ma di tutte le persone istruite che siano venute a conoscenza dell’impostazione razionalista e funzionalista della linguistica di Port Royal. Troviamo riscontro di questa nomenclatura, per esempio, nell’Enciclopedia di Diderot e d’Alembert, i cui 17 volumi furono stampati tra il 1751 e il 1765, cent’anni dopo la grammatica di Port Royal: si veda l’Encyclopédie, ou Dictionnaire raisonné des sciences, des arts et des métiers alla voce “Verbe”: «La première division du verbe est en substantif & en adjectif. […] On doit donc trouver dans le verbe substantif ou abstrait, la pure nature du verbe en général». Insomma, il verbo “essere” ha una posizione di tutto rispetto, tanto che – si diceva – le lingue potrebbero fare a meno dei verbi attributivi, fermo restando che esistono gli attributi; ma non potrebbero fare a meno del verbo “essere” che, non a caso, viene chiamato “sostantivo”, perché denota la “sostanza” dell’attributo associato al soggetto. Si veda la pagina del quaderno di analisi logica, che presentiamo qui sotto: il quaderno, stampato nel 1855, è concepito per guidare l’allievo nell’analisi del periodo e della proposizione. Il periodo infatti è analizzato (“scomposto”) in proposizioni (tante quanti sono i verbi di modo definito [*]). Del verbo occorrerà specificare se è sostantivo o attributivo; dell’attributo occorrerà indicare se è compreso nel verbo (verbo attributivo) e, se lo è, dovrà essere enucleato scomponendo il verbo attributivo in verbo “semplice” e attributo (per esempio, il verbo attributivo “vado” andrà sciolto in “sono” e “andante”).

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Cahier d'analyse logique

Fare clic sull’immagine per visualizzarne un ingrandimento in formato pdf.

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La prima parte del trattatello dello Zanchi si conclude con numerosi suggerimenti e considerazioni utili: su una possibile definizione del soggetto, spendibile con i bambini (il soggetto non sarà «quello che fa l’azione», ma «ciò di cui si afferma qualche cosa, e che regge il verbo»), sulla necessità di non confondere l’attributo con l’aggettivo ecc. Quindi l’autore, già mentre introduce altre nozioni di stretta pertinenza dell’analisi logica, tutto sommato elementari (per esempio, la distinzione tra proposizioni implicite ed esplicite, in relazione ai modi del verbo), si lascia andare a riflessioni di carattere filosofico, anche religioso, e sempre più vi si addentra, così che da semplice guida ed eserciziario, il suo trattatello assume una venatura filosofica. Del resto, si sa, la grammatica, la prima grammatica pervenutaci (Τέχνη γραμματική), quella di Dionisio Trace, nasce da un interesse filosofico.

Seconda parte

La seconda parte dell’opuscolo di padre Zanchi, ancorché possa apparire noiosa e, soprattutto, inutile è in realtà la più interessante, perlomeno nella nostra prospettiva, quella di chi è più interessato all’ideologia che all’analisi logica in sé, per la quale facciamo riferimento ad altri testi. Tale è la foga di esprimere dissenso per la grammatica “prussiana”, che l’autore rinuncia a una trattazione sistematica o anche soltanto schematica dell’analisi logica e del metodo per insegnarla, come pure aveva promesso. Per esempio, a p. 4 introduce la proposizione «Lesbino vide un gatto», quindi spiega che Lesbino è il soggetto, e che “vide” è uno di quei tali verbi che sono stati definiti attributivi: infatti contiene l’attributo “veggente” che può essere enucleato; in altre parole ancora “vide” equivale a “fu veggente”. Però Zanchi non dice quale sia la funzione logica dell’espressione “un gatto” e, tutto sommato, la cosa non gl’interessa più che tanto; parlerà infatti del complemento oggetto soltanto a p. 16, quando confessa di sentire «un poco d’una vecchia ruggine contro ai complementi» e il «nudo formulario» al quale avviene che nelle scuole si riduca, il più delle volte, la loro lista. Qui lo Zanchi sembra in sintonia con i professori “progressisti” d’oggi i quali sostengono che bisogna smetterla di parlare dei complementi e, soprattutto, di volerli classificare spaccando il capello in quattro (quanti sono? 47, o forse anche più? Segue sghignazzo). E conclude: «Parlate, sì, dei complementi in generale, ma rarissime volte delle loro specie; basta solamente che i vostri discepoli ne acquistino un’idea chiara».

A Zanchi interessa mettere in chiaro due punti:

a) La proposizione è «un giudizio della mente espresso con parole»; ed è importante non confondere queste tre attività mentali che devono rimanere ben separate: il concepire, il giudicare e il ragionare. Sono tre operazioni dello spirito separate, e che tali devono continuare ad essere. L’importanza dell’analisi logica sta proprio in questo, nel sorvegliare la correttezza del giudizio formulato assemblando le parole e nel guidare la corretta formulazione del giudizio. In questo, ancora una volta, padre Zanchi non si discosta da quanto prescritto nella Grammatica di Port Royal (pp. 57-58):

Tous les philosophes enseignent qu’il y a trois opérations de notre esprit: concevoir, juger, raisonner.
Concevoir, n’est autre chose qu’un simple regard de notre esprit sur les choses, soit d’une manière purement intellectuelle, comme quand je connois l’être, la durée, la pensée, Dieu; soit avec d’images corporelles, comme quand je m’imagine un quarré, un rond, un chien, un cheval.
Juger, c’est d’affirmer qu’une chose que nous conçevons est telle, ou n’est pas telle comme lorsqu’ayant conçu ce que c’est que la terre, et ce que c’est que rondeur, j’affirme de la terre qu’elle est ronde.
Raisonner, est se servir de deux jugements pour en faire en troisième: comme, lorqu’ayant jugé que toute vertu est louable, et que la patience est une vertu, j’en conclus que la patience est louable.

b) La proposizione, cioè il giudizio, ridotta all’osso comprende tre elementi, e non due, come vuole la scuola prussiana. In realtà, come abbiamo mostrato sopra, intendendosi sul significato dei termini, i tre elementi della scuola prussiana sono riducibili ai due elementi della logica di Port Royal, e viceversa. Ma lo Zanchi non vuole saperne; scrive infatti: «Molti grammatici moderni, e v’entrano pure i nomi più illustri, vollero ridurre a due gli elementi essenziali della proposizione, vale a dire a soggetto e predicato (Curtius, Gramm. Gr., P. 2; Schultz, it.)». Insomma, Zanchi conosce bene i due principali esponenti della scuola prussiana, il Curtius e lo Schultz, autori, rispettivamente di una Grammatica greca e di una Grammatica della lingua latina che, tradotte in italiano, andavano allora per la maggiore. Ma tale innovazione dell’antica grammatica, dice Zanchi, «pare contraria direttamente allo scopo dell’analisi logica». Sopprimere il verbo, per farlo assorbire dal predicato verbale significa, secondo Zanchi, togliere di mezzo quell’atto creativo del giudizio che consiste nel mettere in relazione il soggetto e l’attributo: i quali, prima del giudizio, sono soltanto pensati, ma non sono correlati, e se non sono correlati non c’è giudizio (torniamo alla distinzione, che abbiamo visto, tra il concepire, il giudicare e il ragionare). C’è una bella differenza – dice – tra il concepire e il giudicare, tra il vedere e l’affermare. Cioè, per esprimere un giudizio, occorrono due idee, rappresentate dal soggetto e dall’attributo (nel significato di ciò che si attribuisce al soggetto: quel che siamo abituati a chiamare il predicato nominale). Ma le due idee da sole non esprimono un giudizio, occorre stabilire se c’è relazione o non c’è relazione tra le due idee, e ciò avviene per mezzo di un nesso che si chiama “verbo”, il quale nell’analisi logica di scuola francese è sempre il verbo essere: «Le verbe dans une proposition est toujours être» (J. Hauret, Traité d’analyse logique, Pau, 1858).
Avendo chiarito questo punto, che ha una sua dignità razionale, padre Zanchi parte per la tangente, entra nella filosofia e sconfina nella religione. Avendo premesso che, nel mentre che vede, lo spirito “riceve”, e che invece nell’affermare (cioè nel formulare il giudizio) esso “crea”, conclude apoditticamente: «Non si dee abolire il vedere: non si dee negare la luce, quella verità che, come dice il Poeta, tanto ci sublima (Par. 22); ma non si dee sopprimere nemmeno il verbo. Il verbo che, come s’è indicato, fa specchio l’anima della Divinità». Da questo punto in poi, a parte qualche cenno di rinsavimento, è un fiume in piena; e postilla in una nota: «Credo in tutto questo di attenermi alla tradizione più preziosa della filosofia. San Tommaso distinse assai bene l’idea [il concepire, secondo la logica di Port Royal] dal giudizio e così la parte nominale del verbo. “Alla cognizione d’una cosa, scriv’egli [cioè, San Tommaso], uopo è che concorrano due atti della mente: l’apprensione e il giudizio (o l’affermazione) intorno alla cosa appresa” (De Verit., X, 8). E ritrasse una tale dottrina da Aristotele…». Segue una piccola polemica nei confronti della stessa scuola di Port Royal, la quale secondo Zanchi non avrebbe messo bene in chiaro che l’idea è bensì una sorta di sguardo sulle cose, vuoi sugli “oggetti” astratti, vuoi su quelli concreti, ma affermare che l’idea sia una produzione dello spirito umano è sbagliato. L’idea infatti ha un carattere «obiettivo», è «splendore d’una natura affatto superiore». Ma qui ci fermiamo perché ci sembra di avere portato elementi sufficienti per mostrare l’impostazione spiritualista di padre Zanchi, che non tollera l’assorbimento del verbo – del verbo “essere” – nel predicato nominale, o la sua cancellazione nel predicato verbale (il “verbo attributivo”), perché «nel verbo l’anima si fa mirabilmente specchio della Divinità».

Poche parole infine sul momento storico di composizione del trattatello di padre Zanchi. Fu composto dopo la legge Casati che riformava tutto il sistema educativo italiano, dalle scuole elementari all’Università. La legge Casati stabiliva che l’istruzione secondaria classica fosse l’unica che consentisse l’accesso a tutte le facoltà universitarie e che essa dovesse essere disponibile in ogni capoluogo di provincia, a carico dei Comuni per i primi cinque anni (il ginnasio) e a carico dello Stato per gli ultimi tre anni (il liceo). [**] I gesuiti, il cui ordine fu soppresso con la bolla papale Dominus ac Redemptor (1773) sono tornati in Italia, subito dopo la Restaurazione (1814), ma i loro collegi sono ormai passati di mano. In gran parte d’Italia erano stati riformati secondo il modello napoleonico (che a sua volta era ispirato al modello del ginnasio austriaco); sorte analoga avevano subito le scuole tenute dagli altri ordini religiosi, quelle dei Barnabiti, degli Scolopi, dei Somaschi ecc. Dopo la Restaurazione, le scuole degli ordini religiosi tornarono ad aprire i battenti, affiancate però da scuole comunali che avevano conservato qualcosa del modello napoleonico. Ma bisogna aspettare la legge Casati perché nel neo costituito Regno d’Italia si assista a un processo di secolarizzazione dell’istruzione. In particolare, i collegi dei gesuiti adesso sono trasformati perlopiù in “Regio Liceo” (o “Regio Liceo-Ginnasio”).
Padre Zanchi, della cui buona fede non abbiamo ragione di dubitare, prendendo la parola sul migliore sistema d’insegnare ai bambini il funzionamento dell’intelletto, attraverso l’analisi logica, fa sapere ai maestri delle scuole elementari, forse anche a qualcun altro, di non essere d’accordo sulla riforma di secolarizzazione della scuola italiana. Ma almeno lui aveva le sue buone ragioni, in quanto religioso e uomo di fede. C’è da domandarsi quali siano le pessime ragioni di coloro che intendono smantellare, pezzo per pezzo, e senza darlo a vedere, il nostro glorioso e laico liceo classico di stampo, come abbiamo visto, prussiano.

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[*] I verbi di modo indefinito (infinito, participio, gerundio e, in latino, gerundivo) sono forme nominali: possono essere soggetto, oggetto ed entrare nella composizione dei complementi: per esempio, nella frase “Sono andato a fare la spesa”, “a fare la spesa” è complemento di fine + oggetto della forma nominale del verbo.

[**] I primi cinque anni corrispondono ai tre anni delle scuole medie ai quali s’aggiungono quelli della quarta e quinta ginnasiale del liceo classico, quello prima della riforma Gelmini (2010), quando la quarta e quinta ginnasiale furono ribattezzate, in modalità politicamente corretta, primo e secondo anno del liceo classico; conseguentemente gli anni I, II, e III del liceo classico, quello di prima, diventarono III, IV e V del liceo classico Gelmini-riformato. Invece di occuparsi della parità delle opportunità, per esempio stabilendo un sistema di borse di studio, la burocrazia ministeriale preferì procedere alla gherminella linguistica della parità delle denominazioni.

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160 commenti
  1. Approfondimento

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    Fare clic sull’immagine per sfogliare il libro.
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    Non so quante persone avranno trovato avvincente l’articolo qui sopra. Ma non l’ho scritto per raccattare “mi piace”. Segnalo comunque agli appassionati (pochi) di questo genere di cose questa Grammaire comparée des trois langues classiques: il libro è coevo al trattatello dello Zanchi, e anche qui (a p. 62) si fa distinzione tra verbo “sostantivo”, cioè il verbo “essere”, che in analisi logica è l’unico verbo, e verbo “attributivo” (che ha interesse in quanto portatore dell’attributo, enucleabile come participio presente o passato).
    Particolarmente interessante è il capitolo che s’inizia a p. 96, De la syntaxe et de la construction oratoire.
    Quanto abbiamo scritto a proposito dell’analisi logica “alla maniera dei francesi”, quella di centocinquant’anni fa, trova riscontro nel capitolo Principales règles de l’analyse logique, che comincia a p. 111.

  2. Bere e non peccare
    Il ragionamento non è impeccabile, ma piace

    Questo modo di ragionare tecnicamente si chiama “sorite”, e può essere anche chiamato sillogismo a cumulo (“sorite” dal gr. σωρίτης, aggettivo derivato da σωρός, “mucchio”). Abbiamo cioè una serie di enunciati, con un soggetto e un predicato: per esempio, “Chi dorme non pecca” che, come abbiamo visto nell’articolo di apertura di questa pagina, può risolversi in “Chi dorme non è peccante”. Nell’enunciato (o “proposizione”) seguente il predicato (“non peccante”, cioè “chi non pecca”) diventa il soggetto, che è associato a un nuovo predicato (in questo caso, “santo”). La conclusione contiene il soggetto del primo enunciato (“chi beve”) associato al predicato del penultimo (“un santo”).
    Il sorite applica il principio che, data una proposizione, ciò che si predica del predicato della proposizione costituisce altresì un predicato del soggetto di quella proposizione; è un principio già posto in luce da Aristotele e che nei termini della logica medievale era enunciato come «Nota notae est nota rei ipsius». [*] Ed è evidente che sia così, perché, detto in termini spicci, l’attributo è sempre più ampio del soggetto, e ogni attributo dell’attributo è necessariamente attributo anche del soggetto. È questa la transitività (ascendente) dei predicati, sulla quale, come sanno i lettori affezionati di Nusquamia, abbiamo insistito nello smascherare, più di una volta, i tentativi di cazzeggio, giuridico e non, da parte di squalliducci personaggi del sottobosco politico.
    Come nella teoria sillogistica, la conclusione è vera, se le premesse del ragionamento sono tutte vere. In questo caso, a voler essere pignoli (e, quando si ragiona, bisogna essere pignoli) non è vero che chi dorme non pecca, che cioè non pecca in assoluto; semmai è vero che chi dorme non pecca, fin tanto che dorme. Ma dopo aver dormito potrebbe rivelarsi un peccatore, poco importa di che tipo: denunciatore curnense o stupratore seriale. E non è neanche vero che chi non pecca è un santo: una ragazza che ha serbato la propria verginità perché brutta, sia perché nessuno ci ha provato, sia perché lei stessa non ha ritenuto opportuno provarci, non ha peccato, è vero, ma non è una santa. Semmai è una santa colei che è bella e che si mantiene pura.
    Ho portato questo esempio politicamente scorretto, perché io cerco la mia via alla santità in questo modo, essendo politicamente scorretto. A proposito, vedo che da un po’ di tempo il gatto padano cerca d’imitarmi, anche in questo, rinfacciando alla dott.ssa Serra il suo essere pervicacemente politicamente corretta. Sì, ma ci vuol altro. In ogni caso come può essere politicamente scorretto un agrimensore a vocazione istituzionale come il gatto padano? Impossibile, «per la contradizion che nol consente» (Dante, Inferno, canto XXVII).
    Come che sia, pura o non pura, che beva o meno, Maria Elena Boschi secondo me è una santa. Ma non pretendo che questo giudizio sia esito di un ragionamento. Il ragionamento dev’essere freddo, nel senso che tutte le premesse devono essere esplicite o esplicitabili, e devono essere vere; inoltre il procedimento applicato per arrivare alla conclusione (“Maria Elena Boschi è una santa”) non deve infrangere le regole dell’arte del ragionare. Insomma, non si può (s)ragionare come Claudio “Aquilini” Borghi, “economista” di riferimento della Lega, o come un politico indigeno curnense. Quello sulla Boschi non è un ragionamento, ma un giudizio “caldo”.
    In conclusione, il sorite del bevitore, illustrato qui sopra, pur non essendo corretto (“impeccabile”) sotto il profilo dell’ars argumentandi, piace.

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    [*] Nella formulazione di Aristotele (Categorie, III, 1): «Ὅταν ἕτερον καθ´ ἑτέρου κατηγορῆται ὡς καθ´ ὑποκειμένου, ὅσα κατὰ τοῦ κατηγορουμένου λέγεται, πάντα καὶ κατὰ τοῦ ὑποκειμένου ῥηθήσεται».

  3. Ecco Claudio «Aquilini» Borghi, il babau dell’euro, lo Tsipras de noantri

    Da noi citato spesso come esempio di politico battutista, sicuro di sé e oracolare (qui anche maleducato, come quasi sempre le persone “determinate”), ecco dunque Claudio «Aquilini» Borghi, presentato da Myrta Merlino come «ministro in pectore del futuro governo».
    Mattarella ha detto a Fiesole «Pensare di farcela senza l’Europa è ingannare i cittadini: il sovranismo è inattuabile», ma il Borghi, che ci tiene ad essere anche “Aquilini” (mica me lo sono inventato io, è stato lui a firmarsi così, da un certo punto in poi: prima era soltanto Claudio Borghi) se ne frega. Io non dico che bisogna appecorarsi a Mattarella; aggiungo che detesto la mongo-tecno-euroburocrazia, che sono stato fiero avversario della mistica dell’euro (ho sempre detto, con riferimento a Ciampi e Prodi, buccinatori dell’euro, che l’euro mistico mi puzzava di scoreggia labronica e mortadella felsinea). Ma dico che se vogliamo sconfiggere la mongo-tecno-euroburocrazia, nonché la stramaledetta burocrazia italica che, per farla franca, si trasforma furbescamente in tecnoburocrazia, se vogliamo dire il fatto loro ai poteri forti e mettere alle corde la finanza parassitaria, abbiamo bisogno di gravitas di stampo romano antico, mica di battutisti; in altre parole, chiediamo di essere governati da politici intelligenti che capiscano l’importanza di commissionare a fisici e ingegneri la messa a punto di modelli di sistema con i quali simulare i possibili scenari socioeconomici; e il processo decisionale dovrà tenere conto dei risultati di quelle simulazioni.
    Guai se Claudio «Aquilini» Borghi dovesse diventare ministro dell’Economia. Guai se il prossimo capo del governo dovesse essere il solito giurista, il solito bocconiano o — Dio non voglia — un professore della Link Campus University, quella della squadra dei professori tirati fuori dal cappello a cilindro del prestigiatore Di Maio, e adesso già ricacciati a forza nel cappello, l’Università che nessuno conosceva, ma che il mondo già c’invidia, quella che doveva farci tremare le mutande (nelle intenzioni di Di Maio) e che pretende di dare il timbro “mi piace” ai nuovi boiardi di Stato, come l’uomo Dal Monte con gli ananassi.
    La situazione è grave. Come quando si trattò di difendere il lavoro italiano dall’aggressione della finanza e dall’effetto di trascinamento della crisi economica del 1929: Mussolini allora non esitò un attimo ad affidarsi ad Alberto Beneduce, che non era un economista fru-fru, non era un battutista come questo Claudio Borghi, d’intelligenza poco aquilina. Beneduce era, sì, un economista, ma serio, ed era un matematico. Era anche socialista e massone, [*] forse anche ebreo, si diceva. Mussolini in questo caso non stette ad ascoltare i talebani di partito, che remavano contro, fece la scelta migliore. Altro che “eccellenze” (ieri una pubblicità televisiva vantava un “protocollo di eccellenza nella cura della calvizie”: roba da gatti padani), “Erasmus/Orgasmus” e attestati di cacata carta, altro che Link-Campus University, altro che damazze dei salotti “buoni” (cioè pessimi), altro che giuristi, altro soprattutto che Giacinto della Cananea; altro che cazzi, altro che populismo. Un po’ di serietà, diamine.
    Quanto a Claudio «Aquilini» Borghi, Giorgetti gli aveva detto di piantarla di far battute sull’euro e sull’Europa, perché alla resa dei conti bisognerà affrontare la realtà, e la realtà non è solo quella elettorale; ma quello continua, è più forte di lui. Merda!

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    [*] Ecco i nomi all’anagrafe di tre dei cinque figli di Beneduce: Idea Nuova Socialista (sposerà Enrico Cuccia), Vittoria Proletaria e Italia Libera.

    • Le simulazioni elettorali di Pagnoncelli c’interessano fino a un certo punto. Vogliamo simulazioni serie delle risposte del sistema socioeconomico

      Dicevamo qui sopra della nostra esigenza di «essere governati da politici intelligenti che capiscano l’importanza di commissionare a fisici e ingegneri la messa a punto di modelli di sistema con i quali simulare i possibili scenari socioeconomici; e il processo decisionale dovrà tenere conto dei risultati di quelle simulazioni».
      Leggo oggi (14 maggio 2018) delle simulazioni di voto dell’Ipsos di Pagnoncelli, che assegnerebbero una rappresentanza alla Camera e al Senato ancora più consistente, per i fascioleghisti di Salvini, se si andasse a votare oggi: è l’effetto di brandwagon, come sentivo oggi alla lettura dei giornali del terzo programma, insomma l’effetto di rincorsa del carro del vincitore. Non dico che non dobbiamo tenere conto di questo, e che non dobbiamo preoccuparci. Anzi. Perciò il Pd dovrebbe da un lato sbarazzarsi del populista Renzi (è anche lui un populista, scriveva ieri, giustamente, Eugenio Scalfari) e ristrutturarsi in base a una sana concezione aristocratica del partito, dando il ben servito ai giuristi, raccogliendo in termini moderni l’eredità del socialismo scientifico; dall’altro dovrebbe promuovere una comunicazione efficace, affidata a uomini di oratoria travolgente, in grado di convincere le masse che la via della ragione è l’unica praticabile, se vogliamo salvarci (le masse vanno convinte, inutile provare a dimostrare alcunché; mentre dovrà essere dimostrata, nelle sedi opportune, l’idoneità di questa o quella manovra economica, sociale ecc. Non si possono prendere decisioni a membro di segugio, “perché il popolo vuole così”. Come diceva quel tale, «il popolo è femmina»).
      Non si capisce insomma (meglio, lo si capisce benissimo, purtroppo) perché dovremmo tremare per i risultati delle simulazioni di voto dell’Ipsos di Pagnoncelli (che avranno anche la loro rilevanza, non dico di no, ma la cui importanza dev’essere ridimensionata) e nessuno, o quasi, senta l’esigenza di una simulazione appropriata sulle conseguenze socioeconomiche delle decisioni da prendere, almeno di quelle più importanti; dunque non sto parlando di scomodare i modelli matematici per stabilire se fare la gita scolastica a Parigi o a Firenze, anche perché secondo me le gite scolastiche andrebbero oggi come oggi abolite. No, parlo del reddito di cittadinanza, della tassa piatta, della riforma della riforma Fornero (o della sua abolizione tout court), parlo della razionalizzazione del sistema sanitario, dell’opportunità di realizzare o non realizzare certe infrastrutture. Tra vedere e non vedere, per evitare infiltrazioni indebite, sarebbe bene affidare la realizzazione del modello di simulazione dinamica al Politecnico di Zurigo. Certo non a quell’Università di certificazione dei boiardi di stato, la Link-Campus Univeristy cara a Di Maio. Merda!

    • Aurelia permalink

      «M5S é un esperimento di laboratorio di sociologia, di psicologia e comportamenti di massa. Detto questo, é di sinistra quando deve stabilizzare la società ovvero far credere che non é necessario nessuna lotta sociale per acquisire diritti calpestati… Una volta veniva chiamato la pace sociale! Lo stesso é di destra quando supera la prima fase disarmando partiti e movimenti di ogni genere e orientamento, specie quelli di stampo socialdemocratico e di sinistra perfino liberale. Ecco perché sono [*] di destra e non solo a causa di un alleanza di governo con la lega… Importante capire questo esperimento a chi giova e da chi é gestito. Io credo fortemente che loro faranno tutto quello che i governi precedenti non hanno potuto portare a compimento contro i ceti più deboli e sulla via della cancellazione dei diritti sociali». (Cit.)
      [Cit., ma qual è la fonte? N.d.Ar.]

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      [*] Ecco un caso tipico di anfibolia: “sono” è insieme pres. indicat. 1^ p. sing. e pres. indicat. 3^ p. pl.: dunque “io sono” o “i grillini sono”? A senso, direi la seconda [N.d.Ar.]

  4. Maria Elena Silvia bibit, ergo sancta est

    Dicevamo ieri (vedi sopra in questa pagina) che il sorite Qui bibit… sanctus est a stretto rigor di logica potrebbe essere impugnato, eppure piace.
    Manco a farlo apposta, aprendo oggi la pagina delle notizie scodellate dal ficòfono, vedo questa immagine tratta dal profilo Instagram di Maria Elena Boschi. Direi che piace moltissimo. Per leggere i commenti, fare clic sull’immagine.

  5. Valentina permalink

    IV Effe

    “Post Zang Tumb Tuum”. La mostra che celebra l’arte italiana dal 1918 al 1943. Ambiziosa, articolata, irriverente. La mostra nasce esplicitamente da un omaggio agli allestimenti originari, alle opere sopravvissute – immortali implacabili – del Futurismo e del Razionalismo. Protagonista, più o meno celata: la fotografia. La fotografia che è documento di quegli allestimenti, di quei volti, di quell’arte che oggi come allora abbiamo di fronte. Protagonisti i documentatori: i fotografi che hanno lasciato traccia, ci hanno indicato il contesto, lo spazio abitativo artistico esistenziale degli amici pittori scultori architetti. Grazie a loro, possiamo vedere. Faccio alcuni nomi – scovateli nelle didascalie perché meritano di essere conosciuti: Bassani, Boggeri, Bombelli, Bragaglia, Castagneri, Crimella, Luxardo.

    • Una mostra un po’ paracula, ma interessante

      Sì, avevo letto di questa mostra, curata da Germano Celant, rinomato per la fumosità della sua scrittura. Gli “oggetti” della mostra sono certamente interessanti, e meriterebbero una riflessione “spudorata”, che invece anche qui si fa desiderare, come sempre quando si affronta il tema della produzione artistica e culturale tra le due guerre. Invece, a giudicare dai soffietti dell’Ufficio stampa, dalle laboriose estrapolazioni dal catalogo della mostra lette sui giornali, anche questa mostra Post Zang Tumb Tuuum. Art Life Politics. Italia 1918-1943, presso la Fondazione Prada a Milano, è un’occasione perduta. Gli “oggetti” e «i soli documenti – fotografici soprattutto, ma anche testuali – presentano le opere esattamente come furono presentate allora, nelle grandi mostre istituzionali» (Il Ventennio, che bellezza! La grande arte italiana al tempo del fascismo). Dunque quella del fascismo fu una «grande arte». Grazie tante: ma perché? Uno straccio di analisi, per favore.
      Mi riprometto di andare a vistare questa mostra, io che di solito le evito (mi infastidiscono i pifferi e le grancasse delle pubbliche relazioni intorno all’“evento”, mi autotutelo non andandoci), perché l’argomento è interessante, ma ho già capito che questa è una mostra pudica, evasiva, tutto sommato.
      Dunque, quella fu una grande arte e quell’arte e quella cultura — dicono — furono largamente fasciste. Invece il punto è proprio questo: non furono fasciste, perché l’arte e la cultura non sono né fasciste né comuniste (neanche Aleksandr Nevskij, il film di Ėjzenštejn, è comunista, a ben vedere, anche se fu commissionato da Stalin) ma il fascismo ebbe l’intelligenza di metterci il cappello sopra, anche di promuoverle. E aveva il buon gusto di lasciare in pace chi sa il fatto suo: per esempio alla monumentale opera dell’Enciclopedia Treccani contribuirono molti studiosi di orientamento antifascista; lo si sapeva, e i coglionazzi talebani protestavano, ma furono lasciati cantare. Chi poteva e sapeva giudicò che, privandosi della loro collaborazione, il decoro dell’opera ne avrebbe sofferto. Il fascismo, insomma, fu più intelligente dei circoli delle damazze politicamente corrette che pretendono oggi di dettar legge e decretano l’ostracismo — silenzioso, ma non meno terribile — per chi già dalla cuna dia segni di non essere allineato con il pensiero unico. Ecco allora che si parla, si scrive e si fanno mostre sull’arte fascista, si registrano i fermenti culturali di quell’epoca, e tutto si dice, tranne quello che andava detto. Come dire: sì, facciamolo, ma appena appena, così da non lasciar traccia. Facciamolo infracoscio, è meglio.
      E allora si dirà che sì, l’Eur a Roma ha un’atmosfera incantata, che affascinava Antonioni, Fellini, Pasolini, però… E le città del Duce, Littoria (oggi Latina), Sabaudia (edificata in 253 giorni) ecc.? Certo, dei capolavori, ma chi si credeva di essere Mussolini, urbium conditor, fondatore di città neo-latine? E la Casa del Fascio di Como sarà anche un capolavoro dell’architettura razionalista, ma chiamiamola Casa Terragni. E così via.
      Se invece si volesse prendere il coraggio a quattro mani varrebbe la pena partire dalla considerazione, semplice semplice, che il fascismo a conti fatti non fu nei confronti della cultura ferocemente castratore come l’attuale sistema simil-democratico. (E se il pallino in fatto di cultura passerà mai ai gialloverdi, ne vedremo delle belle. Quelli, ignoranti come sono, pretendono di scrivere la storia: cose da pazzi, fanno venire il latte alle ginocchia.) In realtà, come già abbiamo avuto occasione di scrivere, «il fascismo aveva soggezione dell’alta cultura, perciò non osò, per esempio, aggredire l’istruzione superiore, anzi la migliorò (pur obbligando i professori a giurare fedeltà al regime, cosa che essi fecero in massa: non lo ignoriamo). Invece oggi qualunque assessorucolo si permette di parlare di cultura, agrimensori male acculturati pretendono addirittura di redigere prog[g]etti culturali (vedi le sbruffontate intorno al Bibliomostro); ministro della Pubblica istruzione è una sindacalista e, in generale, la scuola è di merda, usata truffaldinamente per trasmettere contenuti non scolastici, solitamente politicamente corretti, profittando del fatto che gli studenti non possono scappare».
      In un documentario girato da Pasolini a Sabaudia, il poeta e regista fa un’affermazione nel suo inconfondibile tono pacato, ma la sostanza è terribile: «oggi il sistema è formalmente democratico, ma commette crimini che il fascismo non si sognava di commettere».
      Quindi ben vengano le mostre sull’arte “fascista”, ma si abbia il coraggio di fare un discorso articolato e serio. Non per fare apologia di fascismo (del resto è noto il ribrezzo che proviamo per l’identitarismo sovranista con cui Salvini lubrifica i suoi amorazzi populisti), ma per discutere. Servirà per mettere a fuoco quanto di repressivo — tremendamente repressivo — si nasconda in certi riti simil-democratici, in certe coartazioni liberticide operate nel recente passato, e tuttora operanti, in nome del politicamente corretto, nell’omologazione unidimensionale della neolingua, nell’impostura della condivisione.


      Nell’immagine qui sopra vediamo la scuola elementare del Comune di Tresigallo, nella pianura ferrarese. Era questo un insignificante borgo agricolo, divenne una città d’arte, progettata ex novo a misura d’uomo a metà degli anni Trenta, ridisegnata secondo i dettami dell’architettura razionalista. Così volle Edmondo Rossoni che qui era nato, e che fu Ministro dell’Agricoltura e delle Foreste (Alemanno prima di essere il non rimpianto sindaco di Roma fu Ministro dell’Agricoltura, ma passerà alla storia per l’assunzione immediata, ope legis, di migliaia di forestali in Calabria: merda!). Rossoni era fascista, ma con un passato di anarcosindacalista, trascinatore di folle, animatore di scioperi.
      In questa stessa pagina abbiamo ricordato Beneduce che fondò l’Iri, che poi fu svenduta in forma di spezzatino da Prodi (un crimine contro il lavoro italiano): anche Beneduce aveva un passato socialista. Ancora una volta si vede l’intelligenza del fascismo, che seguì la politica che fu già di Cesare, il quale preferiva cooptare gli avversari, invece di soffocarli e che fu poi della Chiesa cattolica. Naturalmente non ignoriamo le violenze all’indirizzo delle Camere del Lavoro, sappiamo dell’assassinio di Matteotti, siamo edotti delle leggi razziali. Questo non toglie che Sabaudia sia una città meravigliosa e che esemplare sia il piano regolatore di Addis Abeba, promosso da Bottai che fu governatore della città, prima di diventare Ministro dell’Educazione nazionale. Del resto non dimentichiamo le colpe della Chiesa, la simonia, la vendita delle indulgenze, la politica di potenza, il processo a Galileo, il martirio di Giordano Bruno, i processi alle streghe (sempre meno dei protestanti, che erano particolarmente cattivi). Questo però non ci fa dimenticare né le grandi opere d’arte promosse dalla Chiesa né i suoi meriti sociali, in Europa e nel mondo (vedi per esempio Il cristianesimo felice dei padri della Compagnia di Gesù nel Paraguai, di L.A. Muratori, Sellerio, Palermo 1985).

      • Il commento qui sopra, scritto ieri notte, è stato rimpolpato questa mattina, a mente fresca. L’argomento meritava l’opera di lima e qualche parola in più.

  6. Questa è memoria: per favore, non chiamatela “memoria storica”
    Dedicato a Salvini, ai populisti, agl’identitaristi, ai sovranisti e a quanto di peggio ha prodotto il sonno della ragione

  7. Anna permalink

    Il bimbo aziendalista

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    @IvanaRota

    [Invito i lettori a leggere queste osservazioni su un caso particolarmente ripugnante di coercizione aziendalistica dell’infanzia (fare clic sull’immagine). Ne è autore Massimo Gramellini, spesso deamicisiano, un po’ troppo, ma che dice anche cose di buon senso, e ogni tanto se n’ha bisogno. È anche una persona educata, anche questo non è male, in tempi di sbracamento “deterministico” (io sono determinato, non mi frega niente di te e se mi fa comodo passarti sopra con uno schiacciasassi, sempre che riesca a procurarmene uno, non mi tiro indietro; del resto, se rimani schiacciato, la colpa è tua, che ti sei fatto schiacciare). Di qui a farsi prendere a pesci in faccia da Ambra, come Gramellini ha sopportato, ce ne passa.
    Ambra è una che a ‘Non è la Rai’ faceva la sgallettata: era allora giovane e carina, perciò era odiata dalle femministe; ed ecco che per effetto della cosiddetta Sindrome di Stoccolma è passata dalla parte del nemico: adesso è femminista, il ricordo dell’auricolare di Boncompagni la colma d’imbarazzo e ci tiene a mostrare un pensiero tutto suo (ma va…) politicamente corretto. I suoi sforzi di redenzione hanno avuto effetti devastanti sulla sua psiche, ma anche nel fisico, ormai smagrito e senza carne dove affondare i denti (battuta di Woody Allen). Per giunta, alla TV con Massimo Gramellini, faceva stomachevole spirito di patata e trattava a pesci in faccia il suo mentore, al quale doveva tutto. Ne abbiamo parlato in una pagine precedente di Nusquamia; dopo una settimana o circa abbiamo letto che la Rai ha deciso di chiudere quella trasmissione: si veda Ascolti bassi, chiuso il Cyrano di Massimo Gramellini e Ambra Angiolini. Ecco, penso che non soltanto Gramellini avrebbe fatto bene a non farsi prendere a pesci in faccia, a tutela della propria dignità: penso che avrebbe avuto il dovere di farlo. Infatti è diseducativo l’esempio di una sciacquetta, per giunta ormai avanti negli anni, che tratta con molta maleducata determinazione un signore torinese posato, ancorché tendenzialmente conformista. Gramellini doveva punirla. Non l’ha fatto lui, ci hanno pensato i telespettatori, che di solito hanno gusti bestiali, ma in questo caso l’hanno azzeccata.

    Però, ripeto, denunciare le storture della scuola che si compiace di infettarsi della tabe dell’aziendalismo è cosa giusta e santa. Ne ringraziamo Gramellini e, in virtù di questa denuncia, lo perdoniamo per essersi lasciato prendere a pesci in faccia da Ambra, davanti ai telespettatori, per quanto pochi essi fossero. Non ci stanchiamo di ripetere — lo abbiamo ricordato anche in questa pagina — che infarcire la scuola di contenuti extrascolastici, di solito politicamente corretti, e comunque proni alla prevalenza dell’idiozia e del conformismo, è criminale. Sempre in questa pagina ricordavamo il giudizio di Pasolini, sempre attuale, oggi ancora più vero che trenta-quarant’anni fa: «Oggi il sistema è formalmente democratico, ma commette crimini che il fascismo non si sognava di commettere». Certo, in questo giudizio di Pasolini c’era anche il rammarico per la scomparsa della cosiddetta civiltà contadina, e qui non siamo d’accordo con lui. Ma in questo giudizio c’è anche l’eco del pensiero critico della Scuola di Francoforte, con il quale siamo d’accordo. Anche Martha Nussbaum, nel chiedere una rivalutazione delle sue ‘humanities’ dice — male — quel che diceva — molto bene — Marcuse, e per giunta vi aggiunge istanze politicamente corrette, tutte sue. E così il discorso va a finire in puttana: propongo, come usa fare talora nella risoluzione di certi problemi matematici, la separazione delle variabili. N.d.Ar.]

    • Ambra Angiolini, prima che fosse femminista, “problematica” e politicamente corretta

      • Per la serie “Facciamoci del male”
        Suor Cristina, più sgallettata dell’Ambra adolescente, canta e balla (mossettine di break dance). Le suore di clausura si buttano nel bailamme del “social”

        La Chiesa cattolica ha una gran fregola di diventare protestante e di farsi del male. Dalla rubrica di Massimo Gramellini (l’abbiamo citato sopra a proposito dell’aziendalizzazione della scuola) leggiamo:

        16 maggio 2018 – Anche le monache di clausura potranno usare i social, purché lo facciano con discrezione e sobrietà. Lo ha deciso il Vaticano modernista di papafrancesco.com. Il provvedimento colma una grave lacuna, dal momento che le suore erano gli ultimi abitanti del pianeta a non avere ancora messo «mi piace» a una foto di Chiara Ferragni. [*] […] Si aprono prospettive interessanti. Gruppi di discussione animati da suore vegane e da novizie favorevoli alle scie chimiche. Badesse iscritte alla piattaforma Rousseau per votare il contratto di governo del Movimento Tu-scendi-dalle-stelle. Competizioni tra conventi per stabilire quale santa abbia più «followers».

        Così chi è in cerca di spiritualità si fa sufi o, se è in cerca di emozioni forti, diventa foreign fighter. Ma, a ben vedere, è storia vecchia: quando Paolo VI abolì di fatto il latino, diede un calcio al canto gregoriano e obbligò i sacerdoti a guardare il popolo durante la celebrazione del mistero, le vecchie parrocchiane cominciarono a dire le parolacce, le giovani parrocchiane intrecciarono relazioni amorose con il prete senza abito talare ma con il coccodrillo di Lacoste sulla polo, i sottoproletari si rivolsero alle sette (Bambini di Dio, sette sataniche ecc.), i borghesi presero la strada del Tibet, i più sfigati si obnubilavano con le canne o si bevevano il cervello con la droga pesante.

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        [*] Credo che sia una diva dei mezzi reziali di comunicazione di massa

    • IVa Internazionale permalink

      Daverio: “Adesso il proletariato non c’è più, però di rimbambiti ce ne sono tantissimi, gli alienati sono forse di più di quanti non ce ne fossero nel 1905 (al tempo in cui fu scritto ” Che fare”)”.

      Vedi:

      [Philippe Daverio va preso con le pinze, le informazioni che ci dà vanno prese con le pinze, sia quando fa il provocatore (vedi l’«imbianchino austriaco»: lui sa che così non è, ma molti sono convinti che Hitler lo fosse davvero), sia anche quando fa il divulgatore culturale. Eppure val la pena sentirlo, se non altro perché testimone di un’epoca che lui non ha ripudiato, come invece ha fatto con i leghisti, e ha fatto bene, s’intende: fu a Milano assessore alla Cultura con Formentini, e una volta tanto non fu un assessore del mi-piace-non-mi-piace, come gli assessorucoli alla cultura di paese. Insomma non è un buzzurro, ancorché di origine alsaziana, certo non in senso metaforico (buzzurri in origine erano gli svizzeri che mercanteggiavano di città in città, in seguito a Roma si chiamarono buzzurri i rudi piemontesi ivi calati dopo l’unità d’Italia). N.d.Ar.]

  8. Un graffito nella Roma sotterranea
    La scritta è contro quelli che non godono e vorrebbero impedire agli altri di godere. Di gente malefica così il mondo è pieno. I denunciatori anonimi di Curno rispondono a questa logica.

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    Il programma ‘Ulisse. Il piacere della scoperta’ sabato scorso (12 maggio) era dedicato all’esplorazione di Roma sotterranea. La puntata può essere vista in streaming facendo clic sull’immagine. Se si riceve dal sito della Rai la richiesta di registrazione, procedere utilizzando i propri dati facebook, che saranno introdotti automaticamente con un clic.
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    Sabato scorso, appuntamento con Alberto Angela per vedere l’ultima puntata del programma Ulisse. Il piacere della scoperta. Se invece si è diversamente occupati, il programma può essere rivisto in modalità ‘streaming’, richiamando via Internet il flusso (‘stream’) dei dati registrati.
    Il bravo Alberto Angela (pare che sia un sex symbol, nonostante la scarsa somiglianza con un bronzo di Riace: è il fascino della cultura) questa volta ci mostra alcuni segreti della Roma sotterranea. Al min. 41° della trasmissione (e della registrazione fruibile via Internet) vediamo alcuni graffiti, tracciati dagli operai che verisimilmente lavoravano all’interramento delle strutture sottostanti alle Terme di Traiano.


    Graffito sull’intonaco di un muro sotto le terme di Traiano; faceva parte delle costruzioni interrate per l’edificazione sovrastante delle Terme, all’inizio del II sec. d.C. Vi si legge il seguente distico: «Quisquis amat valeat, pereat qui nescit amare / bis tanti pereat quis amare vetat».

    Già, le Terme furono edificate sopra edifici preesistenti, alcuni anche di pregio. Vediamo così quanto rimane dello spazioso triclinio (la sala da pranzo) di una domus, in particolare i resti di un mosaico parietale: l’ambiente doveva essere umido, perciò si preferì il mosaico all’affresco. Gli operai incaricati dell’opera di demolizione e interramento portarono via le tessere delle campiture di sfondo, perché dello stesso colore; ci avanzano perciò le figure umane, dove sono accostate tessere che, per realizzare l’effetto di chiaroscuro, sono di colori diversi. Non valeva la pena portarle via, così oggi ammiriamo i dettagli più interessanti dell’enorme mosaico. Procedendo per una rampa in tera battuta (a suo tempo utilizzata per portare via le impalcature), liberata in epoca recente, Angela ci mostra una parete presso la quale verisimilmente gli operai consumavano i pasti nella pausa di lavoro. Dopo averci mostrato i segni della scalfittura murale, al naturale, ce li presenta nuovamente, questa volta “ripassati” o, meglio, sovrimpressi sull’immagine registrata dalla telecamera: l’operazione è stata realizzata al computer. Angela ci dà una traduzione libera dell’iscrizione, i cui caratteri sono quelli della “capitale corsiva antica”, diversi dai nostri (per esempio, la “R” è una sorta di “T” ruotata in senso orario di 45°, la “E” si ottiene tracciando due lineette verticali); ma con un po’ di pratica non è difficile interpretarli. Così (si veda l’immagine qui sopra), tenendo conto di qualche piccolo errore nel “ricalco”, o nella scrittura stessa (come avviene sovente nei graffiti pompeiani), leggiamo «Quisquis amat valeat, pereat qui nescit amare / bis tanti pereat quis amare vetat», cioè “Salute a chiunque ami, morte a chi non sa amare; morte due volte a chi vuole impedire che si ami”. A riprova della correttezza di questa interpretazione possiamo fare il confronto con un altro graffito, tracciato su una parete della domus di Cecilio Giocondo, a Pompei, che riporta lo stesso pensiero, in parole quasi eguali.


    Atrio e ‘impluvium’ della ‘domus’ di Cecilio Giocondo; dietro, il ‘tablinum’, l’ambiente principale della casa romana, posto tra l’atrio e il peristilio. Sotto, graffito tracciato su una parete dietro le colonne del peristilio (a destra, venendo dal tablino).

    Lucio Cecilio Giocondo era un ricco banchiere (argentarius) che abbandonò la sua bella casa sfarzosa e riccamente affrescata, in fretta e furia, durante l’eruzione del 79 d.C. Sappiamo della sua professione dall’esame delle tavolette cerate, perfettamente conservate in una cassa, sommersa dalla coltre di cenere e lapilli del vulcano: qui infatti sono registrati i movimenti del dare e dell’avere (beni mobili e immobili, schiavi, animali). Anche gli affreschi sono perfettamente conservati; famoso è quello erotico, conservato nel gabinetto segreto (un tempo si chiamava così) del Museo Archeologico di Napoli.


    Ricostruzione 3-D della casa di Lucio Cecilio Giocondo. Qui sotto, affresco erotico staccato dal peristilio della casa, dietro l’atrio.

  9. Claudio «Aquilini» Borghi, lo Tsipras de noantri, l’Attila dei mercati: «No Euro, fuori dell’Europa»
    Giorgetti non riesce più a frenarlo. L’Italia trema, l’Europa sghignazza

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    Articolo pubblicato sul Corriere della sera il 16 maggio 2018: per leggerlo, fare clic sull’immagine.
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    Scrive il Corriere della Sera che «Claudio Borghi Aquilini, economista, milanese, è uno degli sherpa leghisti nella messa punto del “contratto di governo» con il M5S”». Sarà vero? Lui nell’intervista lascia credere che sia proprio così, che la sua volontà conti, e parecchio. È determinatissimo, più della dott.ssa Serra, sindachessa emerita curnense, attualmente consigliere presso il Comune di Curno, ma α-dominante, quando si tratta di far passare in regime di condivisione coatta qualche alzata d’ingegno cattoprogressista, appena un gradino sotto la “boldrinata” classica (la dott.ssa Serra è più intelligente della Boldrini e, a dir la verità, non ci vuole molto).
    Qualora non si fosse capito, questo è il momento di Claudio «Aquilini» Borghi, compagno di scorribande populiste del giornalista orrido Gianlugi Paragone, già direttore della Padania, passato al M5S. Claudio «Aquilini» Borghi è come Nerone, pur di poter intonare sulla cetra leghista qualcuna delle sue micidiali battute, è capace d’incendiare l’Italia. Lo spread vola alle stelle? Ecchisenefrega? Basta non dargli importanza. Del resto, pur di godersi lo spettacolo, pur di essere importante, pur di essere temuto, l’«economista» Borghi, autore di un libro su come far soldi investendo in quadri (Investire nell’arte: acquistabile anche in formato Kindle) è pronto alla morte. Dirà come Nerone «Qualis artifex pereo!». Ma c’è qualcosa che non torna, forse. Nerone è troppo poco, senza contare che era veramente un artista, ed era un uomo colto. No qui ci vuole Attila. Del mercato non rimarrà pietra su pietra. Seh! Altro che teste d’uovo, ingegneri, fisici, matematici, modelli di simulazione dinamica dei sistemi. Qualcuno sembra essersi dimenticato del potere d’incantamento delle battute. Lo dice anche il Vangelo di san Giovanni: «In principio era il Verbo». Già il Λόγος. Ma non era mica il verbo di Claudio «Aquilini» Borghi. Era ben altro Verbo.
    Boh, forse conviene metterla sul ridere: suggerirei che noi tutti si ricorra, in massa, ad antichi e collaudati sistemi partenopei di difesa apotropaica. Diceva “don” Benedetto Croce, filosofo napoletano: «Non è vero, non ci credo, ma mi provvedo». E si toccava la palle.

    • L’irresistibile ascesa dei populisti
      Claudio «Aquilini» Borghi sottosegretario?

      Sfogliando in rete il quotidiano Libero (18 maggio 2018) leggiamo: «Una bozza, che riporta Luigi di Maio come premier, prevede per Matteo Salvini il ruolo di ministro dell’Interno e vicepremier unico, con l’economista non-euro Claudio Borghi come sottosegretario alla presidenza del Consiglio».
      Ci siamo domandati se Claudio «Aquilini» Borghi possa fare più male come ministro dell’Economia o come sottosegretario. Teoricamente, dovrebbe essere più nocivo come Ministro dell’Economia. Non dimentichiamo però che abbiamo che fare con uno che non fa mistero di essere determinatissimo (roba da far impallidire insieme la dott.ssa Serra, la Boldrina e Cavagna il Giovane) e che insieme con l’amico Pierluigi Paragone potrebbe scatenare un’offensiva mediatica tale da far affondare l’Italia nel giro di poche settimane, anche se non entra nella stanza dei bottoni economici. Tale infatti è la sua influenza malefica, che potrebbe avere effetto qualora gli italiani trascurassero di mettere in atto opportune difese apotropaiche. Forse però non tutto il male viene per nuocere: a seguito del default provocato dalla potenza iettatrice di Claudio «Aquilini» Borghi, il territorio nazionale sarà diviso in due parti soggette di fatto alla giurisdizione di Germania e Francia. L’Italia settentrionale andrà alla Germania e dall’unione verisimilmente nascerà una concentrazione industriale tale da indurre a più miti consigli l’offensiva di colonizzazione cinese. L’Italia meridionale andrà invece alla Francia che si avvantaggerà della posizione strategica della punta dello stivale nel Mediterraneo per consolidare la propria politica imperialistica nel continente africano. L’Italia sarà di fatto governata da principi stranieri: si prevede un nuovo Rinascimento.
      Insomma, per il momento non siamo in grado di stabilire se Claudio «Aquilini» Borghi (il quale, tra l’altro, all’anagrafe è soltanto Claudio Borghi, l’Aquilini ce l’ha aggiunto lui) possa fare danni peggiori come ministro dell’economia o come sottosegretario alla presidenza del Consiglio.

      • Claudio «Aquilini» Borghi ha parlato, la Borsa trema. Fin qui poco male, ma l’Italia?
        L’“economista” Borghi non si turba. Ha un’alta opinione di sé, tale che al suo confronto il gatto padano è un dilettante

        Quello che vedete è un titolo del 17 maggio, a dimostrazione dello straordinario potere di sfiga delle parole di Borghi, come abbiamo sottolineato in un commento precedente. E non è che l’inizio. A proposito della Banca del Monte dei Paschi di Siena aveva detto: «Lo Stato azionista deve provvedere alla ridefinizione della mission e degli obiettivi dell’istituto di credito in un’ottica di servizio». A queste parole, proprio perché dette da Borghi (che gattopadanescamente parlava di “mission”) è seguito il diluvio: il titolo a Piazza Affari, cioè alla Borsa di Milano, è calato dell’8,8%. Il giorno successivo (il 18 maggio) il titolo ha continuato a crollare, è stato sospeso e poi riammesso.
        In fondo, si dirà, è una cosa che rigarda soltanto «un investimento effettuato con risorse pubbliche», come ha detto Padoan, per giunta — perché no? — criticabile. Infatti. Diciamo pure che degli investitori nel MPS non ci frega niente, e nemmeno del tentativo di ricuperare parte dei 5,4 miliardi investiti nel salvataggio della banca, come concordato dal governo italiano, Bce e Unione europea. Ma dell’Italia dovrebbe importarci, almeno un po’. Possibile che Giorgetti sia disarmato, che non riesca a mettere le briglie a questo narciso scatenato, possibile che non esista un antidoto?
        Borghi si prende tutta la responsabilità del crollo in Borsa delle quotazioni del MPS, si sente importante e vede aumentare la propria visibilità. Perciò dichiara gongolante: «Non mi pento di quanto detto. L’istituto deve rimanere pubblico. […] Di cosa dovrei pentirmi? Queste cose sul Monte le ho sempre dette. Dimentica che ero l’avversario di Padoan nel collegio di Siena?».
        Il presidente della Regione toscana, Enrico Rossi, lo supplica: «Borghi, per favore, taci! Fuori la brutta politica dalle banche!». Parole al vento, ché Borghi ha un’alta opinione di sé. Vuole, tra l’altro, il ritorno alla lira, l’uscita dall’Europa e, quanto meno, la gloria degli altari. Quello che vedete qui sotto non è un mio fotomontaggio, ma l’immagine di apertura della pagina Facebook (vedi) di questo straordinario economista, che il mondo c’invidia. Apprendiamo da Wikipedia che è stato agente di Borsa, funzionario bancario e docente a contratto di Economia degli intermediari finanziari, Economia delle aziende di credito ed Economia dell’Arte presso l’Università Cattolica. In qualità di esperto di Economia dell’Arte ha scritto un libro dal titolo Investire nell’arte. La scuola economica di Cambridge dovrebbe piantarla con il culto di John Maynard Keynes e cominciare a venerare Claudio «Aquilini» Borghi: basta con le pose elitarie, bisogna essere populisti, i rincoglioniti stravaccanti davanti al televisore durante i talk show sono nostri fratelli, uno vale uno. Qui infatti, nei talk show, il Nostro gode di straordinario successo: sono battute su battute, mentre la complessità della realtà è semplificata a colpi d’accetta, i discorsi sono scanditi in forma iraconda, in tono rigorosamente assertivo, oracolare, con pause segnate da sorrisetto asseverativo (come la dott.ssa Serra: però il Borghi è più buffo che antipatico). E tanto basta perché i minus habentes applaudano: «Oh, quant’è bravo! Com’è carismatico! Squit, squit!» (è il verso delle zoccole).


        Queste sono le 10.000 lire del futuro di lacrime e sangue che attende gl’italiani, grazie alla supposta economica di Claudio «Aquilini» Borghi, che si diverte a fare il sodomita con le loro natiche. Vi è immortalato il volto, un po’ Cicciobello, un po’ Renato Pozzetto, dell’economista che il mondo c’invidia.

  10. Sconcerto permalink

    A quanto detto aggiungerei anche la trovata dei mini-bot, non trovo parole per esprimere quello che penso ma un bel VAFFA ci sta tutto.

    [Sui mini-Bot di Borghi veda, fresco d’inoltro in rete, questo articolo sull’Huffington Post: L’economista della Lega Claudio Borghi: “Soldi subito con i mini-Bot”. Avrei però da fare queste due considerazioni:
    a) Non capisco perché continuino, un po’ tutti, a chiamare economista Claudio «Aquilini» Borghi. In generale, non ho grande stima di coloro che si dicono “economisti”, in particolare dei bocconiani; ciò premesso, non escludo che ci possano essere anche economisti seri. Sicuramente erano seri quelli della scuola di Cambridge (Keynes, Sraffa ecc.), come pure quelli della scuola di segno opposto, la scuola di Chicago (Milton Friedman ecc.), dai quali mi sento distante; era serio anche Amintore Fanfani, quando teorizzava l’economia corporativa (nel dopoguerra fece di tutto perché ci si dimenticasse di questo suo “increscioso” passato). Ma i loro studi sono seri: Fanfani, visto che l’abbiamo nominato, era laureato in Economia alla Cattolica di Milano, come Borghi, ma era un genio (amava dire di sé, confrontandosi con i colleghi della Dc: “Sono l’unico gallo in una stia di caponi”). Borghi crede di essere un genio, ma lo dice lui; e forse lo pensano coloro che si abbrutiscono a sentirlo, quand’è invitato a prendere la parola nei talk show populisti di Gianluigi Paragone: i quali però, con tutto il rispetto per il caso umano, non fanno testo. In termini brutali, non credo che il libro del Borghi sul modo di far quattrini investendoli nell’acquisto di quadri possa essere confrontato con la ‘Storia delle dottrine economiche’ [1939] di Fanfani.
    b) A proposito dei mini-Bot, trovo incredibile che nessuno, né all’Huffington Post, né altrove abbia rilevato che questa idea “geniale” di Borghi (l’«uovo di Colombo», dice lui) è manifestamente in contraddizione con il I Principio della Termodinamica. Se si perde di vista il nocciolo del problema, finisce che ci si affanna a pestar l’acqua, o a menare il can per l’aia.

    Non se ne può più. Meglio morire, piuttosto che continuare a vivere avendo che fare con simili maestri e maestrine di vita. Dal mio punto di vista, che vuol essere razionale, in fondo non c’è molta differenza tra Borghi e la Boldrina, apparentemente agli antipodi: ma solo apparentemente. In realtà costituiscono entrambi un’offesa all’intelligenza dell’uomo. [N.d.A.]

  11. Osservatore permalink

    leggo su Facebook questo breve commento del prof. Marco Bassani

    “Le abborracciate compagini governative degli ultimi 25 anni avevano una, benché minima, consapevolezza dei problemi, ma erano impossibilitate ad affrontarli, giacché temevano che avrebbero perso il consenso. Così indicavano problemi fittizi, soluzioni irreali, confidando nella stoltezza assoluta dell’elettorato. E sono naturalmente sparite.
    Nell’ultima campagna elettorale nessuna forza politica ha neanche vagamente accennato ai 4 macigni che sarebbero al centro di qualunque dibattito realistico: 1) dimensioni del debito pubblico, 2) rapina fiscale ai danni delle aree produttive, 3) livello di tassazione (la più alta della storia umana), 4) spesa pubblica incomprimibile e fuori controllo.
    Il governo che verrà fuori non è frutto di programmi, di contrattazione e negoziazione fra i vincitori, ma di una fatidica convergenza sull’oblio.
    Hanno infatti stravinto le forze politiche che sono apparse meno coinvolte nel disastro Monti/Letta/Renzi degli ultimi 7 anni, ma anche quelle che meno hanno preso sul serio la situazione di un Paese che dal 1996 non ha aumentato la propria ricchezza, caso unico nel mondo sviluppato.
    E come mai la regione convenzionale Italia non cresce da 20 anni? Bizzarramente da allora abbiamo assistito ad un unico grande fenomeno: il massiccio trasferimento di ricchezza dal settore privato a quello pubblico. Di 100 euro prodotti, 57 vengono ormai riallocati con criteri burocratico-amministrativi e solo 43 sulla base dei diritti di proprietà e degli interessi privati. Fino a trenta anni fa il rapporto era di 30 a 70.
    Nessuno afferma con chiarezza questa semplice verità: il governo non produce assolutamente nulla, può solo spostare danari dalle tasche di qualcuno in quelle di qualcun altro. E adesso andranno al potere le due forze politiche che maggiormente credono all’onnipotenza del governo, allo Stato quale dio mortale che tutto può dare (e togliere). Il bagno nello statalismo selvaggio dell’ultimo mezzo secolo non ha alcuna possibilità di essere corretto per via politica. Il popolo vota per un “more of the same” generalizzato, di destra, di sinistra o quale “rivoluzione” pentastellega.”

  12. Il debito pubblico aumenta, ma non ditelo a Claudio «Aquilini» Borghi. Neanche a di Maio e nemmeno a Salvini


    Debito pubblico italiano alle 14.50 del 20 maggio 2018. Per sapere quanto è aumentato nel momento in cui leggete questa pagina, fare clic sull’immagine.

    Che volete che gli freghi di questa cifra (2.322 miliardi di euro, e fischia) a uno come Claudio «Aquilini» Borghi? Lui, ministro in pectore del nuovo governo gialloverde è magico o, come direbbe l’Ariosto, “affatato”. Lui, come il paladino Astolfo, paladino di Carlo Magno, del quale si legge nell’Orlando furioso, possiede il libro degl’incantesimi, contenente tutte le formule per neutralizzare le magie degli avversari, comprese la manovre degli usurai della finanza internazionale pronti a far la festa all’Italia. Il libro contiene in ordine alfabetico tutte le circostanze da soggiogare con gl’incantamenti dell’arte magica o con qualche trucco segreto.
    Ecco per esempio come Astolfo, avendo appreso che alla foce del Nilo vive Orrilo, riesce a mettere fuori gioco il terribile gigante: nel libro magico è scritto che bisognerà recidegli il capello che lo rende invincibile (Orlando furioso, XV, 79). E così fu.

    Astolfo nel suo libro avea già letto
    (quel ch’agl’incanti riparare insegna)
    Ch’ad Orril non trarrà l’alma del petto
    Fin ch’un crine fatal nel capo tegna;
    Ma, se lo svelle o tronca, fia costretto
    Che suo mal grado fuor l’alma ne vegna.
    Questo ne dice il libro; ma non come
    Conosca il crine in così folte chiome.

    Astolfo ebbe il libro magico in dono dalla maga Logistilla. E Claudio «Aquilini» Borghi? Che l’abbia ricevuto (in prestito) da Salvini, che lo sequestrò a Maroni, che lo ricevette in restituzione da Luisa Corna?

  13. Senza futuro permalink

    Come non incazzarsi (serve ancora?) per queste parole pronunciate da Borghi:

    Siamo alla follia pura, un paese con un debito abnorme e gente impreparata ai posti di comando, come prima peggio di prima.
    Naturalmente la colpa dei disastri provocati verrà poi addebitata alla Comunità Europea.
    Ciarlatani!

  14. Maledetti architetti? Che dire allora degli agrimensori che credono di essere architetti?


    Copertina del supplemento culturale della Repubblica in edicola il 20 maggio 2018.

    Leggiamo nell’inserto culturale (Robinson) della Repubblica di questa domenica:

    Sembra tornare di moda il celebre anatema lanciato da Tom Wolfe,“ Maledetti architetti”, che bollò con marchio indelebile un’intera categoria di professionisti. Come potrebbe affermarsi oggi un nuovo stile capace di esprimere un tempo imploso, confuso e iper-individualizzato? […] Il vaso di Pandora si è definitivamente aperto tra gli anni Sessanta e Ottanta, arrivando a trovare nella centralità data alle cosiddette “ archistar” la perfetta definizione di un tempo votato al culto della personalità e del suo potente marketing.

    Beh, però ci sono stati, ci sono ancora architetti seri, e non parlo soltanto delle glorie di un tempo remoto: il Brunelleschi, per esempio, o Leon Battista Alberti, o il Palladio. Tra quelli viventi l’archistar Fuksas non ci entusiasma, è vero; ma siamo orgogliosi di Renzo Piano, titolare di una meravigliosa bottega rinascimentale. Ancora come esempio lodevole abbiamo ricordato in un commento precedente un grande architetto del passato, ma non remoto: Giuseppe Terragni la cui Casa del Fascio (Como, 1932-1936) è illustrata da questo documentario:

    Dell’edificio del Terragni leggiamo sempre su Robinson: «Monumento alla modernità, si compone di un volume semicubico; con la sua architettura di spazi aperti e chiusi, chiari e ombre, rende plausibile l’idea di uno spazio razionale eterno; opera d’arte astratta, la sua durata supera il Fascismo che pure l’ha commissionato ed ammirato».
    Terragni è un gigante, un genio. Ma non meno interessanti sono certi architetti meno conosciuti, o addirittura nemmeno considerati dai critici sublimi e di regime, che pretendono di dettar legge da posizioni di potere usurpate (la sciura Valeria insediata nello scranno di Ministro della Pubblica istruzione non è un’eccezione: direi che è quasi la regola). Per esempio ho scoperto di recente il progetto dell’Utopia realizzata dall’architetto milanese Tomaso Buzzi — per quanto si possa realizzare un’Utopia — alla Scarzuola, in Umbria. Una specie di Vittoriale esoterico, si dirà. Ma interessante: e Buzzi ha dato corpo al suo progetto mettendo in gioco i soldi suoi, non ha rapinato i contribuenti. Un po’ come il Cagnola, con la sua Rotonda a Inverigo. Né il Buzzi né il Cagnola hanno fatto il gioco esecrabile di chi fa il sodomita con le natiche altrui. Si veda:

    Insomma, andiamoci piano con le maledizioni scoccate all’indirizzo degli architetti, perché c’è architetto e architetto. Sia come sia, se ne abbiamo le tasche piene degli architetti di regime e di marketing (questi sì, questi sono degni di maledizione), che dire allora degli agrimensori male acculturati che pretendono di essere architetti? Questi no, questi proprio no! Vadite retro! Maledizione per maledizione, si potrebbe ricorrere — perché no? — all’esecrazione medievale, con tanto di anatema “Maràna tha” (un’espressione aramaica, variamente interpretata: vedi Lettere ai Corinzi di san Paolo, I, 16, 22): «Iram Dei omnipotentis incurrant et sub anathemate Maranatha in saeculorum saecula damnentur et partem habeant cum illo impio Iuda qui dominum nostrum Iesum Christum tradidit». Beh, almeno questo. Come dicono i cugini francesi, Y’en a marre. Basta, pietà!

    • Simona da Lecce permalink

      Nel cuore di Roma c’è un luogo fuori dal tempo avvolto in un’atmosfera magica e sognante, il quartiere Coppedè. Un angolo della capitale in cui il suo ideatore, Luigi Coppedè, ha fuso insieme stili diversi: dal Liberty all’arte romana, dall’arte rinascimentale a quella gotica, dando vita ad un miscuglio artistico sublime conosciuto ormai con il nome di “Stile Coppedè”. La sua fontana delle Rane ha ospitato i Beatles per un anomalo bagno dopo un concerto nel vicino Piper, set di innumerevoli film e sede di ambasciate, andremo alla scoperta della sua storia, dei simboli e della magia che lo contraddistingue.

      • Sì, ma non diciamolo a Claudio «Aquilini» Borghi

        Sì, ma non diciamolo a Claudio «Aquilini» Borghi, già «ministro in pectore dell’Economia» — così si faceva presentare nelle comparsate televisive, grazie alla rete di pubbliche relazioni micidiale della quale dispone — perché è capace che ci mette sopra il cappello. Perché? Semplice: ormai ha capito che come economista di governo è trombato, ora e per sempre, perciò non sta certo con le mani in mano. Alla ricerca di una sua prestigiosa collocazione alternativa, poiché una ne fa e cento ne pensa, potrebbe adesso ambire alla poltrona di ministro della Cultura.
        Per tenere in caldo l’opinione pubblica dei rincoglioniti, prima di lanciare la proposta di un suo insediamento culturale, ieri (o ieri l’altro) si è fatto intervistare, quindi ha fatto circolare in rete una dichiarazione in formato You tube dove si dice preoccupato, perché in Italia esiste il reato di opinione, che lo colpisce personalmente. Perché? Ecco, seguiamo il suo ragionamento, almeno ci divertiamo. Dunque, Savona è stato giudicato da Mattarella non idoneo a diventare ministro dell’Economia per la sua posizione euroscettica. Più che euroscettica, direi: basta leggere tra le righe del comunicato di Savona pubblicato nel sito “Scenari economici“; infatti il piano Bquello delle 79 slàid pubblicate nel medesimo sito — prevede l’uscita dall’euro in modalità golpista e Savona nel suo comunicato non l’ha smentito (in mancanza di smentita i mercati che dovrebbero prestare i soldi all’Italia per pagare gli stipendi agli stramaledetti impiegati pubblici a stipendio fisso e garantito avrebbero stretto i cordoni della borsa). Ma questa storia del mancato governo guidato dal prof. giurista avv. del Pop. Conte è tutto un gioco si specchi e di dissimulazione pochissimo onesta: Salvini che dice di voler fare il governo Conte, e che invece vuole tornare alle urne, per poter fare il pieno di voti (perciò fa i capricci sul nome di Savona); Savona che sa benissimo che come ministro dell’Economia in un governo Conte non riuscirebbe a fare granché, ma si siede al tavolo da gioco per poter poi giocare un altro gioco, tutto suo; Mattarella che dice di voler difendere i risparmiatori, ma che in realtà sta difendendo gli stipendi delle masse impiegatizie inerti.
        Claudio «Aquilini» Borghi, in ogni caso è fuori del gioco. Ecco allora che da Siena, dove si trovava per tifare per la “sua” contrada, quella del Palio (la contrada dell’Aquila, naturalmente) ieri si lamentava di aver appreso, per bocca di Mattarella, di non essere idoneo a fare il ministro dell’Economia. Perché? Perché lui, il Borghi (che si fa anche chiamare prof. Borghi, perché è stato docente a contratto alla Cattolica dove teneva un corso su come fare il dané) ha le stesse idee di Savona (chissà Giorgetti com’è contento di quest’uscita del Borghi); dunque incorre parimenti nello stesso “reato d’opinione” e in qualità di reo è classificato non idoneo a rivestire la prestigiosa poltrona di ministro dell’Economia. Ecco allora che ipso facto il Borghi (che avrebbe bisogno di un soggiorno in Magna Grecia, per imparare a ragionare meglio) sarebbe privato di un suo diritto naturale.
        Ma non basta: e vengo al dunque, cioè spiego perché non bisogna dir niente al Borghi del quartiere Coppedé di Roma. Apprendiamo dalla Repubblica che l’ipercinetico Borghi, che è consigliere comunale a Como, si attiva — appoggiato dalla micidiale rete di pubbliche relazioni della quale si è detto (che ci sia lo zampino della moglie “wedding manager” ed “esperta di bon ton”? — intende proporre la Casa del Fascio di Terragni a Como come sede della sezione distaccata della svizzera Facoltà di Architettura di Mendrisio. Insomma, visto che è trombato come ministro dell’Economia — non so se si è capito — Claudio «Aquilini» Borghi intende essere “ministro in pectore” della Cultura nel prossimo governo gialloverde. In fondo, non ha forse scritto un libro che insegna a fare il dané acquistando opere d’arte? La sciura Valeria neanche questo aveva fatto, era soltanto una sindacalista. Vabbè, meno male che dobbiamo morire.

  15. Nuovo Cinema Nusquamia: Paisà, di Roberto Rossellini


    Per visionare il film, fare clic sull’immagine.

    In un precedente commento, a mo’ di provocazione nei confronti dei sovranisti, per rinfrescare loro la memoria, proponevo l’ascolto della canzone Tammurriata nera (1944). Le immagini a commento della musica e, soprattutto, delle parole sono tratte dal film Paisà, di Roberto Rossellini, che vediamo qui sopra.
    Sarebbe quasi da non credere, ma è vero: l’autore della musica della Tammurriata è lo stesso E.A. Mario che ventisei anni prima aveva composto La leggenda del Piave, di tutt’altro impianto, e significato. Alla Tammurriata nera e alla sua storia (un fatto vero, accaduto all’ospedale di Napoli: le parole sono state scritte a caldo dal direttore amministrativo) abbiamo dedicato (ormai nel lontano 2012) una pagina di Nusquamia: si veda Intermezzo filosofico. Ovvero: la prevalenza del caso sulla necessità.

  16. A Curno, bambini “filosofi” e, soprattutto, omologati al politicamente corretto

    Apprendiamo dalla stampa che il Comune «bello da vivere» per antonomasia (Curno, a 6,5 km da Bergamo: non dovrebbe nemmeno essere un Comune autonomo, a nostro avviso) propone alle famiglie un ambizioso progetto che prende il nome di “Oltre la Scuola”. Così la municipalità intende «rispondere alla variazione dell’assetto orario con conseguente diminuzione dell’offerta formativa», che riguarderà le classi prime dell’Istituto Gatti. [*] Questa è, naturalmente, una scelta di qualità studiata su misura per i bambini (meno male, perché a Curno i cani hanno diritti peculiari, sanciti dalla carta curnense dei diritti del cane), «che non vuole essere solo un riempitivo per quelle ore, ma una preziosa occasione di crescita personale». E te pareva.
    In particolare, l’assessore all’Istruzione prof.ssa Ivana Rota fa presente che il fiore all’occhiello dell’iniziativa del Comune bello da vivere (anzi, bellissimo da che vi si frigge il pollo con la ricetta segreta del colonnello Sanders, grazie alla lungimiranza dell’Amministrazione Serra) è il “Philosophy for children”: un titolo che suona molto più ambizioso che “filosofia bambinesca” (volete mettere l’inglese…). Infatti questo è «un progetto di educazione al pensiero critico», ed è «fruibile a partire dalla scuola dell’infanzia». Ma non aspettatevi che qui s’insegni ai bambini a diffidare delle polpette politicamente corrette abitualmente propinate da assessorucoli e maestrine, come pure ci si dovrebbe aspettare in un progetto di educazione al pensiero critico: un pensiero cioè che mette in discussione qualunque verità, in particolare quelle che pretendono di essere assolute. Lo spirito critico è demistificazione, tutto il contrario che indottrinamento.
    «Attraverso il gioco e il dialogo filosofico» — così leggiamo — i bambini nel corso di nove incontri dovrebbero «migliorare la propria capacità di pensare». Chi dice quale sia il modo migliore di pensare? Le maestre, naturalmente. Questo basta perché noi, laici inveterati e indegni discepoli di Epicuro (Epicuri de grege porcus, così diceva di sé Orazio), ammiratori di Voltaire e a suo tempo lettori attenti di Marx, Gramsci e Marcuse, drizziamo le orecchie e siamo diffidenti dell’iniziativa curnense.
    Ci guardiamo bene, ovviamente, dall’affermare in tono oracolare che questo è un ennesimo tentativo di lavaggio del cervello, di chiara impronta autoritaria. Non lo diciamo, perché il corso “filosofico” ad alliciendos pueros non è ancora incominciato. Però, conoscendo i nostri polli, non possiamo non paventare che l’iniziativa sia finalizzata a piazzare in ambito scolastico, dove quasi nessuno è in grado di difendersi, come del resto già altre volte, una merce politicamente corretta, di chiara impronta boldrinian-femminista. Basta leggere le dichiarazioni congiunte della Boldrina e della sciura Valeria in occasione dell’incontro “Bufale in rete: come riconoscerle”.
    L’analogia con le forzature del regime fascista, giusta la concezione totalitaria dello Stato etico sposata dal regime, soprattutto ai danni della scuola di primo grado, è naturale e scontata (quanto al liceo, il regime non ebbe il coraggio di fare la voce grossa più che tanto, anche perché il liceo era — direi per definizione — la palestra del pensiero critico). Con una differenza però: la qualità del personale insegnante al tempo del fascismo era indubbiamente superiore: il lavaggio del cervello poteva essere da un lato più raffinato, ma a conti fatti era meno devastante. Per quanto fascistizzati, i docenti — a parte i maestri e le maestrine — avevano pudore a farsi complici degli aspetti più buffoneschi del regime.
    Ma ecco la ciliegina sulla torta: udite, udite! Il progetto del Comune di Curno è un progetto “scientifico” ed è stato depositato con un proprio marchio (P4C): tuttavia l’iniziativa non parte da Curno, ma da sedi buracratico-istituzionali altolocate (c’è di mezzo anche l’Università di Bergamo), quelle che ti fanno proposte che, se appena sei un po’ similprogressista “istituzionale”, non puoi permetterti di rifiutare. Tutto a norma di cacata charta, direbbe Catullo.

    ………………………………
    [*] L’Istituto comprensivo Gatti comprende le scuole pubbliche statali primarie e secondarie di primo grado di Curno e Mozzo.

    • La borghesia che non c’è
      Questo articolo è stato scritto nel 1977 su una rivista la cui testata, “Critica sociale”, è un omaggio a quella ‘Critica sociale’ fondata da Filippo Turati, socialista riformista, persona seria e rispettabile, che non esitò a organizzare una dura risposta al cannoneggiamento della folla «che pan domandava», da parte del «feroce monarchico Bava», bel 1989. E così finì in carcere, dove gli era di conforto sapere che l’Italia che lavora (e geme) era dalla sua parte; mio bisnonno andava a trovarlo, insieme con un gruppetto di socialisti bergamaschi.
      Dal 1977 a oggi molta acqua è passata sotto i ponti, e la situazione non è certo migliorata. Leggiamo nell’articolo segnalato «Si è sempre abbondato in borghesie trasformistiche, nazionalistiche, opportuniste (perché fifone) o settarie (perché ignoranti); le posizioni sono sfumate e polivalenti, giustificabili, sempre, mediante acrobazie lessicali — al limite dell’appropriazione indebita — del tipo “liberal-democratico ovvero moderato”».
      La verità è che la borghesia italiana è praticamente scomparsa, l’ignoranza è cresciuta a dismisura, la prevalenza del cretino non è più una tendenza, è un dato di fatto acclarato.
      Non è crollata soltanto la borghesia, che pure aveva un ruolo positivo, che Karl Marx non aveva difficoltà a riconoscerle, nella dinamica di una società in evoluzione positiva (il contrario dell’involuzione) verso forme più mature di produzione dei beni e di organizzazione sociale. Qui, in Italia, è crollato tutto, siamo in fase involutiva. Non fa meraviglia che dilettanti allo sbaraglio pretendano di entrare nella stanza dei bottoni, gente senz’arte né parte come Giggino di Maio, populisti come Matteo Salvini ecc., e che Claudio «Aquilini» Borghi dica di essere un economista e addirittura aspiri alla poltrona di Ministro dell’Economia (pare però, per fortuna che sia stato trombato nelle sue assurde aspirazioni). I giochini di parole ai quali accenna ‘Critica sociale’ sono all’ordine del giorno. Addirittura pretendono di essere maestri coloro che dovrebbero essere rispediti sui banchi di scuola (se appena esistesse una scuola in grado d’insegnare), per imparare ad esprimersi e a ragionare. Ascoltavo ieri nel dormiveglia la Boldrina: un disastro. Ma lei crede di essere chissà che. Pensando che il progetto di Pedofilosofia (Philosophy for Children: sic) che imperverserà a Curno è diretta emanazione della sacra alleanza tra una come la Boldrina e una come la sciura Valeria, c’è di che mettersi le mani nei capelli. Merda! Però Ivana Rota dice che questo è un “fiore all’occhiello”; in linguaggio coglione, si potrebbe dire “un’eccellenza” curnense. Meglio anche del pollo fritto che a Curno si prepara con la ricetta segreta del colonnello Sanders?

      • Sinistra critica permalink

        Ivana Rota vergogna!
        [Non credo che la prof.ssa Ivana Rota consideri vergognosa l’iniziativa di pedofilosofia, tanto più che la pedofilosofia è oggetto di progetti di ricerca dell’Università di Bergamo. Vedi: La “filosofia con i bambini e le bambine” e la pratica della Comunità di Ricerca. Indipendentemente dalle questioni di merito, se l’iniziativa sia boldrinamente corretta, e quanto (in fondo, che importano?) è importante che Curno sia all’avanguardia. Già Curno ha ricevuto la medaglietta di Comune virtuoso, per la sua “eccellenza” negli “stili di vita” (in relazione all’istituzione della Miniera per il riciclaggio degli oggetti usati). Grazie alla pedofilosofia, Curno potrà porre la candidatura all’assegnazione di nuove medagliette. Di bene in meglio. N.d.Ar.]

  17. Ascoltiamo Giorgia Fantin Borghi, «wedding planner» ed esperta di bon ton

    Sì, avete letto bene: di cognome fa Fantin Borghi, è moglie di Claudio «Aquilini» Borghi, è “wedding planner”, cioè, traducendo alla lettera, programmatrice di matrimoni (boh… io avrei in mente una traduzione libera diversa) ed esperta di bon ton: così viene presentata in diversi filmati promozionali, che vi risparmio. Ne trovate a bizzeffe su You tube, perché i Borghi, quando si tratta di pubbliche relazioni, non badano a spese (meglio però se si riesce a piazzarle a titolo gratuito). Secondo i bene informati aspira a diventare la Benedetta Parodi degli eventi matrimoniali. Ha scritto un libro, dal titolo Donne con un diavolo per capello, e sottotitolo: “Come sopravvivere alle crisi di nervi di ogni giorno, mantenendo messa in piega e bon ton”. Un libro da mettere bene in vista nella biblioteca insieme a quello del marito, Investire nell’arte. Il nuovo oro: come salvare i propri risparmi dalla crisi.
    Osservo sommessamente che nei consigli sul modo di bere correttamente il caffè Giorgia Fantin Borghi omette di affrontare la questione: col dito mignolo alzato, o no? I populisti preferiscono berlo con il dito mignolo alzato: Claudia Fantin Borghi potrebbe lanciare la moda e, praticamente, fare una proposta che nemmeno Giorgio Gori e la dott.ssa Serra potrebbero rifiutare. Che bevano anche loro il caffè, corretto grappa, con il mignolo alzato! E, se non lo alzano, intervenga qualcuno delle squadre populiste di pronto intervento ad alzarglielo!

  18. L’ideologia boldriniana della pedofilosofia curnense

    La chiamano Philosophy for Children e, siccome sono “fichi”, si sono scelti l’acronimo “P4C”. Infatti, “P” sta per “Philosophy”, “4” sta per “for” (cioè, “4” in inglese si scrive “four” ma si pronuncia, più o meno, come se fosee “for”) e “C” sta per “Children”. Oh, ma quanto sono fichi! Sì, fichi, anzi fichissimi: fichi col botto!
    Sarà, ma a noi sembra che questi acronimi, peggio ancora questi giochini linguistici — tipo «Curno “in” Comune», che è il titolo del notiziario comunale curnense), “Non solo pane” (insegna delle panetterie “fiche”), “Non solo cazzi” (va bene per tutto) — facciano cacare. Piacciono ai minus habentes, che vorrebbero così darci a intendere una loro presunta dimestichezza con le humanities (altra espressione che, qui in Italia, fa cacare: piace alle maestrine e ai buzzurri che hanno fregola di mostrarsi allineati con il “nuovo che avanza”, e così sperano di gettar fumo sulla loro improntitudine culturale).
    Visto che volevano fare i fichi, avrebbero potuto dire Φιλοσοφία πρὸς τοὺς παῖδας o, con una parola sola, Παιδοφιλοσοφία, cioè Pedofilosofia. E invece no, è piaciuto dire Philosophy for Children. E poco importa che in America la chiamino P4C: fatemi vedere il contratto, con tutti i bolli del caso, dove sia scritto che, a norma di cacata carta, noi si debba sempre omologare tutto al peggio. Ma loro sono orgogliosi di questa cacata di acronimo: tanto che la prof.ssa Ivana Rota ci fa sapere che il marchio è registrato (mamma mia, che pagüra!) e che il pro[g]etto — ça va sans dire — è “sc-scientifico” (così diceva Vittorio Gassman, balbuziente per ragioni di copione, del suo piano di scasso del caveau di una banca, nel film I soliti ignoti: «è sc-scientifico»).
    Senza contare che, a parte il fatto che questa baggianata della P4C (merda agli acronimi, fetida trippa buona tutt’al più per il gatto padano!) è in Italia pretesto per scorribande scolastiche politicamente corrette ormai da qualche anno, una cosa è evidente: a Curno, che ha un’amministrazione comunale ancorata all’eredità vincolante della dott.ssa Serra, tuttora consigliere in posizione rigorosamente α-dominante (guai alla dott.ssa Gamba, se scantona! l’Amministrazione non per niente è serrano-crurale, mica crurale e basta), si sono buttati a corpo morto sulla pedofilosofia, in ottemperanza alle cogenti indicazioni della Boldrina, illustrate nell’articolo di Repubblica qui sopra segnalato, e come evidenziato nell’articolo di Nusquamia A Curno, bambini “filosofi” e, soprattutto, omologati al politicamente corretto.

    • P.S. – Siamo curiosi di sapere chi sarà il pedofilosofo chiamato a indottrinare i bambini curnensi.

    • L’appello della Boldrina per una scuola boldrinamente corretta

      Poteva l’amministrazione serrano-crurale restare indifferente al grido di dolore lanciato dalla Boldrina? Certo che no. I conti tornano, devono tornare. Ohibò. Ed eccovi servita l’iniziativa della Pedofilosofia, fiore all’occhiello dell’amministrazione serrano-crurale.

  19. Così scrive Elio Lannutti, senatore M5S, “vicino a Grillo
    A meno che non scriva per conto di Grillo, il suo destino è segnato

    Il messaggio del senatore M5S, consegnato a Facebook, è di ieri 21 maggio 2018. A meno che Lannutti non scriva per conto di Grillo, il suo destino è segnato: Casalino&Casaleggio associati (Casalino, ricordo, è l’ex di Grande fratello, potentissimo capo della comunicazione pentastrale) pronunceranno l’anatema. Peccato, perché Lannutti, a differenza della maggior parte dei grilleschi, non è un dilettante allo sbaraglio. Ha combattuto una battaglia contro il sopruso bancario dell’anatocismo per conto dell’Associazione Difesa Utenti Servizi Bancari, Finanziari, Assicurativi. Non credo che abbia ottenuto granché, ma ha combattuto. L’anatocismo [dal gr. ἀνατοκισμός, composto di ἀνα-, “di nuovo” e τοκισμός, “usura”] è quel meccanismo di usura sull’usura che, a norma di cacata carta, produce nuovi interessi sugli interessi scaduti e non pagati.

  20. Osservatore permalink

    Trovo interessante e condivisibile quanto scrive Enrico Mentana su Facebook.

    “È evidente che il problema vero con il professor Conte non è la verifica ai raggi X del suo curriculum, ma il fatto che sia stato necessario andare a leggerlo per sapere chi fosse il candidato premier di una coalizione politica. È questa la vera anomalia, affidare la guida di un governo di forte rottura politica e economica a una figura tecnica, non eletta, non conosciuta e che non ha avuto voce in capitolo nella stesura di un programma-contratto così dirompente e vincolante. Il resto viene dopo: se il candidato è sostanzialmente sconosciuto è ovvio che il suo operato venga verificato a partire dal curriculum, che certo non era stato compilato in vista di un inimmaginabile futuro istituzionale. Insomma, se Conte dovesse saltare non sarebbe mai a causa dei soggiorni estivi alla NYU (quelli al massimo sarebbero uno dei pretesti) ma semmai per la fragilità della sua candidatura”

    • Il prof. Conte, il prof. Savona e… il gatto padano

      Certo, Mentana dice bene. Mi permetto soltanto di aggiungere due osservazioni:
      a) Le opacità del curriculum del prof. Conte dovrebbero imbarazzare, a rigor di logica, soprattutto i grilleschi i quali hanno gracidato, belato, urlato “onestà, onestà!”, “trasparenza!”; ma più ancora dovrebbero essere imbarazzati per aver proclamato “morte alla casta!”, dovendo poi difendere uno da loro “nominato” che altri non è che un giurista (ahi, ahi…) ambizioso con tanto di marchio istituzionale, evidentissimo, a norma di cacata casta (non è un refuso: ho scritto “cacata casta” di proposito), e con un curriculum vitae opaco: ma questo, come dice Mentana, in fondo è il dato meno importante.
      b) Un governo guidato dal prof. Conte si presenta altamente improbabile soprattutto perché la personalità forte sarebbe il prof. Savona, che secondo le indicazioni dei due pasticcioni (di Maio e Salvini) dovrebbe essere il ministro dell’economia. Ora, il prof. Savona, a differenza di Claudio «Aquilini» Borghi che si autoproclamò ministro in pectore dell’economia, e che è stato trombato senza tanti complimenti, è invece una persona seria. Tant’è che abbiamo forti dubbi sull’eventualità che il prof. Savona acconsenta a far parte di un governo di dilettanti allo sbaraglio. Ora, il punto è che Savona, invece di trascinare l’Italia nel baratro, qualora avesse carta libera, potrebbe indicare soluzioni ragionevoli; ma nello stesso tempo, com’è ben noto agli addetti ai lavori, è uno spregiatore della mistica dell’euro. Questo non piace ai mongo-tecno-euro-burocrati; così come, a ben vedere, né i grilleschi, né i salvinisti potrebbero mai accettare di ricevere il “la” da parte di una persona intelligente.
      Insomma, Salvini ha fatto il nome di Savona ben sapendo (cioè lui non lo sa, gliel’ha detto Giorgetti) che il vero problema non è il prof. Conte, ma il prof. Savona. Ma allora, perché sono stati fatti i nomi di Conte e Savona? In vista della prossima mossa: elementare, Watson. Forse, per togliere Savona e metterci al posto suo Giorgetti. Tanto più che, come dicevo, Savona non accetterebbe di far parte di un governo di sbandati, che invece a prof. Conte andrebbe benissimo.

      Un punto a sfavore di Savona, nell’ottica del gatto padano, sarebbe inoltre il suo essere nato a Cagliari. Com’è noto, il gatto padano è parecchio intransigente; non ha avuto peli sulla lingua, quando ha scritto:«Noi i maestrini sardAgnoli li prendiamo a plocade». Però, a dire il vero, non credo che questo ostracismo del gatto padano sia veramente rilevante negli ambienti che contano, tanto da lui agognati. Tutt’al più bisognerà avvertire il prof. Savona del pericolo di lapidazione, qualora mettesse piede a Curno, per via dei sassi, di fiume e di cava, che il gatto padano porta nel suo zainetto, per ogni evenienza di sassaiola all’indirizzo dei sardagnoli. Ma non vedo come il prof. Savona possa correre questo rischio, non credo che potendo nutrirsi di piatti raffinati a base di pesce debba venire a Curno a mangiare il pollo fritto cucinato con la ricetta segreta del colonnello Sanders (una delle “eccellenze” di Curno, insieme con la pedofilosofia ecc.).

  21. Il prof. Conte ha ricevuto l’incarico, ma il suo governo rimane improbabile

    Mattarella ha ricevuto una proposta che non poteva rifiutare, o ha giocato d’astuzia, assegnando l’incarico a Conte nella speranza che “vada a sbattere” immediatamente, e che non se ne parli più? Per Mattarella — e lui lo sapeva benissimo — era pronta l’accusa di golpismo, se non avesse accettato la proposta che lui non poteva rifiutare, e che non rifiutò. Si è presa paura. Però: a) ha preferito dare l’incarico quando i cancelli dei mercati finanziari sono chiusi; b) ha imposto a Conte opportuni paletti europeisti, per contenere il ruggito dei mercati finanziari, paletti che Conte ha “sussunto”, come risulta dalla dichiarazione fatta poco prima delle 20 (cioè poco prima dei telegiornali serali).
    Conte ha una gran voglia di accettare, chiaro: questo è il suo momento e non vuole perdere l’occasione, accettando non ha nulla da perdere. Uno che invece avrebbe molto da perdere se accettasse di prendere l’imbeccata da Di Maio e Salvini è il prof. Savona, che ha un onore da difendere: a meno che non riesca ad essere lui il padrone del governo. Non sarebbe neanche male, se ci riuscisse, perché la sua impostazione culturale è agli antipodi del populismo ignorante: in pratica un governo dominato da Savona andrebbe nella direzione di quell’oligarchia da tempo teorizzata, indirettamente, da Eugenio Scalfari; e ultimamente difesa anche apertamente. Noi ovviamente continuiamo ad essere favorevoli a un governo improntato al socialismo scientifico, per il quale — ne siamo perfettamente consapevoli — non si dànno oggi le condizioni. Ma una dittatura di Savona potrebbe agire da catalizzatore.
    Savona accetterà di far parte di un governo di disperati, ovvero mostrerà di accettare, sedendosi da pari a pari (“uno vale uno”) con i disperati, ma con il retropensiero di metterli in riga? oppure assisteremo immediatamente a un rovesciamento del tavolo?
    Salvini e Di Maio, bambini capricciosi (“Facciamo che io…”; “No, e io allora? Facciamo invece che io…”) avevano “trovato la quadra” (direbbe Bossi) scrivendo un programma con la consulenza di Claudio «Aquilini» Borghi, in modo da dare un contentino alle masse populiste, da passare a scatola chiusa a un governo formato da una squadra di quaquaraquà. Ebbene, Claudio «Aquilini» Borghi, presentato a destra e a manca come «ministro in pectore dell’Economia» è stato trombato (vabbè, stava sulle palle a Giorgetti, è storia vecchia) e loro stessi, Giggino il ridanciano e il “comandate” con le felpa a caratteri mobili, potrebbero trovarsi nella condizione di fare loro, proprio loro, i quaquaraquà. Nemesi storica? Astuzia della Storia?

  22. Intermezzo di piacere sinestetico
    Una risposta al Bergamo pride? Ce ne guardiamo bene

    Questa “ballerina di Siviglia” (in realtà la ragazza era di Treviso) è una delle tante invenzioni di Gianni Boncompagni: era inserita, come piacevole intermezzo, in tutte le puntate di un programma televisivo di vent’anni fa, Macao, del quale Boncompagni era l’ideatore, nonché regista, scenografo e autore delle canzoni.
    Nel presentare la ballerina di Siviglia, Boncompagni, sapiente investigatore degli anfratti dell’animo umano e maestro della comunicazione, creava un’atmosfera di voluttà epicurea, e un’aspettativa di piacere sinestetico, ancorché il messaggio evocatore di tale voluttà passasse soltanto per i sensi della vista e dell’udito (mancano l’olfatto, il gusto e il tatto).
    Boncompagni, come Paolo Villaggio (e, prima di loro, il cantante Gianni Meccia che scrisse la canzone Odio tutte le vecchie signore), detestava le vecchie babbione, perciò non perdeva occasione di provocarle, mediante messaggi politicamente scorretti, come questo. Ma perché la ballerina di Siviglia sarebbe politicamente scorretta? Elementare: perché concepita dalla fervida mente del Boncompagni per piacere al maschio. Eppure, se si dovesse far retta alle vecchie babbione, alle femministe e agli Lgbt, il maschio non deve godere come a lui piace, tutt’al più come piacerebbe a loro. In ogni caso, non dovrebbe mai godere troppo. Il bello della trovata di Boncompagni sta proprio qui, nel fare una mossa di contrasto beffardo al tetro progetto di castrazione delle femministe ecc., senza darlo troppo a vedere, giusto quel tanto per indispettirle, come è proprio dell’ironia che vuol essere fondamentalmente dissimulazione.
    Se la ballerina di Siviglia era politicamente scorretta nel 1977, figuriamoci oggi. La dott.ssa Serra non apprezzerebbe, Asia Argento nemmeno, figuriamoci la Boldrina. Neanche il gatto padano apprezzerebbe. Perciò pubblichiamo il filmato qui sopra.

    • Paolo Villaggio zittisce la vecchia

      Dicevamo che Villaggio non amava le vecchie signore: qui sopra abbiamo un saggio della sua insofferenza. Peccato non aver trovato quello spezzone in cui estemporaneamente, rivolgendosi a una signora del pubblico, che aveva detto chissà che, se ne uscì, al solito: «Ma chi è quella vecchia rimbambita?». Poi si seppe che era una parente del potentissimo Pippo Baudo, la quale aveva ricevuto un biglietto gratuito in omaggio, per assistere allo spettacolo del quale Baudo era il presentatore.

  23. Antonella da Urbino permalink

    @Aristide

    Vedi:

    Per leggere l’articolo, fare clic sull’immagine.

    • Esistono anche i giornalisti bravi e — qualità ancor più rara — intelligenti

      Mattia Feltri, l’autore del brano da lei segnalato, ha preso il posto, nel quotidiano La Stampa, di Massimo Gramellini che è passato al Corriere della Sera. Ci ha perso il Corriere della Sera, ci ha guadagnato la Stampa. A differenza di Stefano Feltri, che scrive sul Fatto quotidiano, ma non è figlio di Vittorio Feltri. Mattia Feltri è veramente figlio di Vittorio, con qualche difetto in meno e qualche pregio in più. La moglie è Annalena Benini, che scrive per il Foglio, e della quale abbiamo ricordato una bellissima inchiesta sulle donne ucraine che lasciano i figli in patria per accudire i figli dei borghesi italiani, o i nonnetti sporcaccioni. Si veda Onore al giornalismo vero. A sua volta Annalena Benini è nipote di Daria Bignardi, ma non è colpa sua.
      Su Mattia Feltri si veda inoltre la bella intervista Se dice ‘Foglio’ gli brillano gli occhi.
      Mattia Feltri e Annalena Benini sono entrambi intelligenti: una coppia antitetica a quell’altra, della quale ci siamo occupati proprio in questa pagina, formata da Claudio «Aquilini» Borghi (noto battutista, presenza abituale nell’orrido programma TV “La Gabbia”, già Ministro in pectore dell’Economia, in quota Lega) e Giorgia Fantin Borghi (“wedding planner” ed “esperta di bon ton”: non è una presa per il culo, è lei che ama presentarsi così).

      P.S. – In realtà Massimo Gramellini sarebbe anche una brava persona. Non credo che, come giornalista, abbia mai fatto markette enogastronomiche e che come uomo (e come giornalista) sia mai stato una carogna (a differenza di molti altri uomini e giornalisti). Ma è deamicisiano, forse un po’ troppo ambizioso e sicuramente affetto da una pericolosa propensione al conformismo buonista. Ma ha delle qualità: a differenza degli ambiziosi senza qualità (insopportabili) riesce a farsi perdonare, anche quando si fa prendere a pesci in faccia da una sciacquetta come Ambra Angiolini, convertita (per sindrome di Stoccolma) al femminismo e al politicamente corretto. Invece era suo dovere mettere in riga e punire la femminista impudica, sfrontata e maleducata.

  24. Il curriculum vitae del prof. avv. del Pop. [= popolo] Giuseppe Conte è prolisso? Ah, sì? Oh beh!

    Si è ironizzato sul curriculum vitae “pompato” del Presidente del Consiglio incaricato prof. avv. Giuseppe Conte, dove niente è trascurato, purché abbia rilevanza burocratica a norma di cacata carta: per esempio, nell’estate 2012, quand’era in vacanza a New York con la famiglia, si è recato alla biblioteca della New York University, e questo fa punti; ancora prima, nel 1993 si era iscritto a un corso di apprendimento del tedesco all’’Internationales Kulturinstitut di Vienna, e anche questo fa punti in un curriculum scientifico-giuridico; ecc: si veda Un fact checking sul curriculum di Giuseppe Conte.
    Molta ironia è stata versata sulle 28 pagine del curriculum. Oh, santa ingenuità! Ma non è così che fan tutti? Tant’è che ci siamo quasi pentiti di aver ironizzato sul curriculum vitae del dott. Sebastiano Antonio Purcaro (si veda I Conti senza patto: ahinoi, un nuovo convegno di BergamoEuropa, già Segretario generale della Provincia di Bergamo, promotore e coordinatore del progetto tecno-burocratico Coa, al quale il Comune di Curno aderì entusiasticamente (chissà perché, pare che non stia bene ricordarlo: «Roba vecchia!», dice la prof.ssa Morelli, e chiude la questione). Il curriculum del dott. Sebastiano Antonio Purcaro è depositato nel sito della Provincia di Bergamo (Curriculum del Segretario generale).
    Di nuovo c’è che nel frattempo Purcaro è stato nominato Segretario Generale della Città metropolitana di Milano: ma il curriculum è stato callidamente asciugato, le pagine da 24 sono passate a 19 (vedi Curriculum di 19 pp.); della Coa non si parla più ma vi si legge — ancora — che Sebastiano Purcaro fu «Cultore della materia di Diritto Regionale presso la Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Bergamo – prof. Silvio Troilo» nel 2005-06, «Cultore della materia di Istituzioni di Diritto Pubblico» negli anni 2006-2009 e «Cultore della materia di Diritto Costituzionale e di Diritto Regionale».

    Comunque, fa specie che il prof. Conte si sia definito “avvocato del popolo”, dando per inteso che lui ami il popolo. Lo amava anche quando scriveva il curriculum? L’impressione è che scrivendo, per esempio, del suo ingresso nei locali dell’Università di New York e di quel corso di tedesco a Vienna avesse un gran concetto di tutto quel che faceva e avrebbe fatto nella vita: “determinato” e ambizioso, dunque. Un po’ come Di Maio, che dice «Sto scrivendo la Storia». Sarà, ma le persone determinate e ambiziose che abbiamo incontrato sul lavoro e nella vita, quasi tutte, davano molto a desiderare quanto a educazione, gentilezza e altruismo.

  25. Un “evento” sponsorizzato dall’Aegee, consigliato da MarcoBattaglia
    Lo spauracchio di Savona non fa un baffo al pasdaran curnense della mondializzazione


    MarcoBattaglia invita i “ggiovani” a partecipare, perché l”evento” si prospetta ‘stupefacente’ (“amazing”: ‘amaze, ‘amazement’ = stupore): il festino (‘party’) della matricola (‘freshman’).

    L’Aegée (Association des États Généraux des Etudiants de l’Europe), sezione di Bergamo, va avanti per la sua strada, imperterrita ed ipercinetica: tutti insieme allegramente verso il baratro, a cavalcioni della tigre mondialista! L’Aegée, la lobby degli studenti ed ex studenti Erasmus/Orgasmus, persegue, neanche tanto misteriosamente, l’ideale di un inebetimento permanente: un torpore venato di narcisismo che consenta ai “ggiovani” di transitare per le ore di una vita pochissimo eroica e senza ideali, di spasso in spasso, con una birra in mano (il “pub crawling”), poco curandosi della noia, della desolazione, della grevità di un’esistenza di merda in una società di merda. Tutto il contrario dell’engagement, dunque, dell’ideale umanitario e umanistico: con l’Aegée, la vita è intesa come un viaggio intorno al proprio ombelico.
    Ricordiamo che MarcoBattaglia è stato “Responsabile Fund Raising” (sic!) dell’Aegée-Bergamo nel periodo 2014-15 e Responsabile delle Attività culturali nel periodo 2016-17, sempre per l’Aegée. Si dichiara “laureato in Relazioni internazionali” e, come tale, intende dispiegare la propria attività di consigliere comunale così da dare a Curno un respiro internazionale. Cura la comunicazione istituzionale del Comune facendo abbondante ricorso a punti esclamativi ed emoticon.


    Nel video che — purtroppo — è stato rimosso dal sito di ‘Vivere Curno’, MarcoBattaglia, “determinato” e molto sicuro di sé, come Giuseppe Conte quando scriveva in 28 pagine il proprio curriculum vitae, promette (siamo in campagna elettorale) di dare «un taglio internazionale all’Amministrazione di Curno». Che il pollo fritto con la ricetta del colonnello Sanders (un’americanata) sia un merito di MarcoBattaglia? Non credo, il merito è tutto della dott.ssa Serra che, nell’ultimo scorcio del suo esercizio della funzione di sindaco, pose le basi per questa importante novità (il pollo fritto ‘à la’ Sanders, che avrebbe fatto di Curno un paese più che bello da vivere: anzi, squisito, eccellente (tanto più che presto assisteremo a Curno a “buone pratiche” di pedofilosofia). Qui sotto, il colonnello Sanders mordicchia il suo famoso pollo fritto, americano e mondialista, degustabile anche a Curno.

    • Altri universitari

      Questa canzone, Greenfields, era cantata da un gruppo di studenti universitari iscritti non all’Aegée ma alla confraternita studentesca Phi Gamma Delta, perciò il loro gruppo musicale prese il nome di “The Brothers four”. Qui sotto, ancora i Brothers Four cantano Greensleeves (della stesa canzone c’è anche una bellissima interpretazione di Joan Baez), alla Ucla, l’Università dove il gatto padano curnense, grande esperto di sistemi universitari a livello mondiale, vorrebbe mandare a studiare gli studenti di Curno, paese “bello da vivere” della pianura bergamasca. La registrazione dovrebbe essere del 1967: si noti la pulizia degli studenti: niente facce ferocemente “determinate”, niente tatuaggi… Altri tempi (non so se fossero migliori, c’erano allora all’orizzonte problemi gravissimi, la guerra in Vietnam; ma erano problemi veri, e tragedie, non erano farse).

  26. Fichitudine latineggiante e autosputtanante del gatto padano
    Uno spasso! Ma lui, se noi ci divertiamo, s’ingriffa [*] e soffia. Scrive che il nostro nobile diario sarebbe una latrina

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    Per fare il fico, il gatto padano scrive “naturaliter”, in latino. Lui voleva dire “naturalmente”, nel significato di “ovviamente”: ma ‘naturaliter’ significa un’altra cosa.
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    Da un po’ di tempo il gatto padano si trattiene da un uso smodato degli acronimi, (forse da che abbiamo dimostrato che l’uso degli acronimi è prerogativa dei buzzurri?), come faceva ai tempi d’oro, quando si firmava Straliccio e lordava i diari reziali altrui. Adesso ne ha uno tutto suo, dove distilla cattiverie, lancia una fatwa di lapidazione (vedi p. 543 del diario felino: «noi i maestrini sardAgnoli li prendiamo a plocade»), plasma ipotesi di trasgressione del dettato delle cacate carte e agita lo spettro della delazione (p. 370 del diario felino: «al termine di questa ricostruzione segnaleremo la vicenda alla Corte dei Conti per l’enorme danno erariale che il loro comportamento e quello eventuale dei successori hanno indotto contro i cittadini).
    Con gli acronimi adesso ci va piano, anche se poi — è più forte di lui — qualcuno gli scappa ancora, come quando scrive UU.TT. per dire Ufficio tecnico (insiste, anche se gli abbiamo spiegato, più di una volta, che semmai UU.TT. vorrà dire “Uffici tecnici”, al plurale). In compenso, da un po’ di tempo, rivolgendosi ai paesani (con l’ambizione però di arrivare a Bombassei), il gatto ricorre a paroline latine: tanto perché si sappia quant’è fico: agrimensore, ma fico. Una di queste è l’avverbio naturaliter. E lo usa a sproposito, c’era da aspettarselo. Si veda per esempio la p. 703 del diario felino dove, commentando la traslazione della salma di Giovanni XXIII a Bergamo, scrive: «Naturaliter non poteva mancare il camioncino del Gruppo Campanari Bergamo». Ora, il senso della frase, e la collocazione dell’avverbio all’inizio della medesima ci fanno capire che il gatto intendeva dire (facendo il fico), “naturalmente”, nel significato di “ovviamente”. Ora, in italiano “naturalmente” ha due significati:
    1. “In modo conforme a natura, o indole” (per esempio, “Il lupo della Tasmania è naturalmente aggressivo”).
    2. “Ovviamente”, “conseguentemente” (per esempio, “Naturalmente, mi ha risposto picche”).
    Ora, l’avverbio latino naturaliter risponde soltanto al significato 1. dell’italiano “naturalmente”. Come si dirà allora “naturalmente” nel significato 2? Si dirà:
    a) nempe, nimirum, videlicet, scilicet, se vogliamo dire “ovviamente”;
    b) oppure, se si vuol introdurre la notazione di una conseguenza stretta e necessaria, si volgerà la frase, introducendo una subordinata: consentaneum est…, ex ipsa natura rei sequitur…

    Si veda G.B. Bonino, Piccolo antibarbarus, Loescher, Torino 1961, p. 181, un libro scritto a monito degli studenti sui tranelli dei “falsi amici”. Analogamente, in un libro ad uso degli studenti tedeschi (Antibarbarus der lateinischen Sprache, Frankfurt 1843) si legge a p. 515 il seguente esempio: Democritus luminibus amissis alba scilicet [natürlich] et atra discernere non poterat, cioè: “Democrito, dopo che ebbe perso la vista, naturalmente non era in grado di far differenza tra il bianco e il nero”.

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    [*] Vedi la canzone di Roberto Murolo, Je te voglio bene assaje: «Pecche’ quanno me vide / te ‘ngrife comm’ ‘o gatto…».

    • Un giudizio del gatto padano su Paolo Savona: ma è proprio suo?

      Abbiamo letto a p. 706 del diario felino: «Il professor Paolo Savona è un eccellente economista ed è un galantuomo come pochi. […] Quello che abbiamo visto in queste giornate non è il tentativo di portare Paolo Savona al Mef ma lo scrupoloso piano di fare di un celebre economista un kamikaze che esplode davanti alla figura del Capo dello Stato». Quindi, un po’ oltre: «Il professore sardo, già ministro e stretto collaboratore di Guido Carli…».
      Siamo rimasti allibiti. Come, un giudizio positivo su un economista di quelli che il gatto, con acuta motivazione mongo-identitaria, prenderebbe a plocade? Qui addirittura Savona è chiamato “sardo” e non “sardagnolo”. Inoltre il pezzo è scritto anche in buon italiano, vi si leggono una o due considerazioni intelligenti. Straordinario!
      Poi abbiamo fatto una verifica. Abbiamo scoperto che il pezzo è copiato & incollato dal diario di rete “formiche.net”, ma il gatto si è dimenticato di citare la fonte. Si veda Ora basta, sono gli italiani ad essere arrabbiati!.
      In ogni caso è un bel progresso, rispetto al tempo in cui il gatto copiava sistematicamente e non dichiarava mai la fonte. Adesso càpita che si dimentichi di farlo. Oppure gioca sull’ambiguità, come quando gli articoli sono a firma congiunta, poiché portano in calce due marchietti: sono il gattoleone (questo è lui) e una spirale ipnotizzatrice. Che paura!

      • Cartaginese permalink

        Savona cita sant’ Agostino: ” di parlare qualche volta mi sono pentito, di stare zitto mai “.

        • Sant’Agostino a Cagliari

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          Affresco di sant’Agostino nell’ambulacro della Chiesa dell’Abbazia di sant’Antimo, lungo la via Francigena. Il santo è nordafricano, perciò nell’iconografia della Chiesa è rappresentato di pelle assai scura (“nègher”).
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          Sant’Agostino era nato a Tagaste, in Algeria. Soggiornò a Milano, dove fu maestro di retorica e maturò la conversione al cristianesimo. Viveva more uxorio con una giovane donna, dalla quale ebbe un figlio, cui impose il nome di Adeodato. Dopo la conversione, rimandò la donna in Africa, e si trasferì con la madre, santa Monica, e il figlio nella solitudine di Cassiciacum, che viene identificato con l’attuale Cassago Brianza. Qui profuse i tesori del suo ingegno a vantaggio e gloria della Chiesa, tanto che ne sarebbe divenuto “dottore”. Tornato in Africa, divenne vescovo di Ippona, in Algeria, dove morì nel 430, quando la città era assediata dai Vandali. In quanto ariani (cioè cristiani eretici, come i Longobardi, prima della conversione) i Vandali non vedevano di buon occhio la comunità agostiniana, [*] che decise di portare le spoglie di sant’Agostino e di altri vescovi africani a Cagliari, per nasconderli nella cripta di una chiesa situata fuori del quartiere fortificato, che ancor oggi prende il nome di Marina, ancorché non più murato (Cagliari constava di quattro quartieri nettamente separati, perciò il nome latino, Karales, è declinato al plurale, come Syracusae, come Venetiae). Ma i Vandali erano presenti anche a Cagliari, perciò il culto di sant’Agostino fu da principio segreto, finché la città passò ai saraceni che, non essendo ariani, erano più tolleranti. Cominciò così a Cagliari il culto di sant’Agostino, e la chiesa che ne conservava i resti cominciò a diventare meta di pellegrinaggi anche dall’Italia. Nel 722 il re longobardo Liutprando (i longobardi si erano nel frattempo convertiti, su impulso della regina Teodolinda) pagò un riscatto ai saraceni e fece traslare le spoglie di sant’Agostino a Pavia dove si trovano tuttora (ma una parte sarebbe rimasta a Cagliari, secondo alcuni studiosi e sedicenti studiosi).
          Nel XVI secolo, sotto il regno di Filippo II di Spagna (figlio di Carlo V, dunque un Asburgo), in occasione dei lavori di ammodernamento della cinta muraria di Cagliari, la Chiesa e il convento degli Agostiniani che erano sorti nel frattempo intorno alla vecchia cripta furono abbattuti, ma la cripta fu conservata e ristrutturata come una cappella ipogea, cioè sotterranea, oggi accessibile attraverso una scala a chiocciola dall’androne di un palazzo ottocentesco.


          Veduta di Cagliari in una stampa tedesca del 1572, al tempo in cui fu abbattuto il convento degli Agostiniani. La cripta si sant’Agostino si trova a ridosso, subito a ovest, della cinta che separa il quartiere di Marina (al centro, in basso), dal quartiere di Stampace (a sinistra); gli altri due quartieri prendono il nome di Castello (al centro, in alto) e Villanova (a destra). Qui sotto, la cappella ipogea costruita per volontà della marchesa di Villacidro in luogo della cripta che conservava le spoglie di sant’Agostino. Nel paliotto (in basso, sotto il bassorilievo che rappresenta sant’Agostino fra due angeli) si legge nelle due lapidi la seguente iscrizione: «Locum hunc qui Sacros Divi Augustini cineres ab Africa per Beatum Fulgentium Episcopum Ruspensem traslatos usque ad barbarorum devastationem diu exceperat, anno MDCXXXVIII Domna Elena Brondo et Gualpes, Marchionissa de Villacidro, in tanti Ecclesiae Doctoris memoriam et suae erga Divos et patriam testimonium in sacellum erexit». [**]

          Savona, i modelli econometrici e sant’Agostino – Paolo Savona, come abbiamo avuto modo di scrivere più d’una volta, è tutt’altro che un quaquaraquà. Se il battutista Claudio «Aquilini» Borghi ha scritto un libro su come fare dané investendo in quadri, croste comprese, Paolo Savona ha fatto parte con Antonio Fazio del gruppo di lavoro che ha creato il primo modello econometrico dell’economia italiana — l’M1BI (1970) — per conto del Servizio studi della Banca d’Italia. Poi il modello è stato via via aggiornato: l’M2BI è del 1979, l’BIQM del 1986; mi domando come stiano le cose adesso, e che cosa pensi Savona dei modelli disponibili o ancora da mettere a punto. Spero anche che alla loro stesura collaborino i migliori fisici e i migliori ingegneri, perché l’economia è una cosa troppo seria per essere lasciata in mano agli economisti (quanto ai giuristi, al massimo si chiederà loro un parere, poi vanno messi alla porta: guai a farli entrare nella stanza dei bottoni, ché ben presto la intaserebbero di cacate carte, non ci si capirebbe più niente). Non dimentichiamo che i figli di puttana, gli operatori dei mercati finanziari, si rivolgono ai fisici e agli ingegneri, pagandoli lautamente e sottraendoli a seri centri di ricerca universitari, per mettere a punto modelli di sodomizzazione — micidiali — dei contribuenti e, in generale, degli onesti lavoratori; mi sembra evidente che non possiamo permetterci il lusso di combattere gli squali della finanza con le trovate dei giuristi.
          Dunque, Savona potrebbe mettere su una squadra di tecnici di tutto rispetto e, in un congruo arco di tempo, fare le opportune verifiche e simulazioni, fino anche a pilotare l’uscita dell’Italia dall’euro, quando il modello ne mostrasse la convenienza e la praticabilità. Sì, ma avrebbe bisogno di quella squadra e, soprattutto, come scrivevamo nell’articolo precedente, dovrebbe avere poteri dittatoriali, sia pure pro tempore. Dovrebbe disinnescare i deliri di potenza di Salvini e Di Maio, sparare a zero contro la prevalenza del cretino, invitare affare in culo quelli dell'”uno vale uno”, strafottersene del populismo, anzi dovrebbe creare un clima di terrore nei confronti degl’impiegati con reddito fisso e garantito, “a prescindere”. Insomma ci vorrebbe la dittatura.
          Invece l’uso furbesco del nome di Savona come spauracchio, con un Savona facente funzione di cameriere di Salvini non serve a niente: non all’Italia, non a Savona, neanche a Salvini e a Di Maio, che dovrebbero ben presto fare i conti con la folla inferocita. La storia non ci ha insegnato niente? Per esempio, il passaggio dai bagni di folla a Piazza Venezia alla pensilina di piazzale Loreto, non ci dice proprio niente? E, soprattutto, possibile che Savona non abbia fatto questi pensieri? Certamente li ha fatti. Dunque, che cosa aveva in mente?
          Per pare mia, sono consapevole di sapere ben poco della verità che varrebbe la pena sapere, intorno a tutta questa faccenda; so che prima Di Maio e Salvini dicevano che un tecnico, loro, per carità, mai e poi mai, e che ci vuole un politico, poi che le poltrone non contano, perché invece il “contratto” è tutto, poi ancora scelgono un signore politicamente nessuno come il prof. giurista e avv. del Pop. Conte, infine dicono che Giorgetti (che è una delle due uniche persone intelligenti della Lega) non va bene come ministro dell’Economia, che vogliono Savona o morte. Non so che cosa avesse in mente Savona, anche se so abbastanza bene che cosa pensare di Di Maio, di Salvini e dei desperados che ambiscono a fare i loro reggicoda. So che cosa pensare dei sentimenti della folla: ce lo insegna la Storia e ce l’insegna Orazio (Odi profanum vulgus et arceo). Tuttavia, pur consapevole che mi mancano molte tessere del mosaico, oso pensare che Savona avrebbe fatto migliore figura se si fosse presa la responsabilità di dire: “Io sono intelligente e io ho le competenze tecniche, proprio per questo non poso stare alla pari con questa manica di puzzoni”. Invece ha lasciato aperto uno spiraglio: a che cosa? Che Savona giocasse un’altra partita? Non è bello, però.
          Savona che ha avuto una formazione cattolica, e che ha appena citato sant’Agostino, forse in ricordo della cripta di Cagliari, fa bene — anzi, fa benissimo — a rivolgere il pensiero a sant’Agostino: lo faceva anche Galileo (si veda quanto scrive in proposito a Cristina di Lorena). Però proprio sant’Agostino disse di non apprezzare questo modo di affrontare i problemi in discussione, un modo che lui chiama “Tuscum iurgium” e ciò avviene «cum quaestioni intemptatae non eius solutio, sed alterius obiectio videtur mederi» (Contra Academicos IV, 9). Cioè in pratica, noi si voleva sapere se lui intendeva portare l’Italia fuori dall’euro, e con quali mezzi. In particolare, rispondendo a quei puzzoni o comunque trattando da pari a pari con quei puzzoni? Ci aspettavamo una risposta, Savona ha parlato d’altro.

          P.S. – Adesso che ho dato al gatto padano queste succose informazioni su Cagliari e sant’Agostino, spero proprio che, livido d’invidia e congestionato dall’odio, non gli venga in mente d’imbarcarsi su un volo low cost con destinazione Cagliari, per poi precipitarsi al sacello di sant’Agostino eretto dalla marchesa di Villacidro e fare uno scempio del locale ipogeo a suon di «plocade».

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          [*] Agostino si era adoperato parecchio contro gli eretici; in particolare contro gli ariani aveva scritto Contra sermonem Arianorum e Contra Maximinum haereticum episcopum Arianorum.
          [**] “Questo luogo che a lungo aveva accolto, fino all’invasione dei barbari, le ceneri sacre di sant’Agostino trasportate dall’Africa per interessamento del Beato Fulgenzio, vescovo di Ruspe, fu riedificato come cappella nell’anno 1638 da donna Elena Brondo y Gualbes, marchesa di Villacidro, in memoria di così grande dottore di Santa Chiesa e a testimonianza di sé [= della marchesa] a cospetto dei Santi e della patria”.

          • Modelli econometrici

            Copio & incollo dai miei appunti per un libro alla cui stesura ho contribuito qualche anno fa:

            Il modello econometrico dell’economia italiana nasceva sulla scia del primo modello econometrico dell’economia mondiale, elaborato da Franco Modigliani e pubblicato nel 1953. Infatti, nel 1966, il Governatore della Banca d’Italia, Guido Carli, chiederà a Modigliani di guidare gli economisti della Banca d’Italia nell’elaborazione del modello che passerà alla storia come “Modello M1 BI” (dove M1 significa “primo modello” e BI significa “Banca d’Italia”). Modigliani accetta la proposta con grande soddisfazione. Scrive nelle sue Avventure di un economista, cit.: «Pensavo, giustamente, che sarebbe servito a rinsaldare i miei rapporti con l’Italia [… e a] stabilire duraturi legami di amicizia con numerosi “giovani” del Servizio Studi e dirigenti della Banca d’Italia».
            Semplificando, possiamo affermare che un modello econometrico è un sistema di equazioni per simulare e studiare l’influenza delle variazioni di certi parametri economici su certi altri parametri, o risultati economici. In prospettiva un modello econometrico potrebbe essere uno strumento utile al sindacato, per studiare le possibili strategie da attuarsi. Non c’è ragione perché un modello econometrico debba essere strumento esclusivo delle banche centrali, della Confindustria, dei ministeri, del Fondo monetario internazionale.

  27. Il piano B di Savona per uscire dall’Euro
    Spiegato con 79 slàid, risale al 2015, ma di questo precisamente si parla questi giorni (anche quando non se ne parla). Oltre al piano B (quello pubblicato) esiste anche un piano C (segreto)?

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    Facendo clic sull’immagine si accede al carrello delle 79 slàid, pubblicate nel sito Scenari economici, sito che riporta altresì il comunicato del prof. Savona diramato ‘urbi’ [soprattutto] ‘et orbi’ alle 13.20 di domenica 27 maggio 2018. Il professore fa riferimento al contenuto del § 29 del “contratto” stipulato tra Lega e M5S e afferma che esso riflette i suoi convincimenti. Il comunicato si chiude con queste parole: «Sintetizzo dicendo: Voglio un’Europa diversa, più forte, ma più equa».
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    Il comunicato del prof. Savona può essere letto nel sito Scenari economici e, per chi è affezionato a questo giornale, su Repubblica (Repubblica:Comunicato _Savona).
    La conclusione del comunicato non è nemmeno una captatio benevolentiae, direi che è uno svolazzo, come quello che alcuni fanno al termine della firma, o al posto della firma stessa (si chiama “paraffo”). Ma non dice niente: chi infatti non vorrebbe un’Europa diversa, più forte e più equa? Sarebbe come dire, “Chi non vuole bene alla mamma?” (almeno fino a pochi anni fa, tutti volevano bene alla mamma). Non è invece uno svolazzo il riferimento al § 29 del “contratto”, e non sono uno svolazzo quelle 79 slàid pubblicate dal sito “Scenari economici”, un sito del quale sentiremo parlare, spesso, immagino. Delle 79 slàid non si parla nel comunicato, e non si parla del piano B. Però accà nisciun’ è fesso.
    Come ho scritto in precedente articolo, Savona sul piano scientifico è un personaggio di tutto rispetto, non è una comparsa accreditata come esperto di economia da Pierluigi Paragone nella trasmissione orrida “La gabbia”, puntata dopo puntata (se volete, pensate pure a Claudio «Aquilini» Borghi: ma io non l’ho detto, non qui). Non che Savona sia al di sopra di ogni sospetto: so bene che sul Fatto quotidiano gli stanno facendo le pulci, sul piano etico-politico: alle volte sarei d’accordo, altre no. Per esempio, non sarei d’accordo nel giudizio di condanna “a prescindere” del Mose veneziano, per la cui attuazione Savona ebbe un ruolo chiave: che sia stata una mangiatoia invereconda per le società chiamate alla realizzazione, beh, non ci piove; ma di qui a condannare in blocco il progetto sotto il profilo ingegneristico e ambientale, ce ne corre. Ma è un argomento che ci porterebbe lontano.
    Dicevamo che Savona — forse — potrebbe veramente pilotare un’azione di contrasto nei confronti di un’Europa che a noi per primi non piace (la mistica europeista di Ciampi e Prodi e il culto dell’euro ci hanno sempre disgustato). Certo, bisognerebbe approfondire alcune premesse del piano B, in particolare bisognerebbe passare al setaccio questa Nomura, una multinazionale giapponese operante nel mercato finanziario e su questo economista, Roger Bootle, della City di Londra: sono loro che hanno definito il piano B esplicitato nelle 79 slàid. Noi siamo da lunga data diffidenti delle esemplificazioni mediante slàid dello strafottuto PowerPoint, inoltre abbiamo in dispetto gli economisti e, in particolare, gli operatori finanziari. Ci fidiamo di più degli ingegneri del Politecnico di Zurigo, per esempio (dico di Zurigo, perché la loro carriera non dipende dai geni di casa nostra: sicuramente in Isvizzera avranno un Ministro dell’Istruzione e della Ricerca migliore della sicura Valeria).
    Comunque, come ipotesi di lavoro e per andare avanti nel ragionamento, ammettiamo che il piano B, qualora fosse rigorosamente attuato, funzioni.
    Ma, per attuarlo rigorosamente, bisognerebbe nominare Savona dittatore, e dare a lui la possibilità di nominare l’esecutivo. Cioè bisognerebbe dare il benservito a Di Maio, a Salvini, al populismo e ai dilettanti allo sbaraglio. E non ho detto cotica!
    O forse, all’insaputa di Di Maio e di Salvini, Savona ha pronto un piano C per assumere la dittatura? Intende marciare alla conquista delle Istituzioni alla testa di una pattuglia di forestali, come nell’abortito colpo di Stato di Junio Valerio Borghese (dicembre 1970). Come dice la pubblicità? “No Martini, no party”. Così, nel nostro caso: “No golpe, no B-plan”. Intanto ripassiamo il golpe di Junio Valerio Borghese:

  28. Vedo che ci sono due commenti nella Stanza di Giuseppe che tuttavia non sono richiamati nel colonnino a destra, che riporta gli ultimi quindici contributi al diario. Per esempio, questo.
    Invito i lettori a dare un’occhiata alla Stanza di Giuseppe e al Salotto di nonna Speranza (vi si accede dal menu tendina posto sotto la testata, alla voce “A – Divagazioni e divertimenti”); sono abbastanza divertenti, e ricordano alcune traversie del principio della navigazione della navicella di Nusquamia. Buona lettura.

  29. Luigi permalink

    Stai a vedere che Salvini ha forzato la mano e cercato le elezioni per permettere al più presto a Berlusconi di essere rieletto?
    Fosse così Salvini si conferma sempre più una figura creata ad arte per garantire la continuità a Silvio e al sistema romano-centrico.

    • Nessuna ipotesi deve essere scartata, questa è la base del ragionamento “scientifico” e, in generale, di ogni progresso, non solo scientifico. Nessuno deve offendersi, men che meno Salvini, che è tutt’altro che al di sopra di ogni sospetto.

    • Ragionando sulle slàid del piano B di “Scenari economici”
      Salvini voleva Savona all’Economia, vicino alle teste d’uovo di “Scenari economici”, che approntarono il piano B che però per essere attuato dev’essere segreto. Di Maio s’appecora


      La slàid 25 del piano B di “Scenari economici”, sul quale Savona fa lo gnorri come pure, adesso, le stesse teste d’uovo di “Scenari economici”

      Adesso quelli di “Scenari economici” puntualizzano: «Il piano B era un lavoro puramente accademico in cui si cercava di far fronte ad un’eventuale emergenza che poteva vedere l’Italia come soggetto passivo, non attivo, della rottura». Boh! Sembra scritto da uno della Link Campus University (vedi), di filiazione democristiana, [*] quella che avrebbe fornito la squadra di governo iniziale di Di MAio: ricordate?. E concludono: «Comunque oggi ci sentiamo dei precursori in ottima compagnia, dato che, come riportato poco più di un mese fa dal Welt, i principali Think Tank tedeschi stanno preparando un piano simile con l’appoggio di Berlino, mentre a Roma il problema è dir sì o no ad uno studioso indipendente [cioè, Savona: N.d.Ar.]». Si veda Il “Piano B per l’Italia” di Scenari Economici ed il ruolo di Paolo Savona. La realtà.
      Se lorsignori non si offendono, dopo aver letto la precisazione e la postilla, concludo a mia volta: E accà nisciun’ è fesso. Pare che nemmeno i mercati finanziari siano così fessi: sono io il primo a dire che mi piacerebbe mandarli a quel paese, però bisognerebbe contemporaneamente mandare a quel paese le masse impiegatizie inerti del settore pubblico (cosa che non mi dispiacerebbe affatto, pur chiedendo un trattamento umanitario), che percepiscono uno stipendio grazie al debito pubblico finanziato con i titoli di Stato collocati sul libero mercato. Di qui non si scappa.
      Per chiarirci le idee rileggiamo, con il senno del poi, l’articolo di Alessandro De Angelis sull’Huffington Post: La nuova economia sovranista (con Savona). Ma soprattutto andiamo a rivedere le famigerate 79 slàid, presentate proprio da Paolo Savona in un convegno del 2015, colui che «ha partecipato a diverse conferenze e discussioni su come attuare il Piano B, come lo stesso Scenari economici ricorda» (si veda L’uscita dall’Euro? Per riuscire deve essere segreta e improvvisa, si legge sul ‘Piano B’.
      In particolare, vediamo la slàid 25, presentata qui sopra, dove si legge: «Il grado di riuscita del Piano B è in funzione del livello di segretezza e riservatezza che si riesce a mantenere in quanto la divulgazione anche parziale potrebbe pregiudicare l’efficacia operativa in caso di improvvisa adozione».
      Insomma, non prendiamoci per i fondelli. Savona ha rilasciato quella preciszione che abbiamo letto, guarda caso pubblicata in prima battuta nel sito di “Scenari economici”. Savona dice che come ministro dell’Economia non avrebbe mai messo in discussione l’euro. Ma il piano B prevede che l’uscita dall’euro dev’essere segreta e attuata in modalità di blitz: dunque chiunque voglia attuare il piano B (Savona compreso), se veramente lo vuole attuare, non ne deve parlare. Chiaro, no? Tuttavia — ne conveniamo — il piano B non potrebbe certo essere attuato in compagnia dei desperados che pretendevano di dettar legge nell’abortito governo Conte. Ma allora — l’abbiamo già scritto — perché Savona si è prestato a essere usato come spauracchio, agitato come la muleta da Salvini, dopo che Claudio «Aquilini» Borghi ha fatto in tutti i talk show il peone, il banderillero e il picador?
      Ma poi, scusate, il matador sarebbe stato Salvini? Siamo sicuri? Eh no, semmai il matador dovrebbe essere Savona, che è intelligente, e che però — questo gli va ricordato — non deve pensare che tutti, proprio tutti, siano fessi. Anche se il mondo è fatto per i fessi, ne convengo.
      Dunque Savona, come ho già scritto, gioca, o intendeva giocare, in proprio. Ha, o aveva, un piano C. A dire il vero perché faccia il matador non basta nemmeno che diventi il presidente del Consiglio nel prossimo governo gialloverde. Ci vorrebbe la dittatura.
      Ma dittatura per dittatura (che fra l’altro dovrebbe essere provvisoria) perché affidarsi a un economista? Meglio fare un uso parco degli economisti; per non parlare poi dei giuristi.
      Riassumendo: Salvini fa i capricci sul nome di Savona, sapendo che gli sarà risposto picche. Così si va a nuove elezioni, e la cosa gli sta benissimo. Di Maio ci fa la figura del fesso e sarà sbranato da nemici esterni e interni. Savona si tiene pronto per piazzare un suo piano C, più segreto ancora del piano B, essendo ancora indeciso se farsi usare, questa volta non più come muleta, ma come vischio, nel corso della prossima campagna elettorale.
      Il resto è imprevedibile, almeno per noi; forse anche per Savona. Invece Di Maio e Salvini non si preoccupano dell’avvenire degli italiani, a loro interessa il potere. Si potrebbe fare, con riferimento alla presa di potere del duo Di Maio-Salvini, una bella conferenza sulla teoria del caos nei sistemi socioeconomici. Ma non se ne caverebbe un ragno dal buco. Del resto, con riferimento proprio alla teoria del caos, si ricorda spesso — è un luogo comune, a portata del gatto padano — che il battito d’ala di una farfalla in Cina potrebbe causare un uragano atlantico nei Caraibi.

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      [*] L’ex ministro Dc Vincenzo Scotti è fondatore e presidente della Link Campus University, ed è vicino alla lobby di “Scenari economici”.

  30. O' coreano permalink

    E farebbe anche un figurone come ministro degli Esteri, rappresenta al meglio il popolo italiano (sovrano).

  31. Grazie, Claudio «Aquilini» Borghi. Grazie Giggino. Grazie Matteo

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    Debito pubblico italiano alle 14.50 del 20 maggio 2018. Per sapere quanto è aumentato nel momento in cui leggete questa pagina, fare clic sull’immagine.
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    Debito pubblico italiano alle 9.18 del 30.05.2018 (duemilatrecentoventisei miliardi ottocentotrentasette milioni seicentotrentatatremila settecentosessanta euro).
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    Quando si ha un debito pubblico di queste dimensioni, con un rapporto tra debito pubblico e prodotto industriale lordo al 130 %, una crescita economica risibile, un tasso di disoccupazione spaventoso, tasso di natalità ai minimi storici, una zavorra d’impiegati pubblici improduttivi e una tecnoburocrazia [*] più che mai aggressiva e malefica, c’è poco da fare i gradassi. E magari dare la colpa di tutto alla Germania.
    Il debito pubblico ci costa fra i 60 e i 70 miliardi all’anno di interessi, ma Claudio «Aquilini» Borghi, che nel 2014 è stato creato “responsabile economico della Lega nord”, e che mi risulta che ricopra ancora tale carica nella Lega (non più Lega nord) è convinto di avere il libro magico, come quello di Astolfo. Lui dice la formula cioè, in pratica, fa una battuta in favore di telecamera (da Myrta Merlino, da Pierluigi Paragone ecc.), e il problema si risolve. Si veda quanto abbiamo scritto in un commento precedente sul libro magico di Claudio «Aquilini» Borghi: Il debito pubblico aumenta, ma non ditelo a Claudio «Aquilini» Borghi. Neanche a di Maio e nemmeno a Salvini.
    Così, di battuta in battuta, si è arrivati a quella bozza di contratto tra Lega (Lega semplice, mi raccomando, non più Lega nord) e M5S, pubblicata il 15 maggio sull’Huffington Post, ancora leggibile qui: Un Comitato di conciliazione (parallelo al Consiglio dei ministri). Beh, c’è chi ha calcolato che nel giro di un giorno, subito dopo la pubblicazione, quell’alzata di ingegno, quell'”aquilin-borgata”, abbia bruciato 13 miliardi di euro in Borsa: si veda Borsa, quant’è costata la bozza. Vanno in fumo 13 miliardi. 5 per le banche. Ora, anche a non essere fanatici sacerdoti dei cacati pronunciamenti di Borsa, dovrebbe essere evidente che le parole hanno un peso. E non sempre le parole di Borghi hanno effetti magici. Tant’è che poi Giggino e Matteo si sono affrettati a dire che però quella bozza era “superata”. Ma, superata o non superata, se dobbiamo dare un giudizio politico sul Borghi, su Di Maio e su Salvini, vale comunque la pena domandarsi: non è per caso che costoro sono dilettanti allo sbaraglio? Come si fa ad affermare — questo è scritto in quella bozza — che con un colpo di bacchetta magica, cioè con una battuta aquilin-borghiana, per tagliare il debito pubblico basta azzerare 250 miliardi di Btp nel bilancio della Bce? E poi? Cose da pazzi! Si veda: Cancellare 250 miliardi di debito pubblico. Vedi Governo, cancellare 250 miliardi di debito pubblico? Una proposta così è irricevibile.
    Certo, l’aumento dello spread, cioè del differenziale tra il rendimento del titolo di Stato decennale italiano e quello tedesco, può essere un’arma di ricatto puntata dall’odiata Europa sulle tempie degl’italiani “scrocconi”. Il fatto è però che, se il Borghi si permette di dire quel che dice, gl’italiani fanno veramente la figura degli scrocconi. A titolo personale mi potrò dissociare quanto voglio, però sul piano delle pubbliche relazioni io non conto niente, invece il Borghi è potentissimo. Dunque anche io sarò considerato scroccone: merda! Però — lo dico proprio noi che sono spregiatore della mongo-tecno-euroburocrazia, che mi faccio beffe dell’Erasmus/Orgasmus e che da sempre mi rifiuto di appecorarmi alla mistica dell’euro — noi con quel debito pubblico ecc., proprio con quello, purtroppo, dobbiamo fare i conti quando ci rapportiamo all’Europa. Possiamo fare i conti fin da subito — non dico di no — purché non con le battute populiste, con le aquilin-borgate. O, peggio ancora, pretendendo che quei conti non s’abbiano a fare. Lo spread misura l’affidabilità finanziaria del nostro Paese e, piaccia o non piaccia, abbiamo bisogno di essere affidabili, proprio perché non siamo autarchici. Magari lo fossimo! Ma questo potrà avvenire, se mai avverrà, a seguito di un lavoro politico lungo e accurato, con un’azione di educazione delle masse, invece che di solleticazione dei loro istinti bestiali, con la messa a punto d’interventi strutturali alla cui elaborazione contribuiscano fisici, matematici e ingegneri (con un contributo minimo e marginale quanto basta dei giuristi). Insomma una versione aggiornata del programma per il progresso morale, civile ed economico degl’italiani, come quello del Politecnico di Cattaneo.
    Qui c’è poco da fare gli spiritosi: «Se lo spread cresce significa che, a mano a mano che i Btp scadono, lo Stato dovrà emetterne degli altri con interessi e rendimento più elevati. Altrimenti rischia che non vengano acquistati. E questo vuol dire che mentre i Btp scadono e lo Stato ne emette di nuovi, l’onerosità del debito pubblico cresce». Vedi Cos’è lo spread e cosa succede a debito, mutui, famiglie e imprese.

    Purtroppo c’è ancora chi crede nel potere magico delle battute, come nella liturgia della Messa, prima della Comunione: «Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum, sed tantum dic verbo, et sanabitur anima mea». [**] Ma chi crede di essere Claudio «Aquilini» Borghi? Crede forse di essere Cristo? Addirittura? Va bene che la Chiesa è in disarmo, ma a tutto c’è un limite.

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    [*] “Tecnoburocrazia”, perché i burocrati amano da qualche tempo in qua presentarsi come “tecnici”. Leggiamo così nel curriculum vitae di un segretario comunale moderno, in linea con il “nuovo che avanza”: «Progetto di e-democracy, restyling del sito web comunale, sviluppo dei sistemi di I.C.T., Coordinatore di progetto per la realizzazione di una rete telematica e di un sistema informativo sovracomunale ecc.».
    [**] Queste parole sono la parafrasi di quelle pronunciate da un centurione, che chiede a Gesù la grazia della guarigione, a favore di un proprio servo che giaceva paralizzato (Matteo, VIII, 8): «Domine, non sum dignus ut intres sub tectum meum, sed tantum dic verbo, et sanabitur puer meus». Dunque “verbo”, in ablativo, è corretto, e non va sostituito con l’accusativo “verbum”. Infatti “dic”, imperativo di “dicere”, è usato intransitivamente e significa “esprimiti”. Nell’originale greco: «ἀλλὰ μόνον εἰπὲ λόγῳ, καὶ ἰαθήσεται ὁ παῖς μου». La frase va intesa così: «Signore, non sono degno che tu entri sotto il mio tetto, ma esprimiti solo con una parola…».

    • Isabella permalink

      Ho subito un grave torto dalla massima istituzione del Paese sulla base di un paradossale processo alle intenzioni di voler uscire dall’euro e non a quelle che professo e che ho ripetuto nel mio Comunicato, criticato dalla maggior parte dei media senza neanche illustrarne i contenuti. Insieme alla solidarietà espressa da chi mi conosce e non distorce il mio pensiero, una particolare consolazione mi è venuta da Jean Paul Fitoussi sul Mattino di Napoli e da Wolfgang Münchau sul Financial Times. Il primo, con cui ho da decenni civili discussioni sul tema, afferma correttamente che non avrei mai messo in discussione l’euro, ma avrei chiesto all’Unione Europea di dare risposte alle esigenze di cambiamento che provengono dall’interno di tutti i paesi-membri; aggiungo che ciò si sarebbe dovuto svolgere secondo la strategia di negoziazione suggerita dalla teoria dei giochi che raccomanda di non rivelare i limiti dell’azione,perché altrimenti si è già sconfitti, un concetto da me ripetutamente espresso pubblicamente. Nell’epoca dei like o don’t like anche la Presidenza della Repubblica segue questa moda.

      • Savona, i modelli econometrici e l’educazione delle masse

        Ho visto. Questo è quanto scrive Paolo Savona nel sito di Scenari economici, quindi riportato su Huffington post: vedi “Ho subito un grave torto dalla massima istituzione del Paese. Dal Colle un processo alle intenzioni”. Mi sembra però che queste parole, scritte a nuora perché suocera intenda, offendano la nostra intelligenza.
        Infatti, è nota la posizione euro scettica di Savona, e qui naturalmente non c’è niente di male (siamo euroscettici anche noi). Ma è anche noto che è stato designato da Salvini per essere usato come muleta per provocare il toro ed eventualmente passare a nuove e più favorevoli elezioni (cioè, lui spera che siano favorevoli e così dicono i sondaggi). Ed è noto che Claudio «Aquilini» Borghi, responsabile economico della Lega, vuole assolutamente uscire dall’euro, è noto che Salvini si faceva fotografare con le felpe che recitavano la sua opposizione all’Euro, sappiamo che adesso Salvini dice che nel programma e nel corso della campagna elettorale non si è parlato di uscita dall’euro, però vediamo che il Borghi insiste e vuole uscire dall’euro. Lascio all’intelligenza del lettore il seguito del ragionamento. Come traccia ricorderò la procedura del ragionamento induttivo: 1. Ho visto un corvo ed era nero. 2. Ho visto un secondo ed era nero…. n. Ho visto un n-esimo corvo ed era nero. Conclusione: Tutti i corvi sono neri.
        È anche noto che Savona, per esperienza e intelligenza, sarebbe l’unico che potrebbe pilotare l’uscita dell’Italia dall’euro: sempre che potesse contare su una squadra di persone competenti ai suoi ordini. Ma il problema è che questa squadra non esiste e che di Maio e Salvini, con improntitudine senza pari, pretenderebbero di dare ordini al ministro dell’economia! Non a caso si sono scelti come Presidente del Consiglio uno come Conte. Senza contare che i due, a differenza di Savona, non hanno un onore da difendere: questo noi lo sapevamo da sempre, ma gli ultimi precipitosi eventi confermano fuori di ogni ragionevole dubbio tale nostra convinzione.
        Ma allora, perché Savona, che ha un onore da difendere, accetta di essere usato da Salvini? Lui sicuramente ha sentito dire da Formica che la politica è sangue e merda, però — ecco il punto — ha la fortuna di vivere una posizione privilegiata, che gli ha consentito di essere al riparo degli schizzi di sangue e del fetore della merda. Forse, veramente, non si è reso conto dei personaggi con cui ha che fare, a differenza di noi poveri cristi che, invece, siamo stati costretti a conoscere bene quel sangue e quella merda. Oppure, come abbiamo scritto sopra in questa pagina, Savona ha in serbo un piano C, che può tuttavia essere realizzato soltanto in un’ipotesi golpista, perché bisognerebbe, da una posizione di forza, dare il benservito a di Maio e a Salvini.

        Savona è ancora in tempo. Non si faccia usare da Salvini, che non è degno di allacciargli le scarpe. Si tenga piuttosto a disposizione per l’eventualità che le sue competenze siano richieste da un improbabile e miracoloso governo improntato ai principi del socialismo scientifico. Savona, che a suo tempo collaborò all’elaborazione di un modello econometrico (ahimè, per la Banca d’Italia), conosce l’importanza di una impostazione ingegneristica del problema. Nello stesso tempo ci risulta che Savona abbia, più di una volta, messo in dubbio le facoltà miracolose dei modelli econometrici come strumento decisionale. L’economia non è una scienza, quantomeno non è una scienza esatta e per essere una scienza sperimentale compiuta dovrebbe relazionarsi con la “scienza”, quella vera, che è una e indivisibile. Non esistono “le scienze”, “i saperi” ecc.. Così pensano i buzzurri, quelli delle “eccellenze”: ma, se parliamo seriamente, il parere dei buzzurri conta meno dell’oracolo di Delfi. Dunque si tratterà di elaborare un modello dinamico che consenta di fare ragionevoli previsioni sull’esito delle variazioni di qualsiasi parametro di sistema, non soltanto economico, ma anche sociale, tenendo conto, con opportuni coefficienti di ponderazione, della stessa psicologia delle masse. Insomma, qualcosa che ci ponga al riparo dal postulato populista, per cui i coglioni hanno sempre ragione. Compito di una classe politica degna di questo nome è quello non di dare ragione ai coglioni, ma di educarli. Questo è quello che hanno fatto sempre la Chiesa (fino a Paolo VI), la Democrazia cristiana (in parte) fino alle soglie degli anni ’70 e il Partito comunista.
        Savona è ancora in tempo. Si ritiri sdegnosamente e dica a chiare lettere: “Non sono una muleta, non sono un burattino, non sono una testa di turco. Non ci sto a farmi usare da Salvini come un tampax usa-e-getta.”

  32. Un’impostura linguistica del gatto padano
    Ancora lo stravento: uffa!


    Insegna di un locale in Liguria, in una piazzetta frequentata dalle mogli di mongomanager lombardi e piemontesi. Si trova dietro il promontorio di Punta Crena (Varigotti) in un punto solitamente battuto da un forte vento (“stravento”), qui però opportunamente riparato. I mariti partono il lunedì mattina, le mogli rimangono.

    Scrive il gatto padano: «Domenica pomeriggio uno stravento ha scaricato in due ore dai 70 ai 100 mm di pioggia sui monti circostanti il territorio del Comune di Algua». E uno si domanda: ma come fa un vento di forza fuori dell’ordinario (ché questo significa “stravento”) a scaricare l’acqua? Siamo di fronte a una trasmutazione alchemica, per cui l’aria si trasforma in acqua?
    Acqua, aria, terra e fuoco erano — ricordiamo — gli elementi primordiali, secondo Empedocle, filosofo della Magna Grecia (Agrigento), vissuto nel V sec. a.C.: lui li designava con il nome di ῥιζώματα, cioè radici, Platone in seguito li avrebbe chiamati στοιχεῖα (stoicheia), cioè elementi primi e così ancora ci venivano presentati nei banchi del liceo. Non so se l’argomento faccia parte del programma di pedofilosofia curnense: non credo.
    Ma è possibile che il vento, cioè l’aria, si trasformi in pioggia? No, non è possibile. Al massimo sul paese di Algua, in val Serina, avrà fatto transito, e si sarà soffermata, una nube carica di pioggia, subito scaricata in gran copia. Si parla allora non di “stravento”, ma di “nubifragio”. Scrive infatti, correttamente l’Eco di Bergamo: «Il nubifragio abbattutosi domenica in Val Serina lascia in eredità ai Comuni maggiormente colpiti, Algua, Bracca e Costa Serina, molte criticità da gestire nel breve-medio periodo» (si veda Val Serina, Sos dopo gli allagamenti). Nubifragio (e non “bomba d’acqua” come da un po’ di tempo si dice: un’espressione che piace tanto ai buzzurri del Nord e ai cafoni del Sud, come “eccellenza” e simili esercizi di coprolallazione) è la parola giusta, di derivazione analoga a quella di “naufragio”: naufragio (da navis + frangere) è la rottura della nave e la sua conseguente sommersione; nubifragio (da nubes + frangere) è la “rottura” della nube e il conseguente violento acquazzone.
    Eppure, l’avevamo già detto al gatto padano: non puoi prendere a sberle la lingua italiana (“prendere a sberle” è un’espressione che piace parecchio al gatto; si capisce che lui stesso, nei suoi accessi d’ira, ha una gran voglia di menare le mani, quando addirittura non passa, nei suoi pii desideri, alle «plocade» all’indirizzo dei sardagnoli); non puoi dire “stravento” per indicare una pioggia battente, inclinata per la forza del vento. Questo era infatti il primo significato che il gatto attribuiva alla parola stravento, che è voce vernacolare, talora impiegata dagli agrimensori padani. Il gatto ne parlava spessissimo, e gli si gonfiava il petto, e faceva glu-glu-glu, come i tacchini, al tempo dell’allagamento della nuova scuola elementare di Curno, provvisoriamente intitolata a Franco Gatti: ma è già passata alla storia come “Scuola Perlita Serra”. Secondo il gatto, da che lui aveva cominciato a parlar di stravento, tutti avrebbero dovuto seguirne l’esempio: agognava di leggere questa parolina nelle delibere, nelle cacate carte, nei titoli dei giornali. Così avrebbe potuto dire “Sì, questa l’ho fatta io, io sono il creatore!”: proprio come il bambino freudiano al secondo stadio del suo sviluppo.
    Tuttavia, nel caso del nubifragio in Val Serina, come il lettore avrà capito, il gatto è passato a un secondo significato, nemmendo previsto in ambito agrimensural-padano. Ma, si sa, il gatto padano si sente un animo d’artista, perfino quando annusa i copropapiri (questa è la sua specialità, qui è veramente imbattibile).

    Bibliografia
    • “Stravento” è una delle paroline sulle quali ci siamo soffermati nel nostro elenco di Espressioni di fonte e/o destinazione buzzurra e d’intendimento truffaldino (vedi).
    • Sempre su Nusquamia, si veda Stravento.
    • Infine, si veda la pagina di discussione [Che] cosa significa “stravento” riferito alla pioggia?. Negli esempi tratti dalla letteratura la parola “stravento” si trova in associazione alla pioggia («pioggia battente a stravento», «scrosci gelidi di pioggia a stravento», «pioggia forte di stravento»). Ma stravento, di per sé, non significa né a) pioggia battente inclinata dalla forza del vento, né b) nubifragio.
    Invece, nel significato a), “stravento” ha riscontro talora nei vernacoli padani, nonché nel gergo agrimensural-padano. Lo si trova perfino in certi manualetti scritti dagli agrimensori che, in vena di fichitudine, trasportano nell’italiano espressioni vernacolari sperando di fare impressione sui borghesi (épater les bourgeois). Ma è ridicolo: come sarebbe ridicolo che quacuno, con la seriosità istituzionale del gatto padano, sperando di far bella figura con Bombassei, pretendesse, parlando di tram, che l’archetto tranviario di captazione della corrente elettrica dalla linea aerea di presa si chiamasse “pertegheta”.

  33. Titti permalink

    Fallita la Melegatti,
    fondata nel 1894.
    È sopravvissuta alle due Guerre Mondiali,
    NON ai governi PD.

    [Mi dispiace. Non per ragioni patriottiche (non sono patriottardo), ma per l’angoscia che vive chi rischia di trovarsi senza una fonte di reddito procurato onestamente, e perché il pandoro mi piaceva. N.d.Ar.]

  34. Riformista permalink

    @Aristide

    Vedi:

    Fare clic sull’immagine per leggere la notizia.

    [Ha ragione l’eurodeputato. Per questa ragione al tempo del referendum costituzionale votammo a favore del “Sì”, nonostante l’avversione per Matteo Renzi. In quel momento era l’unica cosa che si potesse fare e avevamo la speranza che, una volta infranto il tabù che in questo paese non si può mai cambiare niente, si potesse poi procedere a riforme serie. Di fare i fichi e mostrarci allineati con Zagrebelsky non c’importava un fico secco. Senza contare che Salvini e Di Maio erano e sono tutt’altro che fichi, così odorosi com’erano e come sono di populismo. N.d.A.]

    • Ma Juncker ha ragione, con buona pace dei patriottardi fascioleghisti e grillini “liquidi”
      Tra l’altro, Juncker non ha detto esattamente quel che hanno scritto i giornali

      Juncker, presidente lussemburghese della Commissione europea, ha ragione. Tra l’altro, i quotidiani italiani per lo più si sono limitati a riprendere una sintesi forzosa — il titolo dell’articolo — formulata dal quotidiano britannico The Guardian: si veda Juncker: Italians need to work harder and be less corrupt. Juncker non ha detto proprio così e, quand’anche l’avesse detto, avrebbe comunque ragione. Per la precisione, rispondendo a Bruxelles a una domanda del pubblico sulle condizioni e le prospettive dell’Italia meridionale, durante la conferenza New Pact for Europe, Juncker si è riferito ai problemi strutturali delle regioni del Sud Italia, rivendicando quel che l’Ue ha fatto per mobilizzare i fondi per creare crescita e lavoro (è noto che le regioni meridionali — spesso — non sono state in grado di investire i fondi loro destinati, oppure li hanno utilizzati male).
      Lo stesso Guardian riporta tra virgolette le parole esatte di Juncker: «Italians have to take care of the poor regions of Italy. That means more work; less corruption; seriousness. We will help them as we always did. But don’t play this game of loading with responsibility the EU. A country is a country, a nation is a nation. Countries first, Europe second». Cioè: “Sono gli italiani che devono prendersi cura delle regioni più povere del loro paese. E questo significa più lavoro, meno corruzione, serietà. Aiuteremo gl’italiani come abbiamo sempre fatto. Ma non fate il gioco di scaricare tutte le responsabilità sull’Unione europea. Un paese è un paese, una nazione è una nazione. In primo luogo [quanto a responsabilità: N.d.Ar.] ci sono i paesi, in secondo luogo l’Europa”.
      Il patriottardo Salvini è subito insorto: «Parole vergognose e razziste, col prossimo governo vedremo di fare rispettare i diritti e la dignità di 60 milioni di italiani che dall’Europa si aspettano collaborazione, non insulti». Ohibò! Ma vogliamo ragionare? È vero o non è vero che l’Italia, in particolare l’Italia meridionale, conta un esercito smisurato di masse impiegatizie inerti che di fatto non lavorano e che talora, quando lavorano, agiscono come un moltiplicatore di burocrazia, aggiungendo male al male? È vero o non è vero, come hanno messo in luce i pensatori meridionalisti già nell’Ottocento, che l’Italia soffre della “prassi” del voto di scambio? È vero o non è vero cioè che fa comodo avere un Sud dell’Italia economicamente depresso, perché così le masse indigenti “votano bene”? È vero o non è vero — aggiungo io — che, come affermava Sciascia, la linea delle palme sale inesorabilmente al Nord, perché fa comodo così?
      E allora, se tutto questo è vero, affrontiamo i problemi con piglio finalmente razionale, senza farci intimidire da schiamazzo di detentori di “diritti acquisiti”, senza farci coglionare dai “giuristi”, anzi creando il terrore nelle masse impiegatrizie inerti, scendendo sul piede di guerra contro la delinquenza organizzata, restituendo dignità alla scuola, chiedendo ai “cattolici” di pregare di più (visto che non credono più in Dio, chiedano almeno la grazia della fede), così forse smetteranno di far danni in politica. Ecc.
      Non so se sia migliore l’atteggiamento di chi, sentendosi rimproverare, e giustamente, fa l’offeso; o quello di chi fa lo gnorri e non risponde ai rimproveri dicendo “Non rispondo perché sono sobrio”. Il primo atteggiamento è quello di Salvini e dei patriottardi. Il secondo è quello assunto pervicacemente e sistematicamente dalla dott.ssa Serra, sindachessa emerita curnense. Non so quale dei due sia migliore. Ma so che in entrambi i casi si tratta di una fuga dalla realtà.

  35. Il governo Conte avrebbe le redini del governo, ma le redini di Conte sono tenute da Giggino e Matteo
    Rilassiamoci, sforziamoci di volare alto: ci aiuterà la meravigliosa Emmanuelle Béart

    Abbiamo già parlato di Emmanuelle Béart, più di una volta, in particolare di quel suo film del 1991, Un cuore in inverno, liberamente ispirato a un romanzo di Lermontov. Per sapere qualcosa (solo qualcosa) di questo film si veda quanto abbiamo scritto in Cinefilia.
    Qui sarà sufficiente ricordare che il film ci è venuto in mente, dopo che ci siamo occupati della squallida politichetta di Giggino e Matteo, per reazione e, forse, come per un lavacro purificatore. Un po’ come Baudelaire che faceva un sogno di bellezza proprio mentre si giaceva accanto a un’orribile baldracca: «Une nuit que j’étais près d’une affreuse Juive, / comme au long d’un cadavre un cadavre étendu, / je me pris à songer près de ce corps vendu / à la triste beauté dont mon désir se prive». Penso anche a questo film, e alla bellezza di Emmanuelle Béart, dopo che le circostanze m’inducono a parlare delle imprese del gatto padano, delle sue cacate carte.
    Rivediamo dunque alcuni passi del film in questo montaggio:

    C’è un altro film girato dalla Béart, sempre nel 1991, prima che con il passare degli anni affiorassero gli esiti di un’infelice operazione di chirurgia estetica alle labbra. Ma non fa niente, tanto più che siamo convinti della fugacità della bellezza; anche della bontà, e di quella felice combinazione di bellezza e bontà che i Greci chiamavano καλοκαγαθία. Dunque la bellezza non è meno bella, se è fugace. E a quel tempo, nel 1991, Emmanuelle Béart era bellissima. In seguito è divenuta meno bella, ma almeno non è diventata stronza, né femminista (come Nastassja Kinski, per esempio, anche lei a suo tempo bellissima, ma senz’anima, senza il lampo d’intelligenza di Emmanuelle Béart). Dunque l’altro film del 1991 è La belle noiseuse (“La bella scontrosa), per la regia di Jacques Rivette, che si è ispirato a un racconto di Balzac, trasportando la storia al nostro tempo. Eccone il provino (lo chiamano ‘trailer’):

    Purtroppo il Dvd e il Blue Ray di questo film non sono più in circolazione: esauriti. Cioè, esisterebbe una versione Blue Ray per il mercato americano, a un prezzo tutto sommato accessibile, ma non è idonea ai nostri riproduttori che solitamente, se sono impostati per il mercato americano, non possono poi usarsi per il mercato europeo (se ricordo bene, lo scherzetto di commutare il codice di decodifica può essere messo in atto due volte al massimo). Inoltre per il nostro mercato ci sarebbe un Dvd dell’edizione integrale, di circa tre ore, presentata al festival di Cannes, al prezzo proibitivo di 349 euro. Mi sono dovuto contentare di una vecchia videocassetta (VHS) venduta a suo tempo insieme con il settimanale l’Espresso. È la versione ridotta per il mercato italiano, meglio che niente.

    • Nuovo Cinema Nusquamia
      La belle noiseuse

      Chi cerca trova, si dice. Ecco dunque le prime due ore (in tutto sono tre) del film La belle noiseuse, in edizione integrale, del quale si diceva sopra. Nell’inquadratura, in basso, corrono i sottotitoli in vietnamita, poco male. Male invece che il cinefilo vietnamita abbia messo in rete soltanto le prime due ore. Se mai sarà pubblicata la seconda parte del film, sarò lieto di darne notizia ai lettori. Buona visione, e buon godimento.

  36. Film da non vedere

    Di questo film — La terra di Dio — si legge la recensione molto benevola, per la firma di Natalia Aspesi, nota femminista, riportata nella p. 709 del diario del terribile, temutissimo gatto padano-curnense (tale diario, com’è noto, riporta ampi stralci di articoli tratti dalla rete e dalla stampa quotidiana, alle volte firmati dalle grandi firme, ai quali il gatto affianca, da pari a pari, i propri corsivi, firmati con l’iconcina del gattoleone).
    Il film suggerito (da loro, non da me) è una pastorelleria, narra infatti di un amore tra un giovane inglese e un coetaneo rumeno: il primo è il proprietario del gregge, pastore lui stesso; il secondo, in quanto clandestino, è un servo-pastore. Scrive l’Aspesi che il rumeno insegna all’inglese che «esistono le carezze, i baci, gli sfioramenti, i sussurri, le parole: insomma non solo il sesso primitivo ma anche l’amore». E conclude: «Le immagini piacciono molto alle signore [mah… bisogna vedere quali: N.d.Ar.], che sperano siano d’ispirazione e ricordo ai loro amanti e mariti etero. Sempre che siano così cinefili e certi della loro virilità da accompagnarle».
    Ecco, proprio questa conclusione, così spudoratamente “determinata”, m’induce a pensare che sia meglio non vedere il film. Per carattere e per educazione mi piace essere padrone di me stesso (compos mei): per dirla con Orazio, «nullius addictus iurare in verba magistri»; cioè non voglio essere costretto a giurare fedeltà alle parole di nessun maestro. Inoltre, se non dispiace a Natalia Aspesi, al gatto padano, alla dott.ssa Serra ecc., i maestri, se proprio devo, me li scelgo io. Non ci sto a essere ingozzato con meccanismi di condivisione coercitiva. Mi rifiuto in particolare, in fatto di erotismo, e non solo, di prendere lezioni da contadini, pastori, ragionieri, agrimensori. In alternativa al pastore inglese e rumeno suggerirei quest’altro maestro:

    Casanova — ricordo — era un uomo di straordinario intelletto, autore tra l’altro di ben due traduzioni dell’Iliade: dal greco in toscano e dal greco in veneziano. Seh, altro che pastori!

  37. Quando 500 miglia, cioè 800 km, erano una distanza enorme. Chissà se MarcoBattaglia capisce, tra un “pub crawl” (sic!) e l’altro
    La nostalgia prima di Ryanair, dell’Erasmus/Orgasmus e della globalizzazione

    Ascoltiamo due interpretazioni della stessa canzone, che nasce negli Stati uniti d’America, con il titolo 500 miles: in realtà esisteva già prima, perché è la rielaborazione di un lamento, o un canto di lavoro (non c’è molta differenza) degli anni ’40, del tempo di Woodie Guthrie, quando si saltava da un treno all’altro. Ma poi veniva il momento in cui ci si fermava, lontani da casa 500 miglia. Per fare che? Per lavorare, per sognare. E scoprire, a distanza di anni, si è ancora senza il becco di un quattrino: è il momento della vergogna e della nostalgia, Questo è appunto il tema della versione americana.
    Poi la canzone varca l’Atlantico, arriva in Francia. Adesso s’intitola J’entends siffler le train, della canzone americana conserva la malinconia, anche la nostalgia, non più intesa però come desiderio di far ritorno a casa. No, adesso il desiderio è per una persona che non tornerà più, e non è questione di distanza. Era partita in treno, quella persona, e il fischio del treno, adesso, soprattutto la sera, rinnova il dolore. L’errore fu quello di dirsi addio alla stazione.

  38. Tommaso permalink

    @Aristide

    Si veda:

    [Il guaio è che al capezzale dell’Italia invece che veri medici, veri dotti e veri sapienti si affacciano falsi medici, falsi dotti, falsi sapienti. Leggo che il neoministro dell’Economia Giovanni Tria, «interpellato dai cronisti nel corso del ricevimento al Quirinale per le celebrazioni della Festa della Repubblica» ha affermato che «in Italia non esiste alcuna forza politica che dice che vuole uscire dall’Euro»; si veda Giovanni Tria, ministro Economia: “Nessuno vuole uscire dall’euro”. Ma stiamo babbiando?
    Che significa? Forse che adesso dobbiamo dimenticare tutto quel che abbiamo letto, che abbiamo sentito, e che può ancora essere letto e può ancora essere sentito? Vedi dichiarazioni a raffica su Facebook, interviste a giornalisti compiacenti, You-tubate, grazie alle quali lorsignori hanno rastrellato i voti solleticando gli istinti bestiali e irrazionali dell’elettorato. Non mi risulta che Claudio «Aquilini» Borghi sia stato sconfessato in qualità di “responsabile economico della Lega”. E allora che dice il ministro Tria? O forse è “roba vecchia”, “roba del passato”, “roba superata”, come diceva la prof. Morelli a proposito della Coa, l’iniziativa tecnoburocratica partorita dalla mente fervida del segretario comunale Sebastiano Purcaro, che ha un curriculum vitae di 24 pagine (ridotte a 19 adesso che è approdato a Milano)? Quella Coa succhiò sangue ai cittadini di Curno, ma con nobili motivazioni pseudoprogressiste e tecnoburocratiche, e non vogliamo nemmeno chiedere scusa? Claudio «Aquilini» Borghi le ha sparate grosse, parlando oracolarmente e Salvini non vuole chieedre scusa? E il neoministro Tria pretende che non sia successo niente? E poi, perché sarebbe roba “superata”? Superata da chi, e perché? Merda!
    N.d.Ar.]

  39. Valentina permalink

    Sono capitata a Montagnola di Lugano perché dovevo scoprire informazioni sui Camuzzi. Li conoscevo soltanto per nome, i fratelli fotografi Mauro e Luciano Camuzzi. Sapevo che erano nati qui a Montagnola alla fine dell’Ottocento.
    Stazione di Lugano, capodanno》taxi, destinazione: via Camuzzi a Montagnola. Addirittura una via dedicata ai Camuzzi! (Pensavo tra me e me mentre giungevo)
    Montagnola è una frazioncina sperduta sulle colline di Lugano. L’hanno in parte costruita i Camuzzi, architetti eclettici e artisti. Camuzzi= ‘camusci’ > camosci di montagna. Gente autoctona, radicata, lavoratrice.
    A casa Camuzzi, a Montagnola, nel 1919 arriva Hermann Hesse.
    Qui scrive “Siddharta” e “Narciso e Boccadoro”. Se ne andrà solo nel 1930.

    [Conosco Montagnola, dove mi sono recato più di una volta, parecchi anni fa, per ragioni di lavoro. Sapevo di Hesse e di quel ‘buen retiro’ svizzero, credo, per averne letto in una targa (soggiornò anche a san Vigilio, Bergamo, ma per breve tempo: ce lo ricorda una targa, anche qui). Conservo in particolare il ricordo della bellezza di certe collegiali che uscivano dal cancello di un liceo internazionale, privato ovviamente, che aveva sede in un villone posto a una svolta della strada che porta da Lugano a Montagnola. O gran fichitudine del buon tempo antico! N.d.Ar.]

  40. A futura memoria


    Fare clic sull’immagine per leggere l’articolo.

    Pare che sia di moda ribaltare la frittata, nemmeno a distanza di anni, ma in tempo reale (come si dice in linguaggio coglione), negando oggi quel che si diceva appena ieri, e viceversa. Ieri erano per l’uscita dall’euro, così, senza uno straccio di preparazione, perché il popolo aizzato dagli spacciatori d’odio e paura non ha tempo per aspettare, senza uno straccio di ragionamento di ragionamento (Goering portava la mano alla pistola se appena sentiva parlare di cultura, questi reagiscono alla stessa maniera se sentono parlare della necessità di ragionare), oggi dicono che, per carità, loro non hanno mai detto che bisogna uscire dall’euro. Ieri chiedevano a gran voce, a norma di cacata carta, l’inceppamento (“impeachment”) di Mattarella, oggi gli stringono la mano.
    Pertini però quando in una certa occasione istituzionale si trovò nella sgradevole situazione di dover stringere la mano a un alto funzionario di Stato che all’inizio della sua vergognosa carriera nelle istituzioni era stato lo sbirro del suo confino a Ventotene, si rifiutò di farlo. “Eh, ma io non ne ho colpa”, avrà pensato quello, con accorato rammarico istituzionale, “io obbedivo agli ordini”. Appunto, non si obbedisce agli ordini sbagliati, le responsabilità sono individuali, e se tu hai fatto del male, o mi fai del male, o vuoi farmi del male, io mi provvedo. Così pensava Pertini, e aveva ragione. Altri tempi.
    Dunque, se costoro pensavano che Mattarella fosse degno del carcere a vita (questo appunto comporta il reato di tradimento dello Stato, del quale si sarebbe macchiato Mattarella) perché gli stringono la mano? Risposta: perché non sono uomini, tutto qui. Martiri della coglionaggine, come dice il titolo di questo articolo del Foglio; o, se piace, coglioni col botto.

  41. Agnese permalink

    L’Unione Sarda.it »
    CRONACA » Cagliari
    Il Sindaco Massimo Zedda del PD Chiude al traffico per La preghiera musulmana il quartiere Marina di Cagliari. Guardate la foto sul giornale e giudicate voi se si possono vedere scene del genere.

    • Via del Collegio

      Lei intendeva questa foto?

      Per leggere l’articolo, fare clic sull’immagine.

      Non mi sembra però che vi siano stati incidenti. E il sindaco Zedda — che è una persona di aspetto e di modi civili, non è ostentatamente determinato, non è aziendalista, non ha piglio di cafone mongomanageriale, non è compromesso con il sistema delle famiglie che vorrebbero far passare la metropolitana leggera per i loro terreni (in particolare, i massoni qui sono molto potenti, anche se non sono ragionieri-materassai come Gelli, ma fior di professionisti e uomini di mondo), anzi è un resistente — non ha chiuso permanentemente la via del Collegio, dove vediamo gl’islamici prostrati in direzione della Mecca. Si è limitato a concederne l’uso, a norma di cacata carta, per venti minuti, o forse anche di più, in ogni caso non si tratta di un pericoloso riconoscimento di un diritto acqusito (in Italia i diritti diventano facilmente soprusi).
      Si chiama via del Collegio perché qui si affacciava l’ingresso posteriore dell’enorme caseggiato che ospitava il Collegio dei Gesuiti, le cui scuole divennero “regie”, dopo la cacciata dei servi di Gesù: come ho già ricordato, l’ordine fu soppresso nel 1773, poi riammesso dopo il Congresso di Vienna; ma furono nuovamente cacciati dal Regno di Sardegna nel 1848. Qui erano le scuole medie che ho frequentato parecchi anni fa, quando ancora c’erano professori maschi (i miei erano tutti maschi, tranne la professoressa di matematica, un’amica di mia mamma con i nervi sempre a fior di pelle, ma brava).
      Dall’ingresso principale del Collegio si accedeva invece al liceo, del quale ho già parlato (nel frattempo ha fatto trasloco per una sede moderna, forse più confortevole): lo vediamo nella foto qui sotto.

      A destra del portone è affissa la targa che riporta le parole di Gramsci, che qui fu studente dal 1908 al 1911: «Istruitevi, perché avremo bisogno di tutta la nostra intelligenza». Ma è un consiglio che il gatto padano non vuole seguire, visto che ieri è uscito con un articolo dedicato a Mozzo, dove ogni dieci righe parla — a sproposito — di stravento. Abbiamo cercato di metterlo sulla buona strada, ma non c’è verso. Da un lato ci copia (ma la cosa non ci dispiace: le vie del Signore sono infinite), dall’altro insiste a fare il fico marcando il territorio con parole ed espressioni di suo (ridicolo) conio. Magari per un po’ si trattiene, ma poi gli scappa. Come il dottor Stranamore, ricordate?

      • Dimenticavo nel commento precedente di scrivere che, oltre tutto, la Via del Collegio non è una via di traffico veicolare; termina infatti con le scalette di collegamento alla Via Principe Amedeo, su un piano stradale di livello superiore (foto qui sotto):

    • Giavazzi per la razionalità

      Questo articolo dell’ingegnere-economista Giavazzi è degno della massima considerazione, in particolare, è del tutto condivisibile il suo richiamo al principio di razionalità. Infatti, niente si crea e nulla si distrugge, come abbiamo osservato nell’articolo Goro, Gorino e il principio di Le Châtelier e non sarà un Di Maio (al quale lo storico e filologo Luciano Canfora suggerisce di studiare, prima di pretendere di scrivere la Storia) a infrangere una legge di natura, il I principio della termodinamica. In quell’articolo prendevamo in considerazione l’assurdità di pensare che l’Italia potesse dare accoglienza indefinita agl’immigrati approdati in Europa, negavamo fondamento razionale al postulato cattoprogressista di accoglienza indefinita, che soltanto in seguito sarebbe stato contrastato da Minniti: intendevamo affermare il primato del principio di razionalità, contro il business dell’accoglienza, ma soprattutto contro il candore delle anime belle (che hanno la loro buona parte di responsabilità nell’affermazione politica degli spacciatori di paura e odio di casa nostra, in stile Marine Le Pen e Orban: perciò nell’ambito bergamasco abbiamo sempre ritenuto “gravissime” le posizioni cattoprogressiste della dott.ssa Serra).
      Scrivevamo anche (si veda in particolare l’Appendice 1) che «il primo principio della Termodinamica nasce con le macchine termiche, ma è un principio universale. Lo stesso corpo umano può essere assimilato a una macchina termica distribuita in tutte le nostre cellule in migliaia di forme differenti. Così si spiega, per esempio il ruolo dell’adenosina trifosfato (ATP), ragionando sugli scambi energetici che presiedono agli eventi costruttivi nella cellula, come la costruzione di una proteina o la preparazione di un neurone per la trasmissione di un segnale». Naturalmente, il I principio della termodinamica si applica alle risorse necessarie per realizzare i punti programmatici del nuovo governo teleguidato da Di Maio e Salvini. Se tali risorse non sono reperibili nell’Erario e tuttavia si vogliono raggiungere i traguardi di reddito di cittadinanza e tassa piatta, la prospettiva è quella di un impoverimento degli italiani: non solo, ma, tenendo conto della complessità del sistema socio-economico, la prospettiva dell’impoverimento può evolvere nella catastrofe. Le masse deliravano per Mussolini a Piazza Venezia; vent’anni dopo la Storia registrava l’episodio vergognoso di “macelleria messicana” inscenato a piazzale Loreto. Aiutiamo dunque Di Maio a non scrivere una storia analoga!
      Non sono però d’accordo con Giavazzi su due punti:
      • Il principio di razionalità non postula necessariamente il liberismo economico; cioè il fatto che lo statalismo e l’uso sconsiderato delle risorse pubbliche sia in contrasto con il principio di razionalità non comporta, viceversa, che il principio di razionalità implichi il liberismo, inteso come non-statalismo. È una questione di logica, e in logica non è ammesso invertire a piacere la freccia dell’operatore cosiddetto di “implicazione materiale”, come pure non è ammesso spostare a piacere l’operatore di negazione.
      • Mi sembra eccessivo il giudizio formulato a carico di Savona. Giavazzi avrebbe potuto limitarsi ad affermare che Savona è un uomo con un ego debordante, che forse – addirittura – ha in mente un piano C (invece del piano B), e così si spiega che abbia accettato di sputtanarsi. Ma mettere Savona sullo stesso piano di un Claudio «Aquilini» Borghi mi sembra veramente troppo. Anche se, ne convengo, Savona non fa una bella figura a imbarcarsi in quella «nave sanza nocchiere in gran tempesta». Non credo infatti che Conte sia un nocchiero, potrebbe — come suggerisce maliziosamente Canfora — essere meno di un robot (che è dotato di microchip quanto basta, tali da assegnargli certi gradi di libertà e autonomia decisionale). La citazione completa (Purgatorio, VI) è: «Ahi serva Italia, di dolore ostello, / nave sanza nocchiere in gran tempesta, / non donna di province, ma bordello!».

      • Canfora: Di Maio abbia la bontà di studiare, prima di scrivere la Storia!

        «Questi di Cinque stelle sono dei poveretti, ci sarà una serie di elezioni parziali nel corso delle quali perderanno voti a valanga».

  42. Meminisse juvat
    A misura d’uomo e a misura di pollo

    Paginata serrana del novembre 2016. Naturalmente, poiché siamo a Curno, parliamo di pollo fritto, quello celebre cucinato con la ricetta segreta del colonnello Sanders. Il pollo fritto è una delle “eccellenze” di Curno, fiore all’occhiello dell’amministrazione serrana, prima, adesso anche dell’amministrazione serrano-crurale.

  43. Involuzione della sinistra, dal quarto stato al terzo sesso

    Diego Fusaro che si definisce filosofo gramsciano, e che un po’ ci marcia (gli piace piacere), riesce tuttavia a dire efficacemente alcune verità proibite. Noi, riprendendo un verso della canzone Contessa, diciamo solitamente che la sinistra ha gettato la bandiera rossa in un fosso. Grazie alla “rottamazione” degl’ideali della sinistra, che data da Occhetto e dalla levantina “svolta della Bolognina” (Renzi non ha inventato niente), una malefica neosinistra aziendalista, fru-fru e politicamente corretta, indecorosamente narcisista, ha potuto depositare, a mo’ di cuculo, le sue uova nel nido della nobile tradizione umanitaria del socialismo italiano, poi inglobata nel Pci (con tutte le contraddizioni del caso).
    Fusaro, ancora più efficacemente, dice: questi della similsinistra sono passati dalla lotta sociale, dalla difesa degl’interessi dei più deboli (il quarto stato) alle bùbbole della cosiddetta società civile, alla difesa dei cosiddetti nuovi diritti degli Lgbt. In questa proposizione politicamente scorretta, tra l’altro, Fusaro ha introdotto un’espressione a sua volta politicamente scorretta, probabilmente in tutta consapevolezza: quella di “terzo sesso”. Dunque Fusaro è politicamente scorretto al quadrato. Le maestrine allineate con il nuovo che avanza avrebbero facile gioco ad affermare che non esiste un “terzo sesso” (un tempo identificato con quello degli “invertiti”, come diceva un antico combattente comunista, Giancarlo Pajetta), ma che del sesso — anzi, del ‘gender’ — esistono n declinazioni, quante se ne vuole. Perciò si è introdotto il termine Lgbt, che ai due sessi tradizionali del buon tempo antico o, quanto meno, della tradizione giudaico-cristiana, aggiunge quello delle lesbiche (L), quello dei culetti allegri, detti gay (G), quello dei bisessuali (B) e quello dei transgenici, detti transgender (T). E così i sessi sarebbero almeno sei. Ma, com’è noto, Lgbt non basta, perciò si è anche coniato il termine Lgbtq, dove Q sta per “queer”, che letteralmente significa “strano”. Ma il dizionario Longman c’invita a non far uso di questa parla: «Queer – An offensive word used to describe someone who is homosexual, especially a man. Do not use this word». Mah, per capirci qualcosa si renderebbe necessario un approfondimento, possibilmente in un locale Erasmus/Orgasmus, uno di quelli sponsorizzati dall’Aegée, tra una birra e l’altra.

  44. Alzano Lombardo permalink

    @Aristide

    Nel suo diario, vi sono espressioni degne del Pulitzer!

    • Proprietà di linguaggio

      In quanto convinto praticante della ‘tapinòsi’ (cosiddetto understatement) sono costretto a non accettare il complimento, usando però tutto il garbo che si conviene; sia come sia, come persona educata non posso fare a meno di ringraziarla per così fin troppo benevolo giudizio. Del resto le espressioni, le parole e le stesse lettere dell’alfabeto sono tutte lì, sono fatte per essere usate. Bisognerebbe però usarle bene e non come viene viene o, peggio ancora, per accreditarsi una fichitudine inesistente.
      Per esempio, un giorno il gatto padano lesse sulla Repubblica la parola “turibolare”, gli piacque, e decise di usarla anche lui, ma nel nel senso di “agitatore di turibolo”, “incensatore”. Peccato che in questo senso non si dica turibolare, ma turiferario. Lo facemmo presente al gatto padano: «Colui che lei chiama turibolare in italiano si dice “turiferario” (sostantivo). “Turibolare” è aggettivo (= proprio del turibolo), oppure verbo, come alternativa di “incensare” (l’espressione fu di moda negli anni del fascismo, ma se ne ha riscontro anche in C.E. Gadda)». Il gatto non se ne diede per inteso, disse che “turibolare” è vocabolo attinto dal lessico del polemista (e giurista) Franco Cordero, che un tempo andava per la maggiore. Sì, ma bisogna vedere in quale accezione di significato. In ogni caso, Cordero o non Cordero, la proprietà di linguaggio vuole che “turibolare” sia aggettivo o verbo (coniugato all’infinito). Ma il gatto insiste e, quando ancora gli era consentito scrivere in questo nobile diario così si pronunziò, oracolarmente (beh, ci mancherebbe: il gatto è insieme oracolare e istituzionale, e tante altre cose ancora; ma, soprattutto, urbanista, ancorché agrimensore, tanto da impersonare per l’arch. Conti un pericoloso antagonista, un vero e proprio babau): «Nossignore. Turibolare (di questi tempi) lo utilizza Franco Cordero che e’ ben vivo e vegeto mentre Piovene sta altrove [che c’entra Piovene? N.d.Ar.].
      Analogamente il gatto insiste a parlare impropriamente di stravento, a usare l’acronimo UU.TT. per dire Ufficio tecnico (che semmai potrà significare Uffici tecnici), addirittura pone sul tappeto l’esigenza improrogabile di piste “pedociclabili”; ecc. Una sola volta l’abbiamo visto fare marcia indietro, ma alla chetichella. Aveva scritto un improbabile “redarre” (coniato a orecchio dal participio passato, di uso frequente, “redatto”): noi gli facemmo notare l’errore, perché “redatto” è il participio passato di “redigere”; lui allora quatto quatto sostituì “redarre”, non con “redigere” (non voleva darci questa soddisfazione), ma con un sinonimo. Mondo gatto: miao.

  45. Pater familias permalink

    @Perlita Serra

    Vedi:

    Fare clic sull’immagine per leggere l’articolo pubblicato nel sito del Fatto quotidiano.

    [Chissà se si potrà mai affrontare il discorso in maniera intelligente: mettendo nel conto il bene pubblico, per esempio, e il bene dei bambini spesso vittime dell’egoismo di mammi e babbe, e del loro pazzo desiderio di “normalità”, di volta in volta bistrattata, o idolatrata. Un discorso come potrebbero intavolare Diderot e Voltaire, mica Asia Argento e la Boldrina. Ovviamente — ça va sans dire — senza cadere negli stilemi della rozzezza fascioleghista: sì, ma quando mai si potrebbe ragionare in maniera intelligente con i fascioleghisti? Altro sarebbe discorrere con un fascista storico, con un Malaparte, con un Bottai, per esempio: si potrebbe dissentire alla mistica dello “Strapaese” a suo tempo caldeggiata da Malaparte (infatti io dissento), ma tutto si può dire, tranne che Malaparte fosse un cretino. La prospettiva oggi, e ormai da un po’ di tempo, e chissà per quanto tempo ancora a venire, purtroppo, è cupa: ‘mala tempora currunt’. Saremo costretti a fare discorsi intelligenti di nascosto, nelle soffitte, nei sotterranei, badando bene di non essere sentiti. Perché lo stronzo politicamente corretto è in ascolto dappertutto, pronto a denunciarti al Tribunale dell’Inquisizione PC (Politically correct).
    Nell’articolo sul Fatto quotidiano leggo che la Brambillona animalista pretenderebbe darci lezioni di civiltà. Andiamo male: personalmente mi rifiuto di prendere lezioni da lei. Io non conto un cazzo, lo so; ma non ho mai fatto ricorso a calze autoreggenti o simili strumenti sleali di competizione, per affermarmi nel palcoscenico della società dello spettacolo. Non prenderei nemmeno la tessera Aegée: e non solo adesso (grazie tante) ma soprattutto non l’avrei presa quand’ero giovane, quando semmai disprezzavo e combattevo questo genere di gherminelle.
    N.d.A.]

    • Autoreggenti

      Con riferimento a quanto scritto nel commento precedente, ecco la Brambillona in autoreggenti, presenza assidua nei talk show, al tempo della sua folgorante carriera nel partito di Berlusconi. Ebbe l’onore d’ispirare una statuina del presepe, in vendita al mercatino di via san Gregorio armeno, Napoli.

  46. Cri da Verona permalink

    Andrée Bella, Socrate in giardino, passeggiate filosofiche tra gli alberi, Ponte delle Grazie, Milano 2014.

    • Un libro che non ho letto, e che non mi piace

      Non sapevo di questo libro, perciò mi sono rapidamente informato sul libro stesso e sulla sua autrice. Dunque, il libro tratta della «filosofia come cura di sé, come esercizio per vivere meglio, per trasformare se stessi e i luoghi in cui viviamo, che sono parte di noi: dunque non una filosofia speculativa, astratta e lontana, ma la ricerca di una saggezza e di una felicità immanente». Mah, un conto è la filosofia come maestra di vita, e alla quale conformare la vita stessa; altro è voler fare della filosofia un lenitivo, perché magari una è un po’ nervosa e va alla ricerca di qualcosa che le distenda i nervi, e allora legge un libro di filosofia spiccia. Ma la filosofia non è una tisana (mi era venuto in mente di scrivere una pomata per i calli, mi sono trattenuto).
      Quanto all’autrice, Andrée Bella è «psicologa clinica, da anni si occupa di coniugare filosofia intesa come pratica di trasformazione di sé, psicologia e pedagogia nell’ambito della pratica clinica e delle attività formative che svolge in diversi contesti tramite l’Associazione Eupsichia di cui è fra le socie fondatrici […] Uno dei suoi temi di ricerca e sperimentazione è quello del rapporto psiche-universo naturale, che ha approfondito intrecciando la filosofia antica, il mito e la psicoanalisi». Insomma, una Martha Nussbaum de noantri. Attingo queste notizie dal sito di un’associazione culturale comasca che sciacquettisticamente s’intitola ParoLario (il solito giochino di parole, in questo caso coniugando il termine “parolaio”, inteso come regno del Logos (immagino), e Lario = Lago di Como: analogamente, la testata “Curno in Comune”, gioca tra l’espressione avverbiale “in comune” e il complemento di luogo “in Comune”; per non parlare dei negozi che s’intitolano “Non solo pane” o di quelli, di prossima apertura, che portano l’insegna “Non solo cazzi”).
      Dulcis in fundo, il libro è stato presentato presso l’associazione culturale ParoLario (ovviamente): Andrée Bella ne ha «dialogato con Chiara Milani. Introduce Ornella Gambarotto, presidente Comitato Imprenditoria Femminile della CCIAA di Como». Tanto basta perché concluda affermando che “non ho letto questo libro e non mi piace” (copio l’espressione da Ceronetti).
      Consiglio il libro alla dott.ssa Paola Bellezza, responsabile del settore Cultura del Comune di Curno; alla dott.ssa Perlita Serra, sindachessa emerita e cattofemminista; al gatto padano, agrimensore copropapirologo, nonché paladino dei “nuovi diritti” e del “nuovo che avanza”; alla dott.ssa Annalisa di Piazza, che a Curno fu già «Segretario comunale e Direttore Generale e responsabile diretta di diversi settori», ma oggi è conosciuta soprattutto come autrice di un giallo Lgbt-friendly; a MarcoBattaglia, già responsabile degli eventi culturali Aegée (forse lo è ancora; in ogni caso è molto presente sul fronte degli eventi culturali e cervisiari legati all’indotto dell’Erasmus).

  47. Cara Brambillona, animali sono anche i bacarozzi
    L’animalismo acchiappa-voti è ben conosciuto, anche a Curno. Dove però la destra ha altri grilli per la testa

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    Si veda quanto abbiamo scritto della Brambillona e della sua folgorante carriera politica in un commento precedente. Prendendo spunto dal recente truce episodio della cagnetta incaprettata, Michela Brambilla «si è presentata a Montecitorio con un cesto contenente i nove cuccioli sopravvissuti e ha raccontato il maltrattamento e l’uccisione nei giorni scorsi di questa “madre coraggio non umana”». Il suo racconto è stato sceneggiato secondo i canoni della cosiddetta pornografia del dolore, in forma di conferenza stampa convocata a Montecitorio, in sede molto istituzionale, per “ottimizzare” l’impatto mediatico: si veda la foto qui sotto e il comunicato Ansa: ‘Luce’ la cagnolina incinta uccisa diventa simbolo per norme più severe, dove si legge tra l’altro: «In qualità di parlamentare della Repubblica, di ex ministro, presidente di LEIDAA e del Movimento Animalista vi annuncio che ora non tollero più, mi sono davvero rotta di queste bestie e di questo paese di incivili!». Il fatto che la Brambillona «si sia rotta», come dice nella conferenza stampa e scrive nella pagina Facebook, avrà verisimilmente poca rilevanza nel comportamento incivile degl’italiani. Ma lei ha aggiunto notizia (e propria visibilità mediatica) alla notizia: la sua indignazione, in base alla quale siamo indotti a pensare che lei sia una persona buona) è rimbalzata su giornali e telegiornali. Una canzone di Boncompagni recitava: «Meglio vagabondo che moribondo». Amen. Per parte nostra, non mettiamo in dubbio che la Brambillona sia una persona buona, caritatevole generosa, anche nei confronti degli umani. Ricordo però, sommessamente, che l’amore per gli animali non è condizione sufficiente per dare una patente di umanità a chi lo rivendica. Siamo tutti a conoscenza di persone che amano molto o moltissimo i cani, o i gatti, e che tuttavia sono delle carogne.

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    Testata della pagina Facebook dell’ex ministra berlusconiana (fare clic sull’immagine per accedervi).

    Pennacchi, nel corso di questa stessa doppia intervista presso la labbrona teutonica, qui sopra riportata, affermò: «Anche i bacarozzi sono animali. Se invece v’interessano i cani e i gatti, allora ditelo: più che altro v’interessano i voti». Domanda, con riferimento al paese bello — anzi, bellissimo — da vivere: che fine ha fatto la famosa associazione “Curno a sei zampe”, gran genialata della destra curnense? Tutto in realtà fa pensare che Lega ex-nord e Forza Italia a Curno abbiano ben altro per la testa, con l’aria che tira. Il discorso è semplicissimo: a Curno Forza Italia ha cannibalizzato la Lega nord (tant’è che in Consiglio comunale non siede nemmeno un rappresentante della Lega), mentre in sede nazionale la Lega ha cannibalizzato Forza Italia. Bisogna inoltre considerare che la sconfitta della destra curnense si deve fondamentalmente alla pervicace volontà di Locatelli di essere il capolista della coalizione, in primis; quindi anche all’aver impostato la campagna elettorale fondamentalmente su argomenti copropapirologici: la c.d. maxi moschea e la variante al Pgt, con grande schieramento di agrimensori e avvocati i cui argomenti erano quelli stessi che da qualche mese il gatto padano andava ripetendo. Sono cose che la Lega sa benissimo, e non c’è bisogno di essere profeti per capire che, alla prima occasione, ci sarà un (politicamente) sanguinoso redde rationem.
    In effetti la destra è stata molto vicina a riportare la vittoria, grazie soprattutto alla dott.ssa Serra, che aveva esasperato gli animi. Un candidato sindaco meno divisivo, rispetto a Locatelli, e un’impostazione della battaglia elettorale giocata sugli errori politici e l’insensibilità sociale della similsinistra, invece che sfarzosamente copropapirologica, avrebbe portato la destra alla vittoria. Fecero di tutto per portare Gandolfi dalla loro, si parlava della promessa di un assessorato, qualora Gandolfi avesse espresso il “mi piace”. Ma Gandolfi, rimpianto sindaco del buon governo, aveva un onore da difendere, disse di no, nonostante fin quasi all’ultimo giorno utile continuasse a ricevere pressioni per un pronunciamento a favore di Locatelli, che fu suo assessore fino al 19 marzo 2012; quel giorno Locatelli si levò la giacca di assessore gandulfiano per prendere parte — ilico et immediate — alla congiura serranopedrettista, e fondare quindi con il Pedretti la lista Curno oltre, in occasione delle elezioni amministrative del maggio 2012.
    Dunque la destra a Curno ha perso per due ragioni: perché aveva un candidato sindaco sbagliato e perché si è prestata al gioco di cannibalizzazione architettato da Alessandro Sorte. Il quale farà di tutto per non essere cannibalizzato, in sede bergamasca, ed è prematuro dire se lui, personalmente, riuscirà a risalire la china. Appare invece certo che Locatelli non risalirà la china. Cavagna il Giovane, che si è sempre comportato da leghista ruspante, potrebbe essere tentato di fare il salto della quaglia e passare alla Lega: dovrebbe farlo fin d’ora, per salvare la sua pelle politica e mettere a freno l’ira dei leghisti nei confronti di Locatelli. Al qual converrebbe fare buon viso a cattivo gioco, come succede nel gioco della dama e degli scacchi, allorché si accetta di essere “mangiati”, cioè di subire un danno immediato, in vista di un vantaggio futuro.

  48. Adesso Claudio «Aquilini» Borghi fa i sorrisetti asseverativi: vuol dire che è in imbarazzo? O che addirittura mente sapendo di mentire?

    Sicuramente Borghi è in imbarazzo. Quanto al fatto che menta sapendo di mentire, non credo. Lui, semplicemente, ignora come stiano le cose, e non gl’interessa saperle e non è probabilmente nemmeno in grado di comprenderle. Ha la mentalità di chi ha fatto carriera abbindolando i gonzi, perciò ha un’alta opinione di sé, in base al pregiudizio volgare (da sempre) e, oggi, in particolare, aziendalistico, per cui se hai fatto il dané o sei riuscito a fregare il prossimo allora il tuo successo è comunque un titolo di merito (mentre in una prospettiva non volgare potrebbe essere un titolo di demerito). Però, quando uno è “determinato”, non si pone certo limiti morali o, peggio ancora, filosofici in senso lato (com’è noto, si ciurla parecchio nel manico, in fatto di etica: vedi la pretesa di eticità di certe banche o delle persone che fanno lavori infami e invocano come scusante una presunta “etica professionale”: merda!).
    I sorrisetti asseverativi di Claudio «Aquilini» Borghi, oltre che l’imbarazzo, denunciano l’alta, altissima opinione che lui ha di sé. Perciò, fra l’altro, ci fa sapere di tifare a Siena per la sua contrada, che è quella dell’Aquila, naturalmente, perché adesso lui al suo nome all’anagrafe ha aggiunto l’«Aquilini», così magari ci scappa una patente di nobiltà (gli Aquilini pero, sine nobilitate, sono di Carate Urio); perciò si dice professore di economia (ma è stato docente a contratto per la Cattolica, dove ha insegnato il marketing delle opere d’arte, un argomento su cui ha scritto un libro: vedi sotto); perciò in qualità di consigliere comunale a Como si dice entusiasta di una possibile nuova destinazione distaccata della facoltà di architettura di Mendrisio (Svizzera) nella sede dell’ex Casa del Fascio, il capolavoro di architettura razionalista del quale ci siamo occupati in questa pagina; ma ha fatto tutto lui, non si è nemmeno domandato, prima di parlare, che cosa ne pensino al Comando Provinciale di Como della Guardia di Finanza, che qui ha la sua sede ormai da sessant’anni. Ma che importa? È importante il botto mediatico, il lancio di agenzia, il filmato You tube: potenza delle pubbliche relazioni al ribasso!


    Queste sono le pubblicazioni economiche di Claudio Borghi registrate presso il Servizio Bibliotecario Nazionale (Opac-Sbn): 1. ‘Investire nell’arte’, Sperling & Kupfer, 2013; 2. ‘Basta euro: come uscire dall’incubo: 31 domande, 31 risposte, la verità che nessuno ti dice’ (con postfazione di Matteo Salvini), Lega nord, [S.l.] 2014. Non è da escludere però che altre pubblicazioni “scientifiche” di Borghi siano state stampate per i tipi della Lega nord, senza però che fossero notificate al Servizio bibliotecario nazionale, come pure sarebbe d’obbligo, a norma di cacata carta. Vabbè, fin qui niente di male, dal mio punto di vista anarchistico. Ma rimane il dubbio: veramente Borghi è uno scienziato dell’economia? Al confronto, facendo una ricerca sull’Opac-Sbn il nome di Paolo Savona ricorre, a vario titolo, 400 volte (invece che due).

  49. Tinto permalink

    Sul piano etico il culo è più onesto della faccia, non inganna, non è maschera ipocrita.

    [È una verità difficilmente oppugnabile, su base sperimentale. N.d.Ar.]

  50. Sgarbi contro Scanzi

    Se ho capito bene, Scanzi ha scritto da qualche parte, o ha affermato pubblicamente, che gli spettacoli di Sgarbi hanno scarso successo; inoltre nel corso di una seduta di chiacchiericcio televisivo condotto da Bianca Berlinguer (che purtroppo ho visto, compresa la carne tremula della conduttrice, che farebbe bene a coprirsi), ha affermato che Sgarbi ha cambiato orientamento politico più spesso di quanto cambi solitamente le mutande, tanto da meritarsi di essere definito «politicamente prostituto». È probabile tuttavia, anzi è certo, che mi manchino alcuni elementi di questa disamistà.
    Una cosa è certa e, dal mio punto di vista, imperdonabile: Scanzi si esprime solitamente con virulenza inaudita nei confronti di Maria Elena Boschi, la quale sarà anche stata una peccatrice al riguardo della Banca Etruria, ma rimane pur sempre una santa, essendo redenta dalla bellezza, dal garbo gentile e da rara gentilezza. Scanzi, non pago di aver negato la bellezza della Boschi in toto (ha affermato che la Boschi è «il grado zero dell’erotismo»: non gli fa sangue? peggio per lui!), ha preteso di sconciarne le parti, sprezzandole con la grevità di un agrimensore che faccia una perizia al ribasso, copropapirologica, del Palazzo della Civiltà del Lavoro all’Eur. Già, ma chi è questo Scanzi per osare di parlare della Madonna di Arezzo? Come osa, con la sua abbronzatura da impiegatuccio che voglia farci credere di essere di ritorno dalle Isole Fortunate, con il suo orecchino, con le sue cremine spalmate sul volto? Perciò non saremo noi a tenere a freno Sgarbi che vomita la propria ira su Scanzi.

  51. Katà tò chreòn, o katà tèn Chrònou taxin permalink

    é per Aristide da Anassimandro

    “Mi sembra di aver già visto questa versione, che cioè me l’avessi mandata qualche mese fa. Ecco una mia analisi logico-sintattica, di stampo positivistico, dunque eretica e “superata” (sì, ma intanto quelli della grammatica generativa e quelli della grammatica valenziale, che sarebbero quelli del “nuovo che avanza”, non saprebbero che pesci pigliare):

    • ut tantae… experiretur è una completiva (ovvero “sostantiva”, come si legge nel Tantucci), esplicita oggettiva, cosiddetta volitiva, perché dipende da hortor
    • largitus e parens sono participi congiunti con valore rispettivamente temporale e causale (= cum parere vellet); nell’analisi del periodo hanno valore di proposizione secondaria implicita; ma se facciamo l’analisi della proposizione dobbiamo dire che sono dei complementi attributivi.
    • anche emissos è participio congiunto come pure conspicatus e aspernatus
    • incolumes è compl. predicat. dell’oggetto
    • ut… eum necaret è una completiva esplicita (costruita col cong.) dopo un verbum eveniendi
    • fastiditus è il solito part. congiunto con valore temporale
    • hortans è un participio congiunto con valore modale; nell’analisi della proposizione equivale a un complemento avverbiale di modo (= “persuasivamente”, o giù di lì)
    • conspicatus e aggressus: participi congiunti con valore temporale
    • territus è un participio attributivo (dunque nell’analisisi della proposizione è complemento attributivo)
    • urgens e recedens, saliens sono participi congiunti di valore modale”

    • Plinio, un transpadano intelligente

      Già: lo scorrere del tempo (κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν, “secondo l’ordine del tempo”) è comunque segnato da un destino di distruzione (κατὰ τὸ χρεὼν, “secondo necessità”); abbiamo un bel daffare a mostrare una grintosa (e maleducata) dterminazione: siamo comunque limitati, spazialmente e temporalmente.

      Questo afferma un frammento di Anassimandro, peraltro variamente interpretato:
      ἐξ ὧν δὲ ἡ γένεσίς ἐστι τοῖς οὖσι, καὶ τὴν φθορὰν εἰς ταῦτα γίνεσθαι κατὰ τὸ χρεών· διδόναι γὰρ αὐτὰ δίκην καὶ τίσιν ἀλλήλοις τῆς ἀδικίας κατὰ τὴν τοῦ χρόνου τάξιν.

      Cioè: “Da dove è il nascere per le cose che sono lì è anche la loro dissoluzione, secondo necessità; infatti esse scontano a vicenda giustizia e ammenda per la loro ingiustizia, secondo l’ordine del tempo”.

      Quanto alle note logico-sintattiche sopra riportate, varrà la pena proporre il testo al quale sono riferite: è un brano di versione proposto agli studenti del liceo, quando siano arrivati a studiare la sintassi del verbo, in particolare il participio (quello che Salvini scambiò con un gerundio: «I migranti? Per me sono un gerundio!»). Ecco il brano di versione:

      Un cane di nobile razza
      Canem inusitatae magnitudinis Alexandro Magno largitus, rex Albaniae eum hortabatur ut tantae ferae indolem experiretur. Alexander, hospitis sui verbis parens, cervos ex caveis emissos ei opposuit. Parvulas feras conspicatus et aspernatus, canis eas neglexit atque incolumes dimisit. Sic accidit ut Alexander, ira motus et segnitie canis fastiditus, eum necaret. Tum hospes Alexandro dono alterum canem eiusdem generis misit, hortans ne parvas beluas ei opponeret sed potius leonem vel elephantum adduceret. Id cum Alexander fecisset, canis, leonem conspicatus statimque eum aggressus, brevi tempore corpus eius dilaceravit. Nec magis territus ab elephanto, qui post leonem adductus erat, modo urgens modo recedens modo inconstantius saliens, eum tot orbibus circumduxit ut, vertigine afflictus, ad solum procubuerit ibique, velut mortuus, iacuerit.

      Le note sono scritte nell’ottica grammaticale del buon liceo classico d’un tempo, quando il metodo d’analisi era quello positivistico mutuato dalla filologia tedesca (la grammatica latina del liceo statale postunitario era quella dello Schultz, o del Madvig, mentre la grammatica greca era quella del Georges; da quel filone gemmarono le nostre ottime grammatiche). Oggi si pretende che l’analisi logica (con cui si designa, riduttivamente, la sola sintassi della proposizione) non sia più necessaria; e c’è chi storce il naso sull’analisi del periodo. Mah… Quando qualcuno scriverà una grammatica del latino potente, basata sui placiti della grammatica generativa o di quella valenziale, e che mi consenta un’analisi del testo precisa e intelligente come quella offerta dalla grammatica positivista, non mancherò di togliermi il cappello. Ma finché il problema viene posto in termini di “nuovo che avanza” ma poi, gratta gratta, alle pretenziose petizioni di principio fa seguito fuffa, e soltanto fuffa, io mi tengo ben stretta la grammatica positivista.

      Il brano proposto è un aggiustamento scolastico di una pagina di Plinio (Storia naturale, VIII):

      Il brano originale di Plinio è di ben altra eleganza, rispetto alla versione semplificata: non per questo ci strapperemo i capelli, bisogna dare spazio alle esigenze didattiche. L’importante è tuttavia che, arrivati a un certo grado di conoscenza della lingua, si sia in grado di leggere qualunque testo, senza aggiustamenti.
      Plinio il naturalista, conosciuto come Plinio il Vecchio, e suo nipote Plinio il Giovane erano di Como (anche se Petrarca e qualcun altro in epoca umanistica vollero che Plinio il vecchio fosse veronese). C’è una pagina di Plinio il Vecchio in cui tratta scherzosamente del carattere ruvido ma onesto dei transpadani. I quali — parlo di quelli attuali — farebbero bene ad essere orgogliosi dei due Plinii: invece i mongoidentitari padani non soltanto li ignorano, ma si vantano di una discendenza celtica per lo più inesistente o quanto meno annacquata (per via degli stupri subiti a ripetizione dalle loro contadine antenate, dello jus primae noctis ecc.), si trastullano con le zucche simil-Halloween e con ’sti cazzi. Cose da pazzi.

      • Il mongoidentitarismo e la cacata carta

        Su Nusquamia ci siamo espressi più di una volta contro il mongoidentitarismo, in particolare contro quello padano. Si veda, alla fine dell’articolo Appunti di astronomia padana un elenco (parziale) di articoli correlati all’argomento. Naturalmente, non bisogna fare di ogni erba un fascio: altro è l’interesse per i fenomeni linguistici (sacrosanto), altro è l’etnomusicologia e altro è, come ricordiamo nell’intervento precedente, la baggianata delle zucche celtiche, per non parlare dei matrimoni celtici con cui Roberto Calderoli e Roberto Castelli, già ministri della Repubblica, posero il sigillo alla loro unione con le rispettive promesse; altro, infine, è l’odiosa fatwa lanciata dal greve, nonché ferocemente ìnvido, gatto padano, il quale annunciava l’opportunità di prendere a “plocade” i maestrini sardagnoli.
        Ciò premesso, mi par giusto, per par condicio, prendere le distanze da un progetto di voler istituire una “lingua sarda unica” che, a norma di cacata carta, sia una «limba standard, obligatoria in iscola e uffitzios, essere a su paris de s’italianu in cada aspetu» (“una lingua standard, obbligatoria a scuola e negli uffici, che sia alla pari dell’italiano sotto ogni aspetto”): così si legge in un comunicato stampa del movimento Sardigna Natzione . Il fatto è che una tale lingua non esiste (semmai esistono un logudorese, un campidanese ecc.), come non esiste un lombardo unico (semmai sono identificabili, grosso modo, un lombardo occidentale, uno orientale ecc.). Rivendicare un sardo unico, cioè unificato a norma di cacata carta servirà tutt’al più a dar soddisfazione alle ambizioni di qualche neo-linguistica, a qualche cultore di storia locale (una genìa notoriamente pericolosissima, fanatica e intrattabile, come già osservava Merimée nella Vénus d’Ille) e, quel che è peggio, ad alimentare una burocrazia copropapirologica.


        La stessa locandina di Sardigna Natzione che rivendica una lingua sarda unificata (vedi qui sopra) contiene uno strafalcione, anzi due. Infatti, il gallurese non appartiene al gruppo linguistico sardo, essendo una varietà del còrso, dunque appartiene al novero dei dialetti del gruppo toscano; l’algherese invece, com’è noto, è una varietà del catalano, che non ha seguito l’evoluzione linguistica della Catalogna: come il francese del Canada, che risulta antico a petto del francese di Francia, o il genovese che si parla nell’isola di san Pietro (sempre in Sardegna), che è un genovese anch’esso antico, quella dei genovesi reduci dall’isola di Tabarca, in Tunisia.
        Insomma, ognuno dovrebbe essere libero di parlare come meglio gli piace, se trova interlocutori disposti ad ascoltarlo, s’intende. A me piace parecchio, per esempio, il sardo colto del mio professore di greco, Aristide Murru, che qui sotto sentiamo in una rievocazione del suo amico, l’etnomusicologo Andreas Bentzon:

        Ma un sardo unificato a norma di cacata carta? Po caridari! (= per carità!).

  52. Martina permalink

    Della banale efficacia del male. Il manuale Goebbels:

    1. Principio della semplificazione e del nemico unico.
    E’ necessario adottare una sola idea, un unico simbolo. E, soprattutto, identificare l’avversario in un nemico, nell’unico responsabile di tutti i mali.
    2. Principio del metodo del contagio.
    Riunire diversi avversari in una sola categoria o in un solo individuo.

    3. Principio della trasposizione.
    Caricare sull’avversario i propri errori e difetti, rispondendo all’attacco con l’attacco. Se non puoi negare le cattive notizie, inventane di nuove per distrarre.

    4. Principio dell’esagerazione e del travisamento.
    Trasformare qualunque aneddoto, per piccolo che sia, in minaccia grave.

    5. Principio della volgarizzazione.
    Tutta la propaganda deve essere popolare, adattando il suo livello al meno intelligente degli individui ai quali va diretta. Quanto più è grande la massa da convincere, più piccolo deve essere lo sforzo mentale da realizzare. La capacità ricettiva delle masse è limitata e la loro comprensione media scarsa, così come la loro memoria.

    6. Principio di orchestrazione.
    La propaganda deve limitarsi a un piccolo numero di idee e ripeterle instancabilmente, presentarle sempre sotto diverse prospettive, ma convergendo sempre sullo stesso concetto.
    dubbi o incertezze. Da qui proviene anche la frase: “Una menzogna ripetuta all’infinito diventa la verità”.

    7. Principio del continuo rinnovamento.
    Occorre emettere costantemente informazioni e argomenti nuovi (anche non strettamente pertinenti) a un tale ritmo che, quando l’avversario risponda, il pubblico sia già interessato ad altre cose. Le risposte dell’avversario non devono mai avere la possibilità di fermare il livello crescente delle accuse.

    8. Principio della verosimiglianza.
    Costruire argomenti fittizi a partire da fonti diverse, attraverso i cosiddetti palloni sonda, o attraverso informazioni frammentarie.

    9. Principio del silenziamento.
    Passare sotto silenzio le domande sulle quali non ci sono argomenti e dissimulare le notizie che favoriscono l’avversario.

    10. Principio della trasfusione.
    Come regola generale, la propaganda opera sempre a partire da un substrato precedente, si tratti di una mitologia nazionale o un complesso di odi e pregiudizi tradizionali.
    Si tratta di diffondere argomenti che possano mettere le radici in atteggiamenti primitivi.

    11. Principio dell’unanimità.
    Portare la gente a credere che le opinioni espresse siano condivise da tutti, creando una falsa impressione di unanimità.

    Joseph Paul Goebbels, Ministro della Propaganda nazista.

    [Goebbels aveva capito tutto. Le sue direttrici per coglionare il popolino hanno valore universale. Aveva inoltre il dono della sintesi. Salvini non riuscirà mai ad essere Goebbels, non ha stoffa. N.d.Ar.]

  53. Valentina permalink


    [‘La zattera della Medusa’, conservato al Louvre, è un dipinto di 7x5m eseguito dall’allora 27enne Théodore Géricault in soli 8 mesi di febbrile lavoro, comprendente la ricostruzione di un modellino della zattera, l’osservazione delle tempeste sul mare di Le Havre e studi, eseguiti all’obitorio, su cadaveri di persone decedute per annegamento e arti amputati in corso di putrefazione. Fra i volti presenti nel dipinto, il ritratto dell’amico Delacroix, un altro pittore engagée. L’opera vinse la medaglia d’oro al Salon del 1819, senza però venire acquistata dallo Stato che tanto aveva cercato di insabbiare il caso dei tardivi e inconsistenti aiuti alla fregata francese, affondata al largo della colonia del Senegal nel 1816. Delle 400 persone presenti sulla fregata, a seguito del naufragio in dozzine furono trascinate via dalla corrente del mare in tempesta. 151 riuscirono a rifugiarsi su una zattera di fortuna, lunga 20m e larga 7m, in attesa di essere salvati. Nel corso della prima notte, morirono in 20, fra cui alcuni suicidi. Nei giorni successivi si verificarono ammutinamenti e omicidi; altre persone si gettarono in mare per la disperazione. Pensate ai giorni trascorsi sotto il sole cocente di luglio, o alle notti trascorse in balia delle onde e nella piena oscurità. Dal nono giorno, per sopravvivere, i superstiti dovettero bere le proprie urine e praticare il cannibalismo nei confronti dei compagni deceduti. Dopo 13 giorni dal naufragio, il battello di soccorso Argus riuscì finalmente a intercettare la zattera, trovando ormai solo 15 persone sopravvissute, di cui 5 morirono di stenti durante il viaggio di ritorno in patria. Fra chi tornò vivo, solo in 2 parlarono, provocando una profonda indignazione non solo in Francia, ma in tutta Europa. Géricault, per la prima volta nella storia dell’arte, applica ai corpi della gente comune i canoni e le proporzioni dell’arte classica, elevando i naufraghi a uno stato eroico. Lo storico Jules Michelet, osservando il dipinto, commentò: “Tutta la nostra società è a bordo di quella zattera”.
    Non ho mai sentito evocare questa storia e questo capolavoro dell’arte in uno solo dei tanti dibattiti circa la possibilità o meno di accogliere i migranti che attraversano il mare, di inviare gli aiuti, di aprire i porti, di salvare le vite. Penso che un’immagine valga più di mille parole: la dedico a chi strumentalizza il problema e anche a coloro che si lasciano trascinare da questa propaganda, complici del grave imbarbarimento della nostra società, della progressiva disumanizzazione dei nostri rapporti con gli altri, e naturalmente della sofferenza e della morte di tante, tante persone].

  54. Grazia permalink

    I giochetti si stanno scoprendo

    Vedi:
    http://www.oltrelalinea.news/2018/06/11/ore-22-nave-ferma-aquarius-snobba-la-spagna-e-vuole-solo-litalia/

    [Non so, forse conviene aspettare (non troppo, però) di saperne di più, acquisendo dati certi, prima di dare un giudizio sulle responsabilità di Malta, quelle degl’italiani, quelle dell’Europa. Ma, di là dai dettagli, rimane la questione di fondo, che è sempre la stessa, anche se la si è per lo più voluta ignorare, strumentalizzare e trasformare in un’occasione di business. Che si arrivasse a questo punto (speriamo che ci si fermi qui) era praticamente inevitabile. Le colpe della sinistra e in particolare quelle di un certo cattoprogressismo, ottimamente rappresentato a Curno, paese delle eccellenze (la nuova scuola elementare, il bibliomostro e il pollo fitto), dalla dott.ssa Serra, sono evidenti. Così abbiamo sempre scritto su Nusquamia, per esempio nell’articolo Goro, Gorino e il principio di Le Châtelier: se la similsinistra ignora la realtà (gli uomini resi cattivi dalla crisi economica sono anch’essi una realtà), se la dott.ssa Serra si rifiuta di parlare dei problemi emergenti a ridosso della campagna elettorale, come nel caso della montatura della maxi Moschea, allora il sistema si vendica, partorisce mostri, con la benedizione di Salvini. Il quale lucra sull’irrazionale come le cooperative lucrano talvolta (secondo alcuni, spesso) sul sistema d’accoglienza italico. Non fosse che non saremo certo noi a fare i sodomiti con il martoriato deretano altrui, non fosse che sappiamo quali tormenti e quali torture abbiano subito gran parte dei 600 profughi dell’Aquarius, sarebbe proprio il caso di dire: ‘Oportet ut scandala eveniant’. La similsinistra, fino a Minniti, che comunque agì con grandi poteri, è vero, ma fu politicamente isolato nel suo stesso partito, si era appiattita sul cattoprogressismo. Bisognerebbe ricuperare la linea Minniti; la cosiddetta sinistra, rifondandosi, dovrebbe fare della razionalità il proprio vessillo, in contrasto con la bestialità di Salvini e la coglioneria dei grillini. Soprattutto, bisognerebbe decidersi a dare il benservito ai cattolici in politica, tanto più che questi cattolici non credono in Dio. Proporrei, dato che ci sono, l’abolizione dell’insegnamento della religione nelle scuole di Stato. Mah, credo che siano parole al vento. N.d.Ar.]

  55. Quanto è professore il prof. Borghi?


    Mel sito dell’Università cattolica di Milano (fare clic sull’immagine) si legge (oggi 12 giugno 2018), a proposito di Claudio Borghi: «Docente non abilitato per questa funzione. Contattare l’amministratore del sistema».

    Come i lettori di Nusquamia sanno, abbiamo sempre dubitato che Claudio «Aquilini» Borghi fosse veramente uno scienziato dell’economia: del resto, se lui fa battute invece che ragionamenti, se è oracolare invece che paziente investigatore, e se al termine delle battute ti fa anche il sorrisetto asseverativo (di indubitabile significato, come nel caso della dott.ssa Serra: tiè, tiè, tiè!), come possiamo pensare che in lui alberghi il sacro furore per la ricerca della verità scientifica? Cioè una verità probabile: solum certum, nihil esse certi. Per Claudio Borghi l’effetto (mediatico) è tutto, e quello lui cerca: l’effetto, e nient’altro. Quei due libri registrati al catalogo digitale del Servizio bibliotecario nazionale, dei quali abbiamo dato conto in questa pagina, ci sembravano un po’ poco come titoli di merito scientifico.
    Avevamo anche affermato che era stato docente a contratto, riguardo al suo specifico, il marketing delle opere d’arte, pare che lui stesso abbia investito in opere d’arte e che abbia fatto il dané. Adesso possiamo essere più precisi: Borghi fu «Professore di Economia degli intermediari finanziari, Economia delle aziende di credito ed Economia e Mercato dell’arte». Mamma mia! Secondo i maligni il suo era «un piccolo corso con cui gli studenti arrotondavano i crediti»: si veda un vecchio articolo (2015), Il declino di Borghi, l’ideologo anti-euro che non incanta più Salvini. Sì, però a Salvini ha fatto comodo, e fa tuttora comodo, se Borghi continua a incantare i gonzi.
    Eppure passa per essere un economista, un professore. Myrta Merlino lo definì “ministro in pectore” dell’Economia nel nascente (e ormai nato) “governo di contratto”, questo governo Lega/M5S per cui ancora una volta dobbiamo vergognarci di essere italiani. Lui se viene definito responsabile economico della Lega non dice di no. In effetti pare che nel 2014 ricevesse una nomina in tal senso, in via ufficiale. È ancora responsabile economico della Lega? Io direi di no, tant’è che (alla data del 12.06.2018) pare che sia sfumata perfino la sua guida della Commissione di Bilancio della Camera: i pentastrali piazzeranno, pare, un loro uomo, anzi una loro donna. Ecco allora che Borghi nella sua pagina Facebook rilancia a raffica gl’interventi di Salvini. Slurp, slurp!
    Ma allora, se nella Lega Claudio «Aquilini» Borghi non gode di grande stima (nessuna, presso Giorgetti, che è il vero responsabile dell’Economia in questo partito, già “movimento” e già Lega nord), perché non lo sconfessano? Via, non siamo ingenui. Quelle che dice Borghi sono battute, anche battute pericolose, che fanno aumentare lo spread. Ma che importa? Aumenta lo spread, ma se Borghi in nome della Lega le spara grosse, aumenta il consenso per la Lega. Pare che questa sia l’unica cosa che conti. E il bene del paese? E l’onore? Vengono dopo.

  56. Le parole d'ordine permalink

    A) L’immaginazione al potere
    B) Siate realisti, chiedete l’impossibile.

    [Sono slogan sessantottini. Si parla ancora e spesso degli ex-sessantottini, per esempio del loro ingresso nei penetrali del potere. Un esempio per tutti: Paolo Mieli, già di Potere operaio, poi direttore del Corriere della Sera, poi presidente ora di questo e ora di quello. Ma almeno costoro erano per lo più intelligenti. Il guaio è che i più, che fisiologicamente sono meno intelligenti, s’intrufolarono nei gangli della burocrazia di Stato e nell’insegnamento. La loro più grande colpa fu quella di aver spianato la strada alla mediocrità. I sessantottini di per sé, se non altro, avevano frequentato il liceo (liceo classico o scientifico: non esistono altri licei; altrimenti ci troviamo di fronte a un’impostura), avevano una buona preparazione di base. Ma come insegnanti non furono esigenti, anche perché molti di loro all’Università avevano studiato pochino. E prepararono nuove leve di studenti ignorantissimi, che conseguirono facili diplomi, e poi s’iscrissero alle Università, e i peggiori fra loro, una volta conseguita la laurea, divennero professori a loro volta ignorantissimi. Il mondo della scuola, a differenza del mondo del lavoro con i suoi dipendenti, non selezionava i professori (si cominciava da supplenti, poi si faceva uno sciopero, si veniva abilitati ‘ope legis’, oppure si seguivano dei “corsi abilitanti” di cinquanta ore: una burla, e un’offesa all’intelligenza). Nel frattempo le Università avevano cominciato ad accogliere diplomati di ogni sorta (legge Misasi), senza provvedere a corsi seri e difficili di iniziazione che ne colmassero le lacune (se mai si possano colmare con un pugno di ore suppletive). Di qui, in soldoni, ebbe inizio la decadenza morale, civile ed economica degl’italiani. N.d.Ar.]

  57. Annalisa permalink

    Breve ode al binomio di Newton
    “O Binômio de Newton é tao belo como a Venus de Milo.O que há é pouca gente para dar por isso”
    Álvaro de Campos, 15-1-1928 (Fernando Pessoa)
    “Il binomio di Newton è bello come la Venere di Milo. Il fatto è che pochi se ne accorgono”
    Fernando Antonio Nogueira Pessoa, di cui ricorrono oggi i 130 anni dalla nascita (13 giugno 1888) per tutta la vita, trascorsa per la maggior parte in una stanza ammobiliata in affitto a Lisbona, dove sarebbe morto in solitudine il 30 novembre 1935, rimase pressoché sconosciuto al mondo editoriale ed al grande pubblico.
    Oggi egli viene comunemente riconosciuto come il più importante poeta portoghese moderno, membro più rappresentativo del Gruppo Modernista conosciuto anche come Orpheu.
    La maggior parte delle sue poesie apparvero su riviste letterarie quali Athena da lui stessa diretta e sotto gli pseudonimi di Álvaro de Campos, Riccardo Reis e Alberto Caeiro, veri e propri alter ego, ciascuno dotato di una differente personalità e di un proprio background (Campos un ingegnere affascinato da Walt Whitman, Reis un dottore epicureo dalla solida cultura classica) che spesso animavano le pagine di Athena dandosi battaglia, ora lodando ed ora criticando le “reciproche” opere.
    Ed è proprio con lo pseudonimo di Álvaro de Campos che pubblica questa breve ode.

    [Newton, che — secondo il Foscolo nei ‘Sepolcri’ – tanta ala stese (cioè spaziò con il proprio ingegno) sopra i mondi (cioè le stelle) che Galileo vide rotarsi sotto l’etereo padiglion (la volta celeste) e sui pianeti illuminati dal Sole immobile.
    A Newton Edmund Halley (quello della cometa) dedicò un’ode, scritta in latino, pubblicata come prefazione alla prima edizione dell’opera fondamentale di Newton, scritta anch’essa in latino, ‘Philosophiae Naturalis Principia Mathematica’ (1687). Può essere letta facendo clic su questo collegamento
    :
    In Isaaci Newtoni gentis nostrae decus egregium N.d.A.]

  58. Ma come, per l’«economista» Borghi non c’è più posto? Nemmeno su uno strapuntino?
    Peccato, come economista era divertente (ma pericoloso)


    Fare clic sull’immagine per leggere l’articolo.

    Sic transit gloria mundi? No, purtroppo. Claudio «Aquilini» Borghi è intramontabile, quanto meno lui farà di tutto per non tramontare. Dietro di sé ha un apparato di pubbliche relazioni spaventoso, messo su con l’apporto del giornalista populista Gianluigi Paragone, già direttore della Padania, ora deputato grillino. Infeliciter huius viri gloria — dummodo gloria appellanda sit — non transit: manet Claudius Aqulinus, incumbit, saevit!
    Claudio «Aquilini» Borghi il babau della moneta unica, lo Tsipras de noantri, già «ministro in pectore dell’Economia», già docente a contratto alla Cattolica (dunque “professore”), il marito di Giorgia Fantin Borghi che è “wedding planner” ed esperta di bon ton (e non t’ho detto cotica) è immarcescibile, c’è e ci sarà. Non gli hanno dato nemmeno uno strapuntino di competenza economica, da respnsabile economico della Lega che era, da «ministro in pectore della Lega»? Vabbè, sarà per un’altra volta. Lui non fa una grinza, non fa nemmeno l’offeso, perché è un opinionista a tutto campo (in linguaggio coglione: a 360°). Per il momento, in vista di futuri sviluppi, fa il portavoce della Lega. Come Rocco Casalino nel Movimento pentastrale? Anche lui, il Claudio aquilifero sarà depilato, ma — beninteso — maschiamente terribile, come Casalino? Mamma mia! Eccolo che fa sfoggio di determinazione, a proposito della vicenda dell’Aquarius:

    È stupenda la logica del Borghi. Lo Scanzi gli domanda: «Ma lei è sicuro che il governo sia coeso, che siano tutti d’accordo con questa politica, in particolare nel Movimento delle Cinque stelle?». E lui risponde: «Io penso di sì: altrimenti non l’avrebbero fatto». Cioè: post hoc, propter hoc. Boh, sembra di essere a Curno, il paese delle tre eccellenze (nuova scuola elementare, Bibliomostro e pollo fritto). Passi il fatto che Claudio Borghi (con o senza gli Aquilini, dacché la Lega gli ha detto che non dovrà occuparsi di economia?) lui non voglia riconoscere che Di Maio, una sorta di Andreotti “soppressado” [*] subisca la ruvida determinazione di Salvini. È invece insopportabile il suo tono oracolare, professorale, con sorrisetto asseverativo o risatina isterica a dimostrazione della veridicità delle sue proposizioni.
    Auguri a lui. E, soprattutto, a noi.

    ……………………………………………
    [*] «Gobbetta soppressada»: così Sergio Saviane definì Irene Pivetti, quando costei era ancora sussiegosamente istituzionale, non si faceva fotografare in posa dominatrice di cat woman con la frusta in mano e non faceva parte della squadra di Lele Mora.

  59. Non sempre il tempo è galantuomo. Qualche volta sì, per fortuna
    Considerazioni in margine all’inchiesta e agli arresti per il nuovo stadio di Roma. Le zoccole squittivano “Onestà, onestà!”. Che nessuno, per favore, mi parli ancora di ‘società civile’. Anche le persone miti s’incazzano, talvolta; si veda il film ‘Cane di paglia’


    L’articolo è pubblicato sul Fatto quotidiano del 15.06.2018. L’ing. Berdini, che per forma mentis non mente, sostiene che l’avv. Luca Lanzalone cominciò a occuparsi del dossier dello stadio capitolino a gennaio 2017, senza però che l’incarico venisse mai formalizzato: «Lanzalone era stato chiamato come consulente per verificare la questione risarcitoria», a fin di bene, naturalmente, e a norma di cacata carta.

    Come promemoria di tutta la faccenda, ricordiamo che l’avv. Lanzalone è il super consulente dei pentastrali, il problem-solver (come si dice in linguaggio coglione, e quando si ricorre al linguaggio coglione potete giurare che c’è impostura), il suggeritore ascoltato con reverenza da Di Maio e Casaleggio, l’uomo di fiducia di Virginia Raggi e, ultimamente, il mediatore tra Campidoglio e la Eurnova del costruttore Luca Parnasi per la modifica del masterplan dello stadio. L’ing. Berdini racconta come, da semplice consulente che era all’inizio, Lanzalone si sia insinuato tra gli ingranaggi del Leviatano tecno-burocratico, ritagliandosi uno spazio sempre più ampio, fino ad «operare come fiduciario» della Raggi, «occupandosi della gestione concreta dello stadio». Berdini, che poi sarebbe stato costretto a rassegnare le dimissioni dalla funzione di assessore della giunta capitolina, afferma inoltre: «Ero sorpreso che a certe riunioni partecipassero pure Fraccaro e Bonafede». Sì, ma era tutto a norma di cacata carta, naturalmente. Segno che la cacata carta non ci garantisce, quanto meno non ci garantisce a sufficienza.
    C’era dunque puzza di bruciato, da tempo, intorno all’erigendo nuovo stadio di Roma, quello che Virginia Raggi dapprima non voleva assolutamente, e che poi invece volle. L’ing. Berdini che, come scrivemmo l’11 febbraio 2017, «è una persona seria, uomo tutto d’un pezzo e con una cultura comme il faut», mica un agrimensore dilettante di urbanistica per giunta cacciaballe pazzesco, fu costretto alle dimissioni. Si veda I meriti dell’ing. Berdini, (quasi) ex assessore all’Urbanistica del Comune di Roma. In questo articolo è possibile leggere la dichiarazione di Berdini a proposito della Raggi: parole taglienti, certo, che si vollero liquidare come politicamente scorrette, solo perché Virginia Raggi, la fatalona, è portatrice di patata: «Su certe scelte sembra inadeguata al ruolo che ricopre. I grand commis dello Stato, che devo frequentare per dovere, lo vedono che è impreparata. Ma impreparata strutturalmente, non per gli anni».
    Ci occupammo ancora dell’ing. Paolo Berdini, quando il gatto padano, l’ ambizioso agrimensore curnense, sedicente esperto dei problemi dell’Università e della Ricerca in Italia, il buccinatore dell’Erasmus/Orgasmus, l’aedo delle eccellenze curnensi, colui che vorrebbe mandare gli studenti meritevoli di Curno a Boston, perché Bergamo non avrebbe Università degne di loro, insinuò che Paolo Berdini, ingegnere urbanista e autore — così scrive — «di due dozzine di agili testi tra il tecnico e il politico», ne sarebbe sì, l’autore, ma i suoi testi sarebbero «magari quel tipo di testi che un prof universitario mette insieme sfruttando le decine di tesi che i suoi allievi vengono indirizzati a compilare». Ha parlato l’esperto. Il gatto pretese di trattare l’ing. Berdini come noi abbiamo trattato il “prof.” Borghi. Eppure c’è una bella differenza tra Borghi e Berdini. Inoltre, se il gatto non se n’ha a male, c’è anche una bella differenza, anzi più di una, tra il gatto e Aristide. Una di queste è che il gatto è oracolare nella sua ridicola presunzione di sapere, mentre Aristide, che ha fatto del dubbio l’insegna del suo modo di ragionare (“Solum certum, nihil esse certi”) è epidittico (cioè si sforza di dimostrare quel che dice). Si veda l’articolo Settima punizione per il gatto padano.


    Per leggere la “settima punizione” fare clic sull’immagine.

  60. Il ruolo dei cattolici in Italia è eccessivo. Ed è ingiustificato, visto che non credono in Dio

    Dice Luttwak:

    Io non sono cattolico e non considero il papa importante. […] In Italia c’è la maggioranza dei cittadini che dice che non vuole più sbarchi di immigrati in Sicilia, mentre il papa dice che li vuole. E chi vince? Il Papa. E le guardie costiere italiane vanno a cercare i migranti sotto le coste libiche in obbedienza al Papa. Il posto giusto per il Papa è una città stupenda: Avignone.


    Il Palazzo dei papi ad Avignone ospitò dieci papi, di cui tre però furono antipapi; ciò avveniva nel periodo dal 1309 al 1377, quello della cosiddetta cattività avignonese.

    In effetti Avignone è una città bellissima e il Palazzo dei papi è ben conservato e con opportuni — ancorché costosi, immagino — interventi per la riconversione all’antica destinazione d’uso potrebbe ospitare il papa e la Curia romana. Qui sotto, l’esternazione di Luttwak ai microfoni della Zanzara, arricchita di altre considerazioni sui grilleschi:

    Quanto ha detto Luttwak è deliberatamente provocatorio. Precisiamo inoltre che la posizione dei filosofi dell’isola di Nusquamia non coincide con quella del pur intelligente — anzi, intelligentissimo — economista e politologo romeno, consulente strategico del governo degli Usa, già prima di Trump, e autore di due saggi dedicati al problema dell’argine opposto alle invasioni barbariche: La grande strategia dell’impero romano e La grande strategia dell’impero bizantino.

    Ciò premesso, Luttwak ha toccato un problema che, opportunamente spogliato della polemica antipapista, è tuttavia un problema non solo reale, ma enorme: il ruolo dei cattolici nella politica italiana. Questo ruolo, che poteva avere una giustificazione nobile in una prospettiva storica, e una meno nobile nell’ottica deformante della politica politicante, oggi non ha più senso, da che coloro che si qualificano cattolici, in particolare coloro che intendono drenarne il consenso, di fatto, non credono in Dio (e non parlo soltanto di Salvini che brandisce il rosario come una clava). Non solo: non credono nemmeno nei valori “tradizionali” della Chiesa cattolica. Inoltre sono miscredenti non solo i dirigenti politici “cattolici” e le stesse gerarchie della Chiesa, sono spregiatori di Dio e della Buona novella (il Vangelo) gli stessi cattolici di base, convertiti al culto di Mammona, dell’aziendalismo nel corso di un inesorabile regresso al darwinismo sociale teorizzato dall’etica protestante del capitalismo. Ecco dunque il venir meno, in politica e nelle stesse gerarchie ecclesiastiche, di qualsiasi freno inibitore: in termini simbolici, alla croce di Cristo si è sostituito il coccodrillo di Lacoste nell’abbigliamento dei preti modernisti.

    Un esempio, tanto per intenderci – Noi rimanemmo sconcertati quando la dott.ssa Serra, sindachessa di Curno, cattoprogressista e molto vicina alle posizioni delle Acli di Bergamo impose al popolo di Curno Vera Baboun, sindachessa di Betlemme, all’insegna della “Convivialità delle differenze”.

    Riassumiamo i termini della questione:
    • Curno è un paesone, alquanto brutto, ma con la pretesa di essere “bello da vivere”, distante 6,5 km da Bergamo. Qui, appunto, Bergamo ha riversato gl’insediamenti commerciali, ritenuti indispensabili per i suoi cittadini, ma vergognosi per il decoro di una città che, invece, è bellissima. Giustizia vorrebbe che Bergamo, avendo sconciato questa sua direttrice occidentale di espansione commericale, se ne facesse carico direttamente; cioè il Comune di Curno dovrebbe essere soppresso.
    • La dott.ssa Serra ha ospitato Vera Baboun a Curno, lo stesso giorno in cui, a un tiro di schioppo (come si dice), la sindachessa betlemita perorava la causa palestinese nella sala cinematografica bergamasca La Conca Verde, a Longuelo, un quartiere periferico di Bergamo vicinissimo a Curno (meno di quei 6,5 km che si dicevano).
    • In quegli stessi giorni Vera Baboun girava freneticamente per Bergamo e provincia (anche nelle scuole!), presentandosi come cattolica ambasciatrice di pace e lamentando che il muro eretto dagli israeliani per arginare le infiltrazioni terroristiche penalizzasse lo sviluppo turistico della sua città.
    • Non si diceva che a) Vera Baboun è stata eletta sindachessa di Betlemma in quota Al-FAtah, il partito di Arafat; b) Vera Baboun era in quegli stessi giorni a Bergamo commissaria d’esame per l’assegnazione di un premio di architettura dall’Italcementi sessisticamente riservato a una donna. «La Giuria, volutamente al femminile, è composta da professioniste di eccellenza [squit, squit!] nel campo dell’architettura e più in generale nella promozione di un’innovazione sostenibile a livello socio-economico»: si veda Donne e architettura, Italcementi lancia arcVision Prize.

    Dunque Vera Baboun opera in un àmbito d’interesse arabo-palestinese, dove gl’investimenti arabi e palestinesi sono congruamente rappresentati: così si evince da una lettura non ingenua delle carte, di là dalla norma copropapiracea. Per carità, tutto legittimo. Ma che c’entrano gl’investimenti turistici a Betlemme (in particolare nel settore alberghiero, che la Baboun lamentava come particolarmente penalizzato) e, in generale, l’economia del mondo arabo, con la pace? L’Italcementi fa benissimo a tutelare i propri interessi nel mondo arabo, Vera Baboun a sua volta si preoccupa per l’economia di Betlemme: per carità, a noi sta benissimo. Ma perché dobbiamo subire Vera Baboun che ci parla di pace? La nostra impressione è che le Acli di Bergamo si siano fatte intortare dalle pubbliche relazioni palestinesi, e che la dott.ssa Serra si sia fatta intortare dalle Acli di Bergamo.
    Così stando le cose, poiché i cittadini di Curno sono stati invitati ad appecorarsi a Vera Baboun, e poiché tutto questo pasticcio nasce dalla presenza dei cattolici in politica, noi guardiamo con molta diffidenza al ruolo politico dei cattolici: questo esempio è particolarmente eloquente, e facile da dimostrare. Ma i casi che c’inducono a diffidare dei cattolici-non-credenti sono innumerevoli. Perciò, considerato che i cattolici sono ipercinetici quando si tratta di “portare avanti” istanze similprogressiste, ma pigri nel testimoniare la Buona novella, chiediamo la soppressione dell’insegnamento della religione nelle scuole di Stato, in base al diritto di rappresaglia.

  61. NoFilosofo permalink

    Io non sono filosofo e quindi condivido quasi tutto su quanto detto da Luttwak, l’unica cosa che non condivido è la destinazione troppo comoda di Avignone, mi sembrerebbe più adeguata Tripoli però mi va bene qualsiasi destinazione purchè si tolga dalle palle, dopo 2018 anni mi sembra giusto che se lo ciucci qualcun altro.

    [Per parte mia, penso che il papa dovrebbe rimanere a Roma, dovrebbe recitare e far recitare la Messa in latino, ripristinare il canto gregoriano e ordinare ai sacerdoti di celebrare la Messa con le spalle rivolte ai fedeli: insomma, per il bene della Chiesa e nostro, dovrebbe azzerare le trovate “populiste” di Paolo VI. Se però mi metto nei suoi panni, che vorrebbe l’esilio del papa, non vedo perché non voglia concedergli Avignone. Non si dice forse “Al nemico che fugge, ponti d’oro”? Qualcosa del genere si diceva anche in latino: ‘Hosti non solum dandam esse viam ad fugiendum, sed etiam muniendam’. N.d.Ar.]

  62. Neet: un acronimo che — c’è da giurarci — riscuoterà successo presso i buzzurri

    Ieri 15 giugno 2018 i giornali e telegiornali hanno presentato i dati di Eurostat: «Nel nostro paese nel 2017 il 25,7% dei ragazzi tra i 18 e i 24 anni non avevano un’occupazione, non la stavano cercando e non erano nemmeno in un periodo di formazione. Tre caratteristiche che fanno rientrare un giovane italiano su quattro nella categoria dei Neet (Not in education, employment or training)» (cit. dal Fatto quotidiano: Neet, Italia ancora maglia nera d’Europa: un giovane su 4 non lavora e non studia). Si vedano anche il telegiornale Sky Tg24, qui sopra, e l’articolo della Stampa Eurostat: Italia maglia nera nella Ue per i Neet .
    Ed ecco Giggino di Maio, ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, buttarsi a pesce sulla notizia: «Questa per me è un’emergenza nazionale ed è per questo che entro giugno voglio portare in Consiglio dei ministri il decreto dignità», come se non si sapesse come stanno le cose, come se non lo sapessimo da sempre, a parte il numero decimale comunicatoci da Eurostat (la percentuale esatta, a norma di cacata carta, è del 25,7 %).
    Dunque la notizia è una falsa notizia, perché a parte il punto decimale, la disastrosa, tremenda e ingiusta condizione dei giovani è arcinota; il guaio è però che la falsa notizia di ieri (“falsa” nel modo che si è detto) contribuirà a far sì che un numero crescente di buzzurri comincerà a parlare con sussiego di “neet”, buon ultimi dopo gl’impostori e i mongomanager, che usano questa parolina da tempo.
    “Neet” è un acronimo, come abbiamo visto sopra, e gli acronimi piacciono, in una società che ha bandito come “oscena” l’alta cultura e che ce la mette tutta per imporre la neolingua del pensiero unico, a danno delle lingue storiche, con particolare accanimento contro la proprietà e la ricchezza di linguaggio. Perché? Ce lo spiegò molti anni fa Herbert Marcuse, nel’opera fondamentale Un uomo a una dimensione: gli acronimi si prestano all’impostura, a dare importanza a ciò che non ne avrebbe punta o, al contrario, a distrarre l’attenzione dalla realtà dei fatti che andrebbe considerata nella sua portata intera e, talvolta, nella sua gravità. Se un concetto è designato da un acronimo, diventa un nome proprio, dunque è ineluttabile, non può e non deve essere messo in discussione. L’esempio classico, portato da Marcuse, è quello della Nato. che significa North Atlantic Treaty Organization. E allora uno si potrebbe domandare: che cosa c’entra la Turchia con l’Oceano Atlantico, cioè con la Nato, visto che ne fa parte? Appunto, diciamo Nato e, per il resto, “Basta! Punto! Non m’interessa!”.
    Ma perché, in particolare, gli acronimi piacciono ai buzzurri, oltre che agl’impostori? Semplice, i buzzurri non hanno cultura, ma vorrebbero sembrare fichi con poco, con qualcosa che sia alla loro portata, cioè alla portata delle loro modeste capacità intellettuali e che servisse a mascherare il vuoto culturale (che pensano di poter riempire con le cazzatine che leggono su Wired, o che gli racconta Giacobbo, quello che racconta le palle a Voyager: insomma, con il “nuovo che avanza”). Perciò ai buzzurri, quando hanno soldi, piacciono tanto, per esempio, gli orologi con almeno 20 funzioni e l’i-Phone da 1000 euro in color grigio siderale (grigio siderale: squit, squit!). Per loro queste cazzate sono “scienza”. È vero tuttavia che il funzionamento del GPS tiene conto della teoria della relatività, che non potrebbero mai capire e che comunque beatamente ignorano: il fatto è che i buzzurri scambiano l’utilizzo di una funzione che hanno comprato con la conoscenza. Come se io andassi con una puttana e, poiché ne uso la vagina, pretendessi di conoscere il miracolo della vita e dell’evoluzione dell’uomo e della donna, dal brodo primordiale all’homo sapiens sapiens (fanno parte di questa specie anche le puellae togatae e le feminae quadrantariae: il significato di queste espressioni non si trova in tutti i dizionari, ma si evince dal contesto). Perciò i buzzurri parlano dei “saperi”, al plurale, perché così hanno sentito dire: e andrebbero schiaffeggiati. Vantano le funzioni del loro ficòfono, s’impancano addirittura a esperti di ficofonia, e ci rompono i cabassisi con le loro App, con i loro discorsi premasticati. Adesso ce li romperanno anche parlandoci, da esperti, naturalmente, dei neet. Come ancora qualche mese fa dicevano: ma cara signora, oggi c’è la fibra! E lo stravento, non dimentichiamoci dello stravento.

  63. Margaritula permalink

    Perlita bis:

    [Cioè lei pensa che la Boldrina dovrebbe prendere posizione con la forza dell’esempio? Mi viene in mente mio bisnonno, che odiava i dannunziani e i fascisti, perché loro parlavano della bella morte, ma non morivano. Invece il figlio di mio bisnonno, fratello di mio nonno, morì nella battaglia di Bosco Cappuccio, sul pianoro carsico, dove per la prima volta gli austriaci fecero impiego di gas asfissianti. Ma zio Ermino era disperso (“disperso di guerra”; c’erano anche gli “scemi di guerra”, come osserva C.E. Gadda nella ‘Cognizione del dolore’). Mio bisnonno si recò di persona sul Carso, ascoltò i commilitoni, sperava di ricuperare i resti del figlio, ma invano. Insomma, fascisti e dannunziani facevano i sodomiti con le natiche degli altri. Perciò mio bisnonno li odiava. Poi però dovette venire a patti con i fascisti, i quali non tolleravano che un uomo in vista come lui non prendesse la tessera del fascio. Di questo — cioè, anche di questo — tratta il libro di Giuseppe Dessì, ‘Il disertore’ (dal quale è stato tratto un film, diretto da Giuliana Berlinguer e interpretato da Irene Papas), dove nonno Gennaro è presentato come il comm. Comina.
    Nota esplicativa– In latino “perla” si dice ‘margarita’; ‘margaritula’ è il diminutivo. La dott.ssa Serra nel corso di una seduta di Consiglio comunale, in occasione della “mozione di vendetta” (che ricordo bene), ci fece sapere di non amare gli epiteti: disse, fra l’altro, di non apprezzare che noi avessimo denotato come “l’esoterica” una consigliera che intendeva introdurre a Curno gli dèi falsi e bugiardi del pantheon steineriano. Per rispettare la volontà della futura sindachessa (l’episodio risale al periodo in cui Gandolfi era il sindaco del buon governo), parlando di lei non usavamo epiteti, ma un diminutivo.
    N.d.Ar.]

  64. Diritto all' oblio permalink

    Nanni Moretti: “I girotondi? Una parentesi”.

    • Onestamente faziosi
      I “girotondi” e, quel che è peggio, le “girandole”: perdoniamo volentieri Moretti, ma non Daria Colombo

      Quella dei girotondi è una parentesi non saprei se propriamente infelice per Nanni Moretti (a livello personale, trastullarsi bambinescamente magari gli è servito a qualcosa, per tirarsi su, per sentirsi vivo) sicuramente però è indecorosa, come ogni espressione politica, letteraria ecc. che deliberatamente calpesti il principio di razionalità. Aveva anche una venatura disdicevole di populismo. Allora non si poteva dire, ma a me il populismo ha sempre fatto schifo, come anche ricordavo in un commento precedente a proposito del contenzioso sulle pretese, vere o presunte, della sciura Rusina. Però adesso grazie a Salvini e Di Maio — questo è un loro grandissimo merito — finalmente si può dire: merda al populismo!
      Nanni Moretti si è lasciato trascinare nei girotondi della pretenziosa, stramaledetta e cosiddetta società civile, che in quegli anni idolatrava Francesco Saverio Borrelli, pretendeva di sovvertire il gioco della rappresentanza democratica, sviliva la dialettica della politica e per giunta metteva sotto accusa D’Alema che non si prestava a un gioco al massacro politico, d’impronta pre-grillesca. Perché Nanni Moretti l’ha fatto? Chi come noi conosce i suoi film, ha letto le sue interviste, ha sentito qualche sua conferenza, conosce o ha capito l’atmosfera di rigore e decoro borghese che Moretti ha respirato in famiglia, sa che non è da lui intrupparsi, soprattutto con chi programmaticamente ha fatto abiura dello spirito critico o non l’ha mai avuto.
      Perché l’ha fatto? Beh, noi che amiamo Nanni Moretti sappiamo che è nevrotico, come c’insegna lui stesso quando si presenta in alcuni suoi film come Michele Apicella (Apicella è il cognome della madre, professoressa di lettere al liceo; il padre era professore di epigrafia greca alla Sapienza: così si spiega l’acribia linguistica del figlio). Ed è, anche questo va detto, un nevrotico buono: cioè non è come quei nevrotici — credo, la maggior parte — i quali poiché stanno male loro, ce la mettono tutta per fare il male degli altri: “Io sto male, devi star male anche tu, anzi tu più di me”. No, in un momento triste della sua vita, Moretti ha deciso d’intrupparsi con i girotondini, facendo male a se stesso, e solo a se stesso. Adesso è rinsavito e, giustamente, dice: prendete il meglio di me e, se potete, perdonatemi i girotondi.
      Ma ancora più insopportabili dei girotondini erano le girandole, praticamente le compagne dei girotondini, le quali però volevano qualcosa che fosse tutto loro. Le loro manifestazioni erano spalmate di ketchup al gusto di nuovi diritti civili, femminismo e antiberlusconismo uterino (naturalmente). Le dirigenti delle girandole erano mogli e compagne dei girotondini importanti, donne borghesi che sanno come si parla e come ci si abbronza d’estate, mica come le zoccole sottoproletarie, una rappresentazione parodistica di quella similsinistra che, avendo perso di vista Marx e Gramsci, stravede per Norberto Bobbio, Stefano Rodotà e Gustavo Zagrebelsky.
      Per mostrare che le donne non sono da meno dei mariti importanti, anzi sono più importanti loro, anche se meno conosciute, le girandole furono ancora più scatenate e talebaniche dei girotondini. Per esempio, chi conosceva Daria Colombo? Nessuno. Però era la moglie di Roberto Vecchioni, a suo tempo bravo cantante e professore di latino e greco a Milano e Desenzano sul Garda. Era lei la coordinatrice delle girandole a Milano, ed era scatenatissima e assatanata di visibilità mediatica. Aveva una casa in Kenya dove ospitava Giovanna Melandri, attualmente direttrice del Maxxi di Roma, colei che ancora dieci anni fa si diceva preoccupata in quanto troppo bella, a suo dire (guardate le foto, e ditemi se non l’ha sparata grossa): sentiva che la bellezza (presunta) come una limitazione politica. Tanto perché si sappia di qual gente vado parlando. Ma chi crede di essere, Giovannina Melandri, l’americana, l’amica della Clintona, la cugina di Minoli, crede forse di essere Maria Elena Boschi? Cose da pazzi!

  65. Tommaso permalink

    Santi numi!
    Efeso in Turchia, Eraclito un ottomano.
    ditemi che ho capito male:
    http://www.touropia.com/ancient-ephesus-in-turkey/

    • Contro il populismo e le mezze calzette della cultura

      Eraclito ottomano? Ci mancherebbe! Efeso fu una libera città fondata dagli Ioni nel II millennio a.C., quindi fu conquistata dai Persiani e liberata da Alessandro Magno. In seguito fu capitale della provincia romana dell’Asia (si intendeva a quel tempo per Asia non tutto il continente, ma una parte della penisola anatolica). Eraclito di Efeso, che visse tra il VI e il V sec. a.C. tutto può dirsi, tranne che macometano.
      A Eraclito si deve il disprezzo per il populismo, che sarà poi ripreso da Platone, nella contrapposizione tra i migliori (ἄριστοι) e “i più” (οἱ πολλοὶ). Insomma, quando noi ci ribellavamo a quello che sembrava “un must”, come si dice in linguaggio coglione, per cui avremmo dovuto blandire l’ignoranza e la bestialità della plebe, eravamo in buona compagnia.
      Questa necessità assoluta (il “must”, appunto) era postulata, in particolare, da una quinta colonna operante nel gruppo di Gandolfi. Rompevano i cabassisi, un po’ per il gusto di romperli, un po’ con il progetto di metterci fuori gioco, affermando che avremmo dovuto esprimerci al livello della sciura Rusina. Noi dicevamo che mai e poi mai, che semmai bisognava isolare e annientare la richiesta di omologazione al basso, creare un’opinione pubblica che aiutasse la sciura Rusina a evolversi. Non si possono esprimere concetti nobili usando un linguaggio miserabile, non si può estrarre dall’uomo il meglio che, tutto sommato, potrebbe albergare in lui (e che è nostro dovere portare alla luce: è la pedagogia della buona politica) fomentandone la miseria morale e intellettuale. Però, se la sciura Rusina avesse insistito a imporsi, a mali estremi, estremi rimedi: l’avremmo fatta oggetto di abbondante aspersione di Ddt (“Mazza la vecchia, col flit!”).
      Questa posizione di Eraclito e il detto oraziano Odi profanum vulgus et arceo sono da sempre la nostra bussola. Merda al populismo! Siamo parimenti contrari all’ipercinetismo assessorile in campo “culturale”. Gli assessori non hanno dignità culturale, dunque non si occupino di cultura. Giù le mani! Perciò, avendone individuata l’intrinseca volgarità sul piano ideologico (da non confondere con il progetto architettonico), siamo da sempre contrari al Bibliomostro.

  66. Lilliput permalink

    @Nuovo cinema Nusquamia

    Film snobbato (snobbato da chi? Da tutti, difatti non ne parla mai nessuno, né critica né pubblico).

    Si veda:

    [Non conosco questo film, penso però che varrebbe la pena vederlo. N.d.A.]

  67. Fratelli Taviani permalink

    Per fondati timori di censura la scena della seduzione è esposta come segue:

    • Mi concederò il lusso di non vedere questo film. Non vorrei cancellare l’ottimo ricordo di certi altri film di Bergman (pare che il regista svedese corresse la cavallina e che avesse comportamenti che Asia Argento e la Boldrina condannerebbero senza possibilità di appello).

  68. Cesare Zapperi sul Corriere: Renzi attacca Salvini accusandolo di essere un bullo alias “Carlotta, la mamma è puttana e la figlia è mignotta”.

    [Zapperi chi? Il giornalista anglorobicosassone, direttore responsabile, a suo tempo, di Bergamo news, il giornale reziale che volle rendere di dominio publbico quella denuncia a mio carico, di effetto irrito e nullo? (“Irrito” è voce del linguaggio giuridico: fa ridere, ma non è uno strafalcione, a differenza dello stravento curnense). E che volle pubblicare non soltanto il nome all’anagrafe di Aristide, ma perfino il suo domicilio? Pensare che la giornalista similprogressista e antigandulfiana Sara Agostinelli, che per telefono mi diede in anteprima la notizia della denuncia, e che voleva farci un articolo, poi ebbe una resipiscenza: mi chiese il numero del telefono cellulare, disse che mi avrebbe ritelefonato. Invece, due giorni dopo, vidi la (grande) notizia pubblicata su Bergamo news, arricchita dell’importantissimo dettaglio del mio domicilio: città, via e numero civico. N.d.Ar.]

  69. Diego Fusaro: l’atarassia epicurea e la vetero-lingua italico-dantesca

    Di Diego Fusaro abbiamo parlato, più di una volta, osservando che ha occupato, senza che nessuno opponesse resistenza, un baluardo politico-culturale, uno dei tanti, disertato dalla sinistra storica: quella sinistra che ha preferito alla vita difficile degli apostoli del socialismo le lucette del consumismo e le passerelle della visibilità mediatica (Una vita difficile è il titolo di un bel film di Dino Risi che narra di un partigiano che si vende a un palazzinaro cafone, ma poi si riscatta, perché vivere poveri e puliti è meglio che vivere ricchi e sporchi); e che alle gioie della vita proba e delle notti serene ha preferito l’inferno dell’aziendalismo e l’angoscia delle notti popolate di mostri, con insufflazione di cocaina e contorno di pompini svogliati (in dare e in avere), orchestrate dal dèmone della determinazione.
    Diego Fusaro ci marcia, fa il personaggio, e non è esente da contraddizioni, come abbiamo osservato nell’articolo Diego Fusaro invita i giovani ad essere un po’ meno sporcaccioni (in senso etico).
    Ciò premesso, io dico che val la pena sentirlo. Qui lo sentiamo prender posizione: su Saviano come rappresentante dell’istanza mondialista, sulla sua noia patrizia e sul suo sontuoso attico nuovayorkese; sulla deportazione di massa della forza lavoro (immigrati) in base a deprecabile logica turbo-capitalistica; sul pensiero unico e la lingua omologata al basso; sull’opportunità di leggere, e leggere sempre. Pare che, a differenza di Saviano, non si accompagni a fiche bombastiche (ma forse non è vero, dice così perché così richiede la parte che si è imposto di recitare). Il giornalista Davìd (pare che vada pronunciato così, con l’accento sulla “i”) Parenzo s’incazza, sbrocca e rischia l’infarto.

    • Dibattito sulla sacralizzazione dei transgenici
      L’eterosessuale normoscopante sarebbe, secondo lorsignori, un cis-gender

      Circa un anno fa, commentando un’uscita di Beppe Grillo che verisimilmente sarebbe occasione di grande scandolezzamento per il gatto padano e la dott.ssa Serra («I transessuali? Donne col belino o uomini che parlano tanto») Diego Fusaro scriveva:

      Come il transnazionalismo liberista mira al mercato globale deregolamentato e libero da ogni sovranità nazionale democratica, così il transgenderismo eretto a modello mediatico si fonda sulla deregulation sessuale, sull’abbattimento di ogni limite e di ogni sovranità legati all’ambito della natura e della biologia. Nel quadro del fiorire delle nuove categorie promosse dai gender studies [vedi Martha Nussbaum: N.d.Ar.] , ove il transgender si pone come variante sessuale del migrante e il queer del precario, la vetusta eterosessualità viene rubricata a categoria tra le tante, nella completa rimozione tanto della sua rilevanza nell’orizzonte dell’eticità borghese e proletaria, quanto della sua centralità ontologica per la riproduzione della razza umana: l’eterosessuale è ridefinito come cisgender.

      Per leggere tutto il ragionamento, si veda sul Fatto quotidiano Transgender, perché la nostra società li santifica.

    • Poiché abbiamo qui sopra fatto menzione del film ‘Una vita difficile’ di Dino Risi, eccone una breve sequenza (purtroppo il film per intero pare che non sia disponibile in rete: sarebbe figurato degnamente nella rassegna del Nuovo cinema Nusquamia’) :

    • Roberto permalink

      Meluzzi a Saviano:

      • Saviano e l’errore sistematico dei cattoprogressisti non credenti

        Spero vivamente che Roberto Saviano voglia ascoltare il suggerimento dello psichiatra Meluzzi, che ha sollevato un problema di non piccolo momento (come anche si dice). Forse Saviano non si è occupato della mafia nigeriana perché vive in un’atmosfera astratta e rarefatta (non so quale aria si respiri nel sontuoso superattico nuovayorkese del quale dice il filosofo antimondialista Diego Fusaro; non so a quale altezza si trovi il superattico, per cui l’aria sarebbe rarefatta; non so neanche se sia vera questa storia del superattico: vedrò di verificare) non gli è giunta notizia. Però adesso che è informato, è suo dovere intervenire. Se io fossi Saviano, verificherei immediatamente l’informativa e non esiterei a prendere posizione, non mi farei mettere spalle al muro così facilmente.
        a. Non dimentichiamo che Trump è stata la risposta a Hillary Clinton, la donna più antipatica d’America, colei che non voleva guardare in faccia la disperazione degli agricoltori (in linguaggio coglione: farmer), degli operai bianchi americani e degli stessi colletti bianchi, resi sempre più marginali dalle magnifiche sorti e progressive della nuova economia (della quale, incidentalmente, lo stesso Trump è parte).
        b. Non dimentichiamo che il governo Conte, dove Conte non “conta”, o tutt’al più conta come l’asso di picche quando la briscola è a denari, asfaltato (uso un terribile vocabolo renzista) da Salvini, è la risposta all’appecoramento della similsinistra all’esoterismo straccione degli aziendalisti, al cattoprogressismo dei cattolici non credenti e alle mattane della Boldrina.
        c. Non dimentichiamo che la giunta serrano-crurale a Curno ha vinto per il rotto della cuffia, solo perché la fasciofemminista si è incazzata, non essendo stata designata capolista del centrodestra e perciò si è messa in proprio, e perché l’ex sindaco del buongoverno, Gandolfi, si è rifiutato di dare una mano ai desperados della coalizione destrorsa. Ma c’è da giurare che alle prossime elezioni amministrative, essendo la giunta serrano-crurale percepita come una continuazione di quella serrana ed essendo ancora vivo il ricordo della Serra crudele e trionfante, Locatelli sarà spazzato via e vincerà questa volta la destra peggiore, senza nemmeno tutte le carinerie nei confronti dei cani. E a chi si deve il crollo della similsinistra? Alla dott.ssa Serra, che non voleva saperne di posare il suo sguardo augusto sui “marginali” e che, come la Clintonia e come la Boldrina, voleva mostrare a tutti i costi quanto lei fosse progressista (nella fattispecie: cattoprogressista, tra i progressisti la specie più “istituzionale” e conseguentemente più antipatica), a prescindere dai problemi reali.
        Dunque — riassumo il ragionamento — Saviano non commetta l’errore della Clintonia, della Boldrina e della dott.ssa Serra. Accolga in amicizia il suggerimento di Meluzzi, dimostrando che i cattolici non sono meno degli ortodossi. Qualcuno dirà: ma che c’entrano i cristiani ortodossi? Beh, forse non tutti lo sanno: Meluzzi è primate di un ramo, ancorché minore e da taluni contestato, della Chiesa ortodossa. Qui sotto ascoltiamo la sua ferma posizione, in spirito evangelico, contro l’usura praticata dalle banche.

        A dire il vero non so se Saviano si professi cattolico; sicuramente però è vicino ai cattoprogressisti non credenti (i non credenti sono una varietà infestante, in ambito cattolico). Ebbene, non commetta lo stesso loro errore, che è un errore sistematico, come si dice nella teoria delle misure.

        • L’attico novayorkese di Roberto Saviano

          Questo è il terrazzo dell’attico novayorkese di Roberto Saviano, del quale parlava il filosofo antimondialista Diego Fusaro (con deplorevole scappellamento a destra in senso populista, dalla parte di coloro che Eraclìto [mi raccomando, l’accento] e Platone designavano come οἱ πολλοὶ, “i più”: teoricamente, non sarebbe da lui, e Gramsci non approverebbe). Se tale attico sia veramente sontuoso, non saprei. Direi che non è nemmeno in posizione elevatissima, dove l’aria è rarefatta. Immagino comunque che non sia alla portata delle tasche di un onesto professore di latino e greco, o di filosofia, tanto più che siamo a Manhattan. Forse se si ha la pazienza di leggere l’articolo di Vanity Fair, rivista preziosa e borghese, alla quale il Nostro si è concesso, si potrebbe saperne di più. Noi non abbiamo avuto quella pazienza. Poiché l’articolo è del 2012, può darsi che l’attico attualmente occupato da Saviano sia un altro, più fico.

          Però Diego Fusaro così si espresse ancora nell’agosto 2017 (vedi sotto), il che ci fa pensare che Saviano occupi permanentemente un attico, poco importa quale, a Nuova York (come direbbe Fusaro puristicamente, in vetero-lingua, ma ancora meglio avrebbe potuto dire “Nuova Eboraco”, perché Eboracum era il nome latino di York, capitale della Britannia inferior [*]):

          In ogni caso, non ci piace parlare a vanvera: quello che è certo è che nel 2012 Saviano abitava un appartamento a Manhattan. Il resto è da dimostrare. Qualora risultasse una realtà abitativa diversa da quella denunciata da Fusaro (che l’altro giorno alla Zanzara telefonava da Spotorno, “inter Ligures”, come gli piacque dire) non mancheremo di segnalare la cosa ai nostri lettori.

          ………………………………………………….
          [*] Da principio fu una colonia olandese e si chiamava Nuova Amsterdam; prese il nome di New York quando passò sotto il dominio inglese, in onore di Giacomo II, re d’Inghilterra e duca di York. In italiano correttamente dovrebbe chiamarsi Nuova York: così infatti diceva Ruggero Orlando, il giornalista televisivo corrispondente dall’America del Nord; diceva così sia da sobrio, sia quando era leggermente inebriato da un po’ di quel buono, e dava il meglio di sé.
          Nota di 3^F – Diciamo “nuòva” nell’aggettivo semplice, con il dittongo “uo”; ma nell’aggettivo composto “novayorkese”, poiché l’accento si sposta, il dittongo scompare e “nuova” diventa “nova”. È il fenomeno cosiddetto di monottongazione, quando il dittongo è mobile, per lo spostamento dell’accento.

  70. 31 marzo 1492 permalink

    http://m.ilgiornale.it/news/2018/06/18/salvini-nuovo-censimento-rom-quelli-italiani-purtroppo-dobbiamo-tenerl/1542358/

    “Prima di tutto vennero a prendere gli zingari, e fui contento, perché rubacchiavano. Poi vennero a prendere gli ebrei, e stetti zitto, perché mi stavano antipatici. Poi vennero a prendere gli omosessuali, e fui sollevato, perché mi erano fastidiosi. Poi vennero a prendere i comunisti, e io non dissi niente, perché non ero comunista. Un giorno vennero a prendere me, e non c’era rimasto nessuno a protestare”.

  71. Oriente gaudente, rimborso pendente permalink

    E va beh ma un Motel fuori Milano era meno appariscente!
    Perbacco chi di rimborso ferisce poi perisce?

    [Qualcuno a questo punto potrebbe dire: ah, ecco, adesso capisco perché Maroni si è ritirato dalla politica! Eh, attenzione: e se fosse precisamente questo quel che vi si vuol far credere? Attenzione alla fallacia logica del ‘post hoc, propter hoc’. Se ragioniamo, potrebbero affacciarsi altre ipotesi, più probabili ma — ovviamente — da dimostrare. Perciò ci vuole pazienza e, chi di dovere, potrebbe mettere qualche esca. L’analisi politica, come ho già avuto modo di scrivere, è simile al processo d’investigazione di un Auguste Dupin, o di Sherlock Holmes. Occorre spirito di osservazione e un paziente lavoro di calcolo logico-abduttivo. Per questo sono sempre stato contrario alla mistica della cacata carta, come strumento di lotta politica. Come per esempio si volle fare a proposito della variante del Pgt promossa dalla giunta serrana, della quale è frutto “eccellente” la frittura di pollo con la ricetta segreta del colonnello Sanders. Impostare la battaglia in termini copropapirologici, secondo le direttive del gatto padano, fu un errore strategico madornale. N.d.Ar.]

  72. Licia permalink

    Un testo molto interessante sulla Germania del dopoguerra e i suoi vissuti rispetto a ciò che è lecito pur di sopravvivere. Mi hanno colpito molto anche le osservazioni sulle differenze sociali e la denazificazione: Stig Dagerman, Autunno tedesco, Iperborea ed.

    • Parole al vento
      Sull’etica del successo come farmaco per curare il disagio psicologico e sulla “determinazione” come anticamera del nazismo

      Non conosco il libro citato nel commento precedente, perciò sono andato a vedere in rete. Ho trovato questa recensione nel sito del settimanale Panorama: L’ “Autunno tedesco” di Stig Dagerman, la quale mi ha indotto a fare un ragionamento che conferma due mie antiche intuizioni:
      a) La ricerca del successo economico ha una motivazione che definire “ideale” sarebbe sbagliato, e che tuttavia supera la pulsione di possesso “materiale”, o di dominio. La ricerca del successo economico, che oggi per lo più ha sostituito la ricerca parossistica di cooptazione in una classe sociale superiore, è finalizzata a un processo di cancellazione di passate vergogne, vere o presunte. Il libro di Dagerman, uno svedese che conobbe a fondo la Germania alla fine del secondo conflitto mondiale, ci conferma che i tedeschi subirono violenze prevedibili, in un triste gioco di contrapasso (soprattutto le donne, che furono sistematicamente stuprate dall’armata rossa entrata vittoriosa nel territorio nemico, ed è cosa certa ed acclarata; stento a credere che gli alleati occidentali si siano astenuti da questa pratica, anche se al riguardo sappiamo molto meno) e patirono una miseria che si fa fatica a immaginare. È la storia che si ripete: nel primo dopoguerra i tedeschi erano stati umiliati dalle clausole del trattato di Versailles e, anche allora, furono ridotti alla miseria: risposero con il nazismo. Nel secondo dopoguerra, scrive Dagerman, considerando le loro misere condizioni materiali, «i [tedeschi] comunisti e i socialisti pensano di meritarsela, questa fine, e si vergognano delle condizioni storiche che li hanno portati fin lì. Gli altri mormorano che “si stava meglio prima”; “prima” sotto i bombardamenti, in guerra, con Hitler al potere». Non dimentichiamo che nel primo come nel secondo dopoguerra i tedeschi erano il popolo più colto del mondo: ministri della Pubblica istruzione come Misasi e la sciura Valeria da loro erano — e sono, per loro fortuna — inconcepibili. Le potenze vincitrici, sia quelle occidentali, sia quelle orientali, applicarono alla Germania subito dopo il ’45 un potente programma di denazificazione, con il risultato che — perlomeno fino a qualche anno fa — ben pochi si spingevano ad affermare che “si stava meglio quando eravamo cattivi”. Però l’umiliazione della sconfitta (qualcuno dirà che è meritata, ma sempre di umiliazione si tratta) e il ruvido trattamento subìto hanno lasciato tracce nella coscienza collettiva tedesca, e sono tracce psicologiche, più ancora che ricordi (cancellati per ordini superiori o rimossi autonomamente, per non soffrire). Bisognava rimuovere il disagio psicologico, quello che, apparentemente non ha una causa, e invece c’è, ed è terribile. Per rimuovere il disagio psicologico alle volte ci si ubriaca, con l’alcool, o ci si esalta, con la droga. In alternativa, ci si droga con il successo economico. Finché la Germania si è confrontata soltanto con le potenze vincitrici, il farmaco usato per la cura sintomatologica del disagio collettivo è consistito nella costruzione di una società ordinata ma non fanaticamente meticolosa come nell’organizzazione dei campi di lavoro, detenzione e smaltimento dei “rifiuti umani” descritta da Primo Levi (dunque non proprio una ricostruzione): in Germania si produce, si va a lavorare e si lavora davvero. La burocrazia, perlomeno nelle intenzioni, è al servizio del lavoro e dei cittadini (invece in Italia la burocrazia, oggi la tecnoburocrazia, è perfino nelle intenzioni finalizzata allo sfruttamento delle risorse pubbliche e alla persecuzione dei cittadini liberi). Avviene oggi che la Germania, che è sempre un paese di straordinaria cultura, nel confronto con il mercato globale veda sfaldarsi l’equilibrio faticosamente costruito a partire dal secondo dopoguerra. Riuscirà la Merkel, che è laureata in fisica (con un livello intellettuale decisamente superiore a quello di Salvini e con un’attitudine a ragionare in termini di sistema più spiccata di quella di un Rodotà ‘malanima’ o di uno Zagrebelsky), a trovare una soluzione razionale ai nuovi problemi della Germania? La ricerca del successo economico dunque — tornando al principio del ragionamento — fu una cura psicologica, più che una strategia di accumulazione di beni e risorse materiali.
      b) Quel che Dagerman scrive sul processo di denazificazione ci avverte della necessità di tenere d’occhio, detestare e disprezzare la “determinazione”. Una persona “determinata” potrebbe da un momento all’altro, presentandosi l’occasione, diventare un nazista. Assistendo infatti ad alcuni processi di denazificazione Dagerman osserva che gli imputati, chiamati a difendersi, si presentano come «gente comune, gente che ha approfittato della guerra per arricchirsi, o grigi amministratori di condominio che si sono fatti consapevoli ingranaggi del Reich perseguitando le famiglie ebree del quartiere». Gente comune, capito? Mica gente cattiva. Forse erano anche perone “buone”, che volevano apparire “buone”. E qui torniamo all’esperimento del quale abbiamo parlato tante volte, fatto e ripetuto nelle Università americane, soprattutto, nelle carceri, nelle comunità ecc. Un esperimento che ha dato sempre lo stesso risultato: la persone brave, rispettose dell'”Istituzione” e determinate, quasi sempre si prestano a diventare delle bestie, se aizzate da un’autorità istituzionale (potrebbe essere il manager di grado superiore). Ci sono le eccezioni, per fortuna, perché non tutti sono appiattiti sulla mistica istituzionale, ci sono anche gli spiriti liberi, ma sono pochi. L’esperimento funziona così: si prende uno studente (o un carcerato ecc.) e gli si dice di fare del male a un collega, per esempio applicandogli una scossa elettrica, se per esempio non risponde correttamente a domande di cultura generale. L’esperimento è finto, colui che riceve le finte scosse urla, ma il torturatore non lo sa. Il torturatore è invitato a infierire da un’autorità istituzionale, dunque il torturatore “determinato” (a fare carriera, in generale: nel caso degli studenti, a far punti nel corso di laurea in psicologia) sa che potrebbe dire, qualora fosse chiamato a rispondere del proprio operato, “Ma io ho ricevuto degli ordini”. Ecco, in soldoni, il succo del discorso: qualunque mongomanager, qualunque impiegatuccio, qualunque giovinastro disposto a vendere la mamma pur di fare carriera, chiunque fra i piccoli mostri di Maria de Filippi, o tra i partecipanti al Grande fratello e ai talent show, quando sono “determinati”, sono nazisti in pectore.
      La “determinazione” è uno dei vizi più schifosi che prendono piede in Italia, già paese del familismo amorale, a seguito della sostituzione dei valori cristiani con i disvalori dell’aziendalismo. I “cattolici non credenti” sono per lo più “determinati”: questa è una ragione in più, per me laico e non credente, per tenere in grande sospetto i cattolici non credenti, del cui novero fanno parte — quasi tutti — i cattoprogressisti.

      • Licia permalink

        A me ha colpito che a pagare alla fine fossero più che altro i “pesci piccoli” e i giovani che nel totalitarismo c’erano stati cresciuti. Poi mi ha colpito molto la descrizione del vecchio professore che offre a Dagerman un dolce finto e un te pessimo con il
        servizio di porcellane di Meißen, così come lo scrittore che vive nel cottage con la famiglia al riparo dalle brutture e sopravvive smantellando la sua biblioteca.
        Come dire, ipocrisia e disperazione, il disinteresse di chi deve sopravvivere per la politica che Dagerman giustifica in pieno.

        [Poiché non ho letto il libro, c’è un particolare che mi sfugge: qual è la politica che Dagerman giustifica in pieno? Verrebbe da pensare, con riferimento al contesto, che s’intenda una denazificazione selettiva. È così? Però avrei un ricordo personale che in parte contrasta con questo assunto. Anni fa ospitavo per qualche giorno nel mio antro abduano un brillante ricercatore dell’Università di Monaco, un italianista che di lì a non molto avrebbe pubblicato diversi libri. Lui scorreva i libri della mia biblioteca e, quando si accorgeva ch’erano letture comuni, li commentava. Quando si accorse che avevo una copia del ‘Mein Kampf’ di Hitler, accanto ai ‘Protocolli dei Savi di Sion’ (un libello di disinformazione antisemita, forgiato dalla polizia segreta zarista: ebbe larga diffusione nella Germania nazista, ed è tuttora ristampato e diffuso nei paesi arabi), impallidì. Questi libri erano e, per quel che ne so, sono ancora proibiti in Germania. E l’episodio che dico risale alla vigilia dell’avvento d’Internet, o forse già c’era, ma non c’erano né Google libri, né i repertori di libri di propaganda politica (per esempio, ‘I Protocolli dei Savi di Sion’ si trovano oggi in un batter d’occhio in un sito antimassonico di cattolici tradizionalisti e razzisti). N.d.Ar.]

  73. Sandra permalink

    Comunicazione politica:

    • Salvini: suo ipercinetismo mediatico, amplificato dal “Web filosofo” di scuola putiniana, la coglioneria degli italiani e le colpe della similsinistra (ottimamente rappresentata dalla dott.ssa Serra)

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      Per leggere l’articolo, fare clic sull’immagine.
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      Con riferimento all’articolo segnalato nel commento precedente, mi meraviglia (o faccio male? non viviamo forse in un clima culturalmente degradato, dove l’informazione è alla portata di tutti, ma pochi, di fatto, sanno ragionare sui dati disponibili?) che non si faccia cenno al fatto che Salvini, fin dal 2014 si vale di una squadra di disinformazione e manipolazione mediatica di modello putiniano. Del resto Salvini è amico della zar, si dice anzi che Putin sia un finanziatore della Lega, ma la cosa è da dimostrare, mentre è dimostrato che l’amica di Salvini, Marine Le Pen, ha ricevuto finanziamenti dallo zar.
      In breve, Salvini si vale di una squadra di “operatori” coordinata da Luca Morisi, sbrigativamente definito “Web filosofo”, ma lui nel suo profilo cinguettante (vedi)ci tiene a precisare: «Digital philosopher. Social-megafono, mi occupo quasi 24×7 della comunicazione per il Capitano» (oh, yeah!). Pare che la definizione di “capitano” sia sua. Di qui ad affermare che l’Web filosofo e la sa squadra siano collegati con l’Internet Reserach Agency, la centrale della disinformazione putiniana con sede a San Pietroburgo, ce ne corre. Ma mettere il naso su questa faccenda non sarebbe male, anzi sarebbe doveroso per un giornalismo che si rispetti (giornalismo d’inchiesta, non culilinctorio, non enogastronomico, non markettaro).
      A dimostrazione del fatto che val la pena, talvolta, leggere Nusquamia, ricordo che già nel dicembre 2014 scrivevamo di questo signore di Verona che «si fa in quattro per far salire alle stelle il numero di “mi piace” in risposta alle sparate salvinesche». Ma quello, verisimilmente non era che l’inizio; si veda Il “fenomeno Salvini”: i pupari e il “Web-filosofo”, dove si legge:

      In pratica, Luca Morisi, lungi dall’essere il guru di Salvini, come invece Casaleggio è il guru di Grillo, è una specie di direttore alle vendite, uno che si adopera perché il “prodotto Salvini” entri in tutte le case degl’italiani. Più che un filosofo, costui è un laureato in filosofia, dedicatosi dopo la laurea alla burocrazia della rete. Insomma, niente che fare con Tim Berners-Lee che era uno scienziato e che presso il CERN (Centro Europeo per la ricerca nucleare) sviluppò il cosiddetto WWW, il World Wide Web cioè la tela a diffusione mondiale per la condivisione (ohibò! ma in senso non serrano), inizialmente, degl’ipertesti.

      Scrivevamo inoltre in Il pallino del gioco non è più dei partiti…:

      Gli istinti bestiali pavloviani che muovono Salvini e che lui stesso evoca nelle plebi sbandate, con la collaborazione di un “Web filosofo” veronese e con la benedizione dell’“economista” Claudio Borghi, ex agente di borsa, sempre fotografato accanto a Salvini, sempre pronto a certificare con la sua scienza (??) che quel che dice Salvini è giusto.

      Ancora, in un altro articolo del luglio 2015 (Anche se questo del Salvini è soltanto un “coniglio mediatico”…):

      E poi, quante ne spara, il Salvini! Lui spara, il suo Web filosofo rende “virale” la sparata, s’apre il dibattito! Ma meglio sarebbe dire: s’apre il cazzeggio. Che però non va preso sottogamba, semmai va trattato per quello che è. Nella “politica” di Salvini non c’è niente di razionale, non c’è un progetto. Ma funziona così: lui spara, i suoi cani molecolari coordinati dal Web filosofo (povera filosofia!) annusano, se l’odore è buono, se cioè la sparata è foriera di voti, quella entra nella “linea” del Salvini. Altrimenti viene scartata.
      […] Non si fa politica con la demagogia. Imparate da Mussolini, visto che siete alleati di “Sovranità”. Mussolini profittava delle debolezze del popolo, ma lo dominava, non ne era dominato. E lo educava. E sapeva trovarsi i collaboratori giusti per fare le cose giuste: parlo dell’Iri, della rivalutazione della lira a quota 90, e non dell’entrata in guerra. E un servizio di leva potrebbe essere un’ipotesi plausibile, se formulata, appunto, da scienziati e non da Salvini e confermata da “economisti” ambiziosetti e lecchini. Se collocata iu un sistema di relazioni, in un modello sociodinamico à la Forrester. Roba troppo difficile per i vostri cervellini, perché si tratterebbe di progettare un New Deal. Già, con i collaboratori che vi trovate, c’è da star freschi!

      Naturalmente, se gli italiani avessero più intelligenza, più cultura e più spirito critico (che, quasi sempre, è conseguenza delle prime due qualità), sia pure turandosi il naso, al referendum costituzionale si sarebbero espressi per il “Sì”, che avrebbe comportato un andazzo diverso, legge elettorale compresa e, soprattutto, avrebbe affermato il principio che si può cominciare a cambiare qualcosa, in questo maledetto paese. Magari con qualche compromesso, e male: insomma, con Renzi. Ma si trattava di stabilire un principio, a costo di dare un dispiacere a Zagrebelsky (che aveva un certo fascino, lo riconosco, soprattutto per le mezze calzette: se lo dice Zagrebelsky che è una persona di cultura, di nobili natali, allora anche io, pur mezza calzetta…).
      Ma i meccanismi di coglionamento mediatico di Salvini non avrebbero funzionato, non fosse che Salvini ebbe, e ha, buon gioco a profittare degli errori della similsinistra che, in tema di immigrati, è sempre stata sotto schiaffo, succube dei cattoprogressisti, ai quali si è data un’importanza maggiore di quanto meritassero, e meriterebbero. E in ogni caso, a parte il loro impatto elettorale, che è innegabile, stante l’uso spregiudicato che fanno delle strutture della Chiesa, si trattava di essere un po’ lungimiranti, e razionali. Solo con Minniti è cambiata la musica, ma bisognava sostenerlo. Invece, tutt’al più lo si è considerato come un male necessario, e necessario fino a un certo punto. Ma c’è da dire che il danno recato dai cattolici non credenti, indifferenti alle sofferenze del popolo, alle sofferenze reali e a quelle immaginarie, e soprattutto a quelle, alimentate dall’attivismo degli spacciatori di paura e odio, il danno — dicevo — recato al Partito democratico e, soprattutto, agl’italiani è stato enorme.

  74. Noterella scherzosa sui poteri di Claudio «Aquilini» Borghi
    Borghi, già ministro in pectore dell’Economia, poi nemmeno capo di Segreteria del Ministro, e neanche sottosegretario, finalmente è divenuto capo di una Commissione

    Mamma mia! E che sarà mai? Claudio «Aquilini» Borghi è appena stato nominato Presidente della Commissione Bilancio della Camera, e lo spread torna a impennarsi? Proprio come quando si doveva decidere quale dovesse essere il Ministro dell’Economia, la sua candidatura era tramontata, ma lui continuava a fare battute sull’abbandono della moneta unica europea?
    Adesso Claudio «Aquilini»Borghi è diventato più moderato nella scelta delle parole, in un’intervista al Corriere della Sera afferma piccato che non è vero che lo spread sale per colpa sua e di Bagnai (che dei due è quello intelligente) ma insiste: «Io sono e resto convinto che per l’Italia il ricupero della sovranità monetaria sarebbe positivo per la soluzione di tanti problemi».
    Ma perché dargli tanta importanza? Veramente è dotato di poteri così forti per cui, come lui parla, o soltanto è nominato, e lo spread s’impenna? Io non ci credo. Manco fosse l’archeologo Maiuri o l’esoterista Raimondo di Sangro, principe di Sansevero: sono due nomi che, appena evocati, creano a Napoli reazioni inconsulte, o anche ponderate (come nel caso del filosofo Benedetto Croce), secondo i casi, ma comunque apotropaiche. Scrivevamo, in questa stessa pagina, sempre a proposito delle battute di Borghi e dello spread:

    Seh! Altro che teste d’uovo, ingegneri, fisici, matematici, modelli di simulazione dinamica dei sistemi. Qualcuno sembra essersi dimenticato del potere d’incantamento delle battute. Lo dice anche il Vangelo di san Giovanni: «In principio era il Verbo». Già: il Λόγος. Ma non era mica il verbo di Claudio «Aquilini» Borghi. Era ben altro Verbo.
    Boh, forse conviene metterla sul ridere: suggerirei che noi tutti si ricorra, in massa, ad antichi e collaudati sistemi partenopei di difesa apotropaica. Diceva “don” Benedetto Croce, filosofo napoletano: «Non è vero, non ci credo, ma mi provvedo». E si toccava la palle.

  75. Le tenebre della barbarie
    Salvini ruvido e populista (non è un apprezzamento positivo) nei confronti di Saviano

    Salvini — dice Saviano — «ha l’italica furbizia del vendere ciò che il cliente vuole, anche se non possiede il prodotto». Ha ragione: noi stessi sono anni che denunciamo il metodo levantino di far politica, degradata dai grilloleghisti e dai cattolici non credenti a politichetta. Ha ragione Saviano nell’inquadrare Salvini per quello che è, e ha ancora ragione quando afferma:

    Ma Salvini mi attacca perché è a capo di un partito di ladri, quasi 50 milioni di euro di rimborsi elettorali rubati. Parla di tutto e se la prende con gli ultimi perché le persone non devono sapere che il suo partito ha rubato allo Stato. Parla alla rabbia di persone ignare del fatto che i primi obiettivi di quegli imbrogli sono loro».

    Detto questo, faccio presente ancora una volta che i filosofi dell’isola felice di Nusquamia sono convintamente e conseguentemente razionalisti, il che significa che non amano la mistica. Non amano l’esoterismo, non amano la mistica dell’euro, non amano la mistica istituzionale, non amano la mistica dell’Erasmus & Orgasmus, detestano la mistica dell’aziendalismo e dei corsi di formazione truffaldini, disprezzano la mistica vegana, la mistica dei cani, la mistica patriottarda e mongoidentitaria, la mistica della condivisione, la mistica che “donna è bello, più bello che maschio”, come pure la mistica machista, la mistica mercatista, la mistica del nuovo che avanza, la mistica della società liquida, la mistica degli “eventi” culturali ecc. E, se Saviano diventa un oggetto di culto mistico, non amano neanche Saviano. Ma Saviano non può e non deve essere trattato con gli argomenti di Salvini.
    C’è qualcosa che ripugna, ormai, in tutto quello che Salvini dice (quanto al fare, qualcosa sicuramente fa, ma è subordinato a quel che ne possa dire; molto ha detto, poco ha fatto: dunque Salvini, almeno per il momento, è soprattutto quello che dice). E pensare che ha frequentato il liceo classico Manzoni di Milano! Ma questo è segno che non basta avere un diploma di cacata carta in tasca, anche se di qualità, se poi si voltano le spalle alla sapienza degli antichi e alla civiltà dell’uomo, di tutti gli uomini, e si vive spericolatamente come Salvini. A riprova del suo torpore intellettuale, ricordiamo che confuse il participio con il gerundio («I migranti? Per me sono un gerundio»: così esternò, in favore di telecamera).
    Le espressioni di Salvini sono echi provenienti da un mondo di tenebre, un mondo di compiaciuta barbarie, simile a quello nel quale risuonano i sinistri miagolii del gatto padano, il quale non esita e evocare schiaffoni della dott.ssa Serra impressi sul volto di Aristide e Gandolfi, e nel redigere le sue cronachette politiche, nella parte dove non ha copiato & incollato, si compiace di evocare “sberle” subìte da questo o da quello (e lui gode al sentire il suono metaforico di quelle sberle); ed è sempre lui che, avendo in dispetto i sardagnoli, ne sentenzia la punizione a suon di “plocade”: una lapidazione, insomma.

    • NoFilosofo permalink

      Forse varrebbe la pena porre alcune domande a Saviano del tipo:
      -cosa dà del suo agli ultimi di cui parla?
      – quanti migranti dovrebbe prendere l’Italia e una vota raggiunto il suo limite cosa sarebbe disposto a fare per fermarli?
      – dove vive?
      – di cosa vive, in particolare quello che prende è ragionevolmente equo rispetto agli ultimi?
      – da quanto ha la scorta e quanto pensa di doverla avere (forse non sa che la pagano gli italiani)

      Con gente così in circolazione c’è da vergognarsi di essere italiani.

      • Per giudicare bisogna avere la coscienza a posto


        La statua del sciur Carera a Milano ci ammonisce a parlare a ragion veduta, soprattutto nel biasimare i difetti altrui.

        Neanche io faccio parte del novero dei grandi estimatori di Saviano: altri sono gli apostoli del socialismo, della libertà e dell’eguaglianza che hanno segnato la mia gioventù, e che continuo ad ammirare. Era gente che pagava di persona, più di quanto paghi Saviano, anche se mi dicono che vivere sotto scorta non è un bel vivere, per esempio sotto l’aspetto delle avventure erotiche. Però, se uno è intelligente, si organizza, immagino. A me piacevano i personaggi come il prof. Sinigaglia del film I compagni, di Monicelli:

        Ciò premesso, andiamoci piano prima di dire “Togliamo la scorta a Saviano”, perché questo è un momento delicato. Potrebbero fare la pelle a Saviano non per quello che è, ma per quello che rappresenta, o che si pretende ch’egli rappresenti, o che invece non rappresenta. Banalmente, qualche pazzo potrebbe attentare alla vita di Saviano, proprio in questo momento, nella speranza di un impossibile sollevazione (già, ma da parte di chi? gli aziendalisti del Pd? Bepi el memorioso? i cattolici non credenti?) contro i grilloleghisti. Bisognerebbe sapere quale sia la strategia di Putin in Europa, ma anche quella di Trump e quella dei pescecani della finanza; e la Cina, possibile che questa potenza mondiale non abbia una strategia europea? Noi sappiamo, più o meno, quali siano i loro interessi, ma le loro mosse sono imprevedibili, dipende anche dagli accordi che hanno fatto tra loro, sulle nostre teste. Forse i servizi segreti israeliani ne sanno qualcosa (almeno loro sono gente seria), ma hanno le loro gatte da pelare, e i loro interessi, eventualmente divergenti dai nostri (vedi il ruolo dell’Iran).
        Suggerisco di lasciare la scorta a Saviano e, quanto al diritto di giudicare, che non può essere levato a nessuno, neanche a Salvini, penso però che di debba seguire il saggio monito del sciur Carera. Questo è il nome affibbiato a quel signore togato che si rova a Milano, nel Corso Vittorio Emanuele, così chiamato per assonanza alla parola “carere” (infinito del verbo careo, “sono privo di…”), all’inizio dell’iscrizione scolpita sul basamento della statua:

        Carere debet omni vitio qui in alterum dicere paratus est.

        cioè:

        Colui che si sente pronto a parlar male d’un altro dev’essere privo di ogni difetto.

        Ed io intendo che chi parla male di un altro dev’essere privo soprattutto del difetto che rimprovera all’altro. Infatti Saviano ha avuto buon gioco a pizzicare Salvini sui soldi della Lega. Qualcuno dirà: ah, proprio tu dici questo, o Aristide, che tormenti la dott.ssa Serra e il gatto padano? Un attimo: forse che io sono “determinato”, o parlo oracolarmente di cose più grandi di me, per accreditarmi una fichitudine inesistente?

  76. Una volta tanto la scuola italiana fa una bella figura. Ma c’è chi vorrebbe sfregiare il liceo classico
    Il tema di versione dal greco suona come un severo monito nei confronti dei grilloleghisti, della dott.ssa Serra e degli aziendalisti


    La prova di greco presentata all’esame di maturità classica (2018). In rosso, il passo messo ingiustamente sotto accusa. Fare clic sull’immagine per ottenerne un ingrandimento.

    Una volta tanto la scuola italiana, al riparo dalle trovate della sciura Valeria (che non c’è più, per fortuna) e della Boldrina (che pretendeva di sottrarre ore dedicate allo studio utile per catechizzare gli studenti in senso boldrinamente corretto: c.d. “gender” e c.d. “fake news”) si fa onore. Alla maturità del liceo classico propone da tradurre un brano tratto dall’incipit del libro VIII dell’Etica nicomachea, tanto che l’illustre storico e filologo Luciano Canfora commenta: «La versione di Aristotele? È davvero un’ottima scelta, perché è stata pensata per fare un dispetto al pessimo ministro dell’Interno che attualmente abbiamo. Ruota intorno al concetto che è l’amicizia con gli altri che tiene in piedi le città». Certo, con tanti saluti al mercatismo di Claudio «Aquilini» Borghi, alle tenebre della barbarie salvinesca, alla cazzata solipsistica dell'”uno vale uno” dell’Andreotti soppressado (Di Maio), alla determinazione della dott.ssa Serra, all’ignoranza del gatto padano e al feroce darwinismo spenceriano degli aziendalisti.
    Ecco però che Panorama riporta l’opinione di un professore del quale non sappiamo il nome, e a dire il vero non sappiamo nemmeno se esista (ma se esistesse non ce ne meraviglieremmo: sarà un professore sindacalizzato) secondo il quale a un certo punto del testo proposto come brano di versione «dopo un soggetto, per di più oscuro perché fa implicito riferimento a un brano di Omero, nel testo compare un punto che nella versione originale non esiste». Cioè il soggetto è separato dal predicato verbale. Si veda Maturità 2018: un errore nella versione di greco.
    Niente di tutto questo: il brano si propone di mettere in evidenza che “due persone che procedono insieme” sono più capaci di pensare e di agire, dove “due persone che procedono insieme” (in greco, «σύν τε δύ᾽ ἐρχομένω», dove σύν è da attaccare a ἐρχομένω, perché siamo davanti a una figura di “tmesi”) è espressione tratta da Omero. Il passaggio posto sotto accusa è corretto, e il Miur (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) fino a poco tempo fa infelicemente presieduto dalla sciura Valeria (domani è un altro giorno, si vedrà: e che Dio ce la mandi buona!) non ha scopiazzato un testo errato da Internet, come pure si è osato scrivere, in tono oracolare degno del gatto padano (“oracolare”: cioè perentorio e senza dimostrazione). Ecco infatti la smentita del Miur:

    Nello specifico, il testo proposto è conforme all’edizione critica a cura di I. Bywater, Oxford, Clarendon Press, 1894, più volte ristampata. Nessuna versione scaricata da Internet, come riportato erroneamente nell’articolo. In particolare, per la citazione omerica (Iliade X 224), che viene inserita come un detto quasi proverbiale, l’utilizzo che ne fa Aristotele implica la scelta di lasciare la frase in sospeso, aggiungendo poi il suo commento (“e infatti costoro risultano maggiormente in grado di pensare e di agire”).

    Chi voglia leggere la traduzione e un’analisi morfosintattica di tutto il brano può fare riferimento al meritevole sito della casa editrice Zanichelli: Maturità 2018, greco. La traduzione, a dire il vero, è un po’ libera, più di quel che normalmente si richiede a uno studente (per verificare che abbia capito i nessi di dipendenza logica): ma è (anche) una questione di opinioni. In particolare, perché sia chiaro che non c’è nessun errore nel brano proposto, vediamo il luogo incriminato:

    “σύν τε δύ᾽ ἐρχομένω·” καὶ γὰρ νοῆσαι καὶ πρᾶξαι δυνατώτεροι.

    cioè:

    «Arrivando infatti insieme». E infatti costoro [sono] maggiormente in grado di pensare e di agire.

    Tanto per cominciare, di quale punto parla il professore sentito da Panorama? Il punto in alto dopo ἐρχομένω? Ma quello equivale a un nostro punto e virgola. O il punto in basso dopo δυνατώτεροι? Ma quello significa che subito dopo comincia un altro periodo, e non c’è nessuna separazione del soggetto dal predicato. Semmai si dirà che la proposizione dopo la citazione omerica è ellittica del verbo “essere”: ma questo è normale, in greco e in latino, dunque dov’è lo scandalo? Dove, soprattutto, l’errore?

  77. La jeune fille permalink

    @Aristide

    Vedi:

    [Un po’ deludente: parlo dell’intervista. Del film ‘Teorema’ ho un ricordo sbiadito, dovrei rivederlo, per dirne qualcosa. Ricordo però che trovai gratuita l’insistenza sull’inquadratura del corpo di Massimo Girotti che si perde nudo nel deserto. Se si voleva rappresentare lo spappolamento di un uomo (in particolare, della borghesia) e l’impossibilità di porre rimedio al danno di un’esistenza sbagliata, beh, il concetto è stato espresso con ben diversa e meno corriva efficacia nel film ‘Il danno’ di Louis Malle, quando nella sequenza finale del film vediamo Jeremy Irons che, spogliatosi anch’egli dei beni materiali, ma non nudo, accumula in cucina, giorno dopo giorno, la carta oleata del cibo che lo mantiene in vita, ma solo per vivere del ricordo di una vita mancata. La sequenza finale del film (questo sì, un capolavoro) è riportata qui sotto. ‘Teorema’ subì gli strali della censura e piacque ai cattoprogressisti: beh, non c’è da meravigliarsi. N.d.Ar.]

  78. La jeune fille permalink

    Quando ero piccola pensavo che Biagi fosse il dio giornalista per eccellenza. Dopo quarant’anni soltanto imbattendomi a casaccio in questa intervista del nostro a Pasolini, ho preso atto del fatto che il nostro è una verme (mi riferisco evidentemente all’intervistatore). Faccio presente che Pasolini non mi è mai stato particolarmente congeniale:

    • Biagi, Barbato e Pasolini
      Ma Pasolini, se non altro, non era pavido e conformista

      Neanche io ho mai apprezzato Enzo Biagi. Certo, era uno precisino, molto attento alle cacate carte, una specie di agrimensore del giornalismo, come si capisce anche da questa intervista: si è preparato, ha studiato il caso, ha sgobbato leggendo le interviste precedenti di Pasolini. Ma gli manca il guizzo dell’intelligenza. E nella vita era un pavido (ho già scritto come fosse stato fascista in gioventù, fascista e repubblichino, poi sparì dalla circolazione, quindi entrò a Bologna seduto su una camionetta degli alleati, da “quasi-partigiano”. Merda! Si veda Anche Enzo Biagi, naturalmente, fu fascista). Pensiamo invece a un’intervista (impossibile) condotta da Sgarbi: il critico ferrarese improvviserebbe, in base a quel che sa di Paolini, e porrebbe questioni intelligenti.
      Un altro giornalista che tenevo in dispetto (cioè, disprezzavo) era Andrea Barbato, uno che a suo tempo piaceva da pazzi a chi stravedeva per la cosiddetta e stramaledetta “società civile”.
      Pasolini verso la fine dell’intervista fa un’osservazione interessante: «Non si legge mai più, in tutta la vita, come si leggeva allora», e si riferisce ai suoi quindici anni, quando acquistava i libri in una certa libreria di Bologna. Ha ragione. Alle volte si dice: eh, ma se uno vuole studiare latino, e proprio gli piace, lo può studiare all’Università. No, non è lo stesso. Quell’attitudine logico-induttiva che è risultato dello studio del latino (purché serio) e quel gusto per la dignità dell’uomo che si acquisisce leggendo i classici plasmano la mente soprattutto in quegli anni. Vero è che non è mai troppo tardi, ma troppo tardi diventa tutto più difficile. Perciò bisogna resistere perché nel liceo scientifico non si prosegua nella campagna di annientamento del latino: anzi, bisognerebbe tornare al numero precedente di ore d’insegnamento. Se non c’è latino, non c’è liceo, poche palle, un liceo senza latino è un’impostura.
      In generale, senza una buona scuola di base a ben poco servono i corsi di formazione, gli atteggiamenti sbruffoni e “determinati” dei mongomanager e dei politici ignoranti, l’imbarbarimento del linguaggio in senso tecno-burocratico, o, con riferimento alle sciacquette progressiste, il rompersi i cabassisi a vedere le mostre consigliate dalle pagine culturali dei giornali e a leggere i libri che risultano primi in classifica nelle medesime pagine. Teoricamente queste cose servirebbero a sembrare fichi, in pratica costoro si riempiono di ridicolo.

  79. Sassi
    Canzone lamentosa di Gino Paoli, dedicata al gatto padano, quello delle “plocade”

    Il gatto padano, si sa, è terribile e, se gli salta la mosca al naso, parla di schiaffoni, sberle e “plocade”. Schiaffoni della dott.ssa Serra sul volto di Aristide e del sindaco del buon governo, sberle per tutti e, come trattamento di favore, “plocade”, cioè sassate, sui maestrini sardagnoli che colgono il gatto in fallo linguistico, e d’altro genere. Penso che per calmarlo non basterebbe neanche uno “stravento”, che a Curno non è un vento di straordinaria intensità, come lascia intendere la parola, ma un acquazzone con pioggia battente traversa, o anche un nubifragio, con pioggia a perpendicolo. Così perlomeno dice l’oracolo del gatto, in sintonia con gli agrimensori padani, quelli più ruspanti, e così lui vorrebbe che dicessero tutti, e che si scrivesse negli atti della Giunta e del Consiglio comunale di Curno (in relazione alla pioggia che inopinatamente allagò la Scuola elementare “Perlita Serra”, una delle tre “eccellenze” di Curno, meno eccellente però riguardo alla tenuta impermeabile dei suoi serramenti).

    • Chi non è ferrato nella dialettica, preferisce le vie di fatto: le sberle, per esempio, o le “plocade”; un tempo anche il napalm

      Rimane tuttavia il dubbio: meglio le sberle, le “plocade” o il napalm?

  80. Maria Elena Boschi, antidoto al populismo becero e alla crudele determinazione boldrinesca

    Ecco una foto recente di Maria Elena Boschi al Palazzo ducale di Venezia in occasione di un evento mondano, un qualche anniversario del Ferretti Group: sono quelli che producono yacht di lusso. A noi del “Ferretti Group” non importa niente, del gala al quale ha partecipato la Boschi nemmeno, tanto più che erano presenti Bruno Vespa e Bombassei (squit, squit, squit!), molto prevedibili e per niente belli. Quando il Gruppo Ferretti si presenta come «azienda sinonimo di eccellenza ed eleganza», noi diciamo che “eccellenza” ci fa cacare, essendo questo un vocabolo ricorrente ormai in qualunque buzzurrata (non a caso va per la maggiore nell’infelice paese di Curno, Bg). Invece c’interessano Maria Elena Boschi e la sua placida bellezza, il cui ricordo nella passata legislatura più di una volta ci aiutò a superare i momenti di sconforto, quando per esempio la Boldrina abusava del suo ruolo istituzionale, invitava Asia Argento a non lasciare l’Italia (così l’attrice minacciava, e pareva una perdita gravissima, chissà perché), o quando la medesima Boldrina scopriva l’esistenza delle c.d. fake news e si alleava con la sciura Valeria, non rimpianto ministro della Pubblica istruzione, [*] per imporre ai ragazzi delle scuole, con questa scusa, dosi massicce di pensiero unico e “babbiate” del gender-pensiero.
    Oggi 24 giugno 2018 Eugenio Scalfari lancia sul quotidiano del quale è fondatore l’idea che l’Unione europea, nell’affrontare il problema dell’immigrazione, possa utilmente fare ricorso alle competenze e all’esperienza dell’ex ministro dell’Interno Marco Minniti, affidandogli un ruolo istituzionale. Mi sembra una buona idea, anche se non so quanto praticabile: Minniti era l’unica soluzione possibile, ancorché tardiva, ai danni recati alla politica italiana, e agli italiani stessi, dalle boldrinate e dal cattoprogressismo “à la” Perlita Serra, dei quali, come sappiamo, il grilloleghismo è stata la risposta irrazionale, rancorosa e bestiale.
    Analogamente a quanto propone Scalfari per Minniti, l’Unione europea potrebbe creare un ente (o un ministero?) per la demistificazione delle brutture del populismo, e insediarvi come presidente Maria Elena Boschi. Fra l’altro — non so se ci avete fatto caso — è bravissima nell’ars argumentandi: se le poni una questione, lei non fugge, e risponde punto su punto. È un bravo avvocato, mica come quella fatalona “megalotide”, la sindachessa dei Quiriti, insomma la Raggi, che era avvocatessa nello studio di Previti, e che quando si tratta di ragionare è una schiappa. Maria Elena Boschi invece è bravissima nell’usare le leve della logica, tant’è che non l’avrete mai vista sfoderare il benché minimo, ma comunque indisponente, sorrisetto asseverativo. Non ne ha bisogno.

    …………………………………………………………….
    [*] Scriviamo “ministro” pur consapevoli della gravissima trasgressione alle sacre norme del linguaggio boldrinamente corretto, codificate da Cecilia Robustelli, linguista femminista, che riuscì a fare un colpo di mano in questo senso presso l’Accademia della Crusca, di fatto sputtanandola. Se qualcuno la chiamava “ministro”, veniva subito ammonito dalla sciura Valeria: «Scusi, potrebbe chiamarmi “ministra”?».

    • Alessandra permalink

      Dubito ergo sum dubitans

      Si veda:
      https://www.corriere.it/politica/18_giugno_27/berlusconi-boschi-vacanza-insieme-hotel-benessere-e7668158-79fb-11e8-b751-1a567fb9343a.shtml

      [Beato Berlusconi! Speriamo che si comporti bene, che sappia stare al suo posto. Quando vuole, è educato e galante, ancorché in stile brianzolo, e allora ricorda Johnny Dorelli, che è di Meda. Uno come Rocco Siffredi sarebbe disposto a girarci un film: ma lui, si sa, è un maiale: adesso, a quanto pare, addirittura un maiale “istituzionale”. A suo tempo, parlo di più di dieci anni fa, quando Conchita De Gregorio assunse la direzione dell’Unità, disse che nessuna delle deputate del Pd lo ispirava (neanche Anna Finocchiaro, che viveva gli ultimi anni della sua prorompente bellezza fanée). Però Conchita De Gregorio… beh, le avrebbe dato un ruolo di protagonista, con la partecipazione speciale di Berlusconi, che avrebbe giocato la bella, l’ultima. Così Rocco Siffredi: ma sono cose — dicevo — di dieci anni fa. Oggi addirittura incredibili, se pensiamo all’azione del ‘tempus edax rerum’; e se pensiamo alla Boldrina. N.d.Ar.]

  81. P.S. – Ecco la sciura Valeria che, con aria professorale e come di chi compatisce un alunno non propriamente normodotato, lancia il monito di appellazione boldrinamente corretta:

    Il giornalista (del Sole 24 ore) mette immediatamente la coda fra le gambe, la sciura Valeria celebra il trionfo.

  82. Tricia permalink

    I believe in dragons, good men and other fantasy creatures.

    • Do you remember Mr Kurtz in Conrad’s Heart of Darkness? «He cried in a whisper at some image, at some vision, – he cried out twice, a cry that was no more than a breath – “The horror! The horror!”».

  83. Valentina permalink

    Segnalazione per Aristide, 27 giugno, h 19, MIlano:
    Presentazione ufficiale di “ARCHIVIO magazine 2 – The crime and power issue”, con Achille Filipponi e Matteo Milaneschi (direttori), Alba Solaro (caporedattrice) e Riccardo Conti (scrittore e contributor).

    THE CRIME AND POWER ISSUE indaga la presenza del crimine e del potere all’interno della società contemporanea nelle sue forme più inedite e laterali: da William Friedkin e la sua Los Angeles insanguinata fino al massacro di Jonestown del 1978. Tra le pagine si susseguono le profetiche riflessioni di Elio Petri sul potere dello stato, le spiazzanti fotografie dall’archivio Stasi di Berlino e Michael Salu ci guida con il suo esperimento letterario nell’incubo della guerra del golfo. Navigheremo nel raffinato foto-giornalismo d’assalto de “La Notte” fino ad arrivare all’ironia di Marco Malvaldi sull’istante del suicidio. Scopriremo il museo come luogo di conflitto in un’intensa conversazione con Christian Greco ed il potere del volto della sindone nella brillante indagine del Prof. Andrea Pinotti.

    • Non so se valga la pena fare un investimento (di tempo) per presenziare a questo “evento”. Mi sento a disagio leggendo un soffietto per metà aziendalistico (ci viene sciorinato l’organigramma dell’impresa editoriale: due direttori, una caporedattrice e perfino uno “scrittore e contributor”, e la scelta di questo termine, “contributor”, è tutto un programma). Il prodotto viene presentato come innovativo, non convenzionale ma anche (per dirla alla maniera di Veltroni) istituzionale. Faccio auguri di tanta carriera istituzionale agli organizzatori: tanto io non ho niente da perdere, a me non possono fare del male; vuol dire che se li ciucceranno i ggiovani, che non invidio, perché non avranno mai la fortuna di ascoltare le conferenze di chimico-fisica tenute da Humphrey Davy alla Royal Institution, come capitò a Faraday, o di sentire le lezioni di cinema di Pio Baldelli, come capitò a noi). In ogni caso non vado all’evento.
      Elio Petri comunque fu un grande, speriamo che non lo massacrino. Quanto al rapporto tra politica e crimine, anche quando non è quello adombrato nel romanzo postumo di Pasolini, Petrolio, esso comunque sussiste sotto il profilo motivazionale. Tant’è che ho scritto, credo più di una volta, che l’analisi politica somiglia –anzi, deve somigliare — al rapporto di un’indagine criminale.

  84. Quando gli agrimensori erano persone serie, studiavano, misuravano i campi e non erano ancora “geometri”


    L’autore di questo trattato è l’abate Mascheroni, bergamasco, che fu valente matematico e scrisse le Adnotationes ad calculum integralem Euleri (vedi). Fu anche poeta (per la precisione poeta àrcade: in Arcadia prese il nome di Dafni orobiano) e scrisse alla contessa Paolina Secco Suardo (in Arcadia, Lesbia Cidonia) l’Invito di Dafni Orobiano a Lesbia Cidonia: la contessa era invitata a Pavia, dove il MAscheroni era professore, perché ne visitasse il gabinetto scientifico. In occasione della sua morte, il poeta Vinzenzo Monti scrisse la Mascheroniana, opera in terzine dantesche, che colloca il Mascheroni nel novero degli spiriti magni ai quali l’Italia si onora di aver dato i natali.

    Facendo clic sull’immagine qui sopra si può sfogliare un trattatello scritto dall’abate Mascheroni ad uso degli agrimensori, prima che gli agrimensori si chiamassero “geometri”. L’agrimensura nell’Italia postunitaria era insegnata negli istituti tecnici agrari; solo nel 1929 con Regio decreto si istituisce l’Albo dei geometri, e il titolo di geometra è assegnato, a norma di cacata carta, a tutti coloro che avessero conseguito il diploma di agrimensura, previa iscrizione all’Albo. Da quel momento in poi gli agrimensori presero il nome di “geometra”, e fu una gherminella linguistica. Perché, etimologicamente, “agrimensore” è un calco latino della parola greca “geometra”: significano la stessa cosa, cioè “misuratore” (in lat. mensor) della terra (in lat. ager, al gen. agri). Ma con questa differenza: in pratica, se uno dice “agrimensore”, intende un tecnico, che svolge un lavoro utile e più che dignitoso (mica il rappresentante di condom, mica il giornalista enogastronomico), quello di misurare l’estensione dei campi; parimenti è agrimensore colui che si fa carico di tutto un insieme di mansioni correlate. Se invece uno dice “geometra”, è naturale pensare alla geometria, che è disciplina nobilissima, che immaginiamo nata dall’esigenza di misurare l’estensione dei terreni, all’inizio, ma assurse in Grecia a vette di astrazione purissima, dalle quali era dato contemplare il mondo delle idee, il divino. Tant’è che si dice che all’ingresso dell’Accademia di Platone si leggesse il monito:

    Ἀγεωμέτρητος μηδεὶς εἰσίτω.

    cioè:

    Nessuno entri senza aver conoscenza della geometria.

    Insomma, altro che sberle e “plocade”, altro che straventi, palle colossali del genere dei coccodrilli che avrebbero infestato la Provenza al tempo dei Romani, altro che vantarsi dicendosi “per metà francese”, altro che snocciolare acronimi per apparir fichi, altro che fare la sentinella alle cacate carte! Se pensiamo che oggi un neolaureato in architettura fa la fame (ci sono quelli che portano le pizze e i cibi cotti nelle case di strafottuti impiegati a stipendio garantito), mentre gli agrimensori, che si fanno chiamare “geometri” (pfui! come quando uno stitico si fa chiamare non-cacante), se la passano alla grande, svolgendo pratiche burocratiche alle quali uno Stato iniquo asservisce i cittadini degradati al livello di sudditi, ebbene, ci sarebbe da dissotterrare l’ascia di guerra. Come se non bastasse, ci sono agrimensori che pretendono di dettar legge addirittura in campo estetico e culturale: siamo al mi-piace e non-mi-piace, ovviamente oracolare. Scrivevo più di un anno fa: «Ci fu un tempo in cui gli agrimensori facevano lavori utili e più che rispettabili. Adesso fanno gli urbanisti, e se il progetto di un architetto non gli è gradito stabiliscono che è un ecomostro. Alcuni addirittura pretendono di riformare la lingua italiana».

  85. Alcatraz permalink

    Chi non muore si rivede!
    Occhetto, caro lui…
    Vitalizio si vitalizio no…io lo proporrei a tempo determinato a chiamata…ma si vergogni!

    Vedi:

    [Merda! E pensare che, quando nei momenti di sconforto vado con la mente a considerare il naufragio delle speranze e l’orrore della similsinistra, due sono le immagini ricorrenti: quella della dott.ssa Serra e quella di Occhetto. Della dott.ssa Serra, della sua determinazione e del suo cattofemminismo ho detto abbastanza, anche ultimamente. Quanto ad Occhetto, mi affiora con disgusto il ricordo del suo discettare sulle scarpe da portare quando si va in barca a vela; o quando bacia la moglie Aureliana Alberici in favore di macchina fotografica perché l’Espresso ne accrediti l’immagine “umana”, quindi candida la medesima al ruolo di ministro-ombra nel cosiddetto governo-ombra della “nuova opposizione” cosiddetta democratica; ma forse la cosa più schifosa è quanto scrive a p. 177 del suo libro ‘Il sentimento e la ragione’, quando ci racconta del suo amore per «i libri, l’erbario, la traversata di bolina e il salmoriglio della ricetta segreta per il pesce alla brace». Così dopo qualche anno, poiché non se ne poteva più, quando gente come Pepito el memorioso svendeva per un piatto di lenticchie la nobile tradizione del socialismo umanitario ai cinici aziendalisti, cominciai a votare per la Lega Nord. Poi sappiamo com’è andata: Trota, cerchio magico, cazzate di rito celtico, le bellissime gambe di Roberto Calderoli, l’imbecillità al potere. Doppia merda! Come diceva quella vecchia canzone anarchica? «Pria di morir nel fango della via, imiteremo Bresci e Ravachol!». Non moriremo idioti. N.d.A.]

    • Sandra permalink

      Non è certo colpa di Occhetto, uno dei pochi leader della sx che si dimise quando perse le elezioni contro Berlusconi. Ma che questi politici non abbiano mai lavorato e trovino giusto che neanche i loro figli lavorino se non raccomandati in incarichi pubblici di prestigio deve davvero finire…
      I figli di Occhetto e di altri politici faranno come tanti ragazzi italiani, anche laureati, che purtroppo vanno all’estero e iniziano la loro carriera facendo i camerieri?

      [Eh no, al massimo faranno i camerieri per una settimana, in favore di selfie. Poi saranno sistemati, può starne sicura. E qualcuno di loro magari criticherà il genitore che l’ha sistemato, per coglionarci, perché nessuno pensi che è raccomandato.
      A livello curnense, dicono i maligni che la dott.ssa Gamba abbia accettato l’incarico ingrato di sindachessa, in continuità con la dott.ssa Serra, e senza mai potersi scostare un’unghia dal solco serrano (guai a lei!), non per sé (in effetti, non mostra pari determinazione: va detto a suo onore), ma per offrire occasioni di conoscenze sperabilmente magnifiche al figlio-presidente, perché continui a esser presidente di sempre più cose, sempre più importanti: il traguardo, come sappiamo, è la sedia a sdraio di Chicco Testa allo stabilimento balneare L’Ultima spiaggia, a Capalbio. Infatti, Chicco Testa è saltato, forse salta ancora, da una presidenza all’altra. Ma quella sdraio vale quattro presidenze insieme, è di grandissimo prestigio, per chi crede in queste cose. Io no.
      Frequentatore assiduo di Capalbio era Occhetto, appunto. E così torniamo a bomba. Comunque, sarà anche vero che Occhetto si dimise dopo la sconfitta elettorale: alle amministrative, mi pare. Ma non dimentichiamo che fino al giorno precedente la débâcle, sbruffoneggiava parlando della “gioiosa macchina da guerra” del suo partito. Poi, pensando di metterci una pezza, disse: “Eh, ma così mi aveva detto Leoluca Orlando!”. E così si dava la zappa sui piedi. È mai possibile che uno sano di mente si faccia imbeccare da Leoluca Orlando? (Leoluca Orlando “Cascio”, così diceva Cossiga, giustamente, perché se il padre, avvocato e uomo di panza nonché democristiano si chiama Orlando Cascio, anche il figlio ex democristiano “de sinistra” si chiamerà Orlando Cascio; mi sembra logico.)
      N.d.Ar.]

    • Questo è il canto anarchico che dicevo: l’Inno individualista, di anonimo (primi del Novecento).

  86. Linda da Savona permalink

    Due tre cose di psicologia sociale per illustrare cosa è successo e cosa sta succedendo, da sempre.

    1) la maleducazione, rende. Chi più è maleducato appare più determinato, più forte, e le persone che seguono un certo tono di discussione non riusciranno a prevalere o a farsi sentire. Avete votato Renzi perché era più maleducato di Bersani; più giovane, forte, aggressivo, determinato. Maleducato. I maleducati, vi piacciono. Questo ha impostato – non me ne voglia il povero Renzi – una base di comunicazione sulla quale Grillo e poi Di Battista e poi tutti i suoi adepti si sono buttati a pesce, perché infinitamente più volgari, laidi, maleducati, strafottenti di lui. Di nuovo, non me ne voglia Renzi: non è stato lui a cominciare il gioco. Basti citare la volgarità umana, civile, pubblica di un uomo come Bossi, e restiamo alla politica. E anche in passato, non c’era proprio un uniforme olezzo di viole mammole. Ma è anche vero che esisteva un senso del decoro maggiore, e le eccezioni erano strumenti comunicativi fortissimi. Come Kruscev che batte la scarpa, come Mockus che mostra il culo agli studenti. Oggi, il livello è talmente degradato che presto o tardi per farsi notare occorrerà fare cose di un laido sconvolgente.
    2) Quando dite che gli italiani, disperati per le loro condizioni economiche, stretti nella sensazione di abbandono, di miseria, di sconforto si sono buttati a destra, ignorate un secolo di ricerca sociale. Non voti chi ti assicura che terrà lontani i poveri perché ti senti povero. Lo voti perché sai di avere dei beni e vuoi che il povero non ci metta sopra le sue sporche manine. In estrema sintesi, una volta che qualcuno più furbo di te ha creato un nemico, esterno o interno, strumentale ai suoi scopi, ha campo libero con certe persone – che, va detto, sono oltre la metà dei cittadini italiani, sempre per fare esempi di casa nostra. In estrema sintesi, l’italiano, per il quale è stato coniato appositamente il termine di “familismo amorale” soffre di una acutissima incapacità di pensarsi come comunità. La tattica preferita, da sempre, è denominata “chiagni e fotti”. Tradotto in termini semplicistici: l’italiano è un povero morale, moderatamente benestante, che finge di essere molto più povero di quanto già non sia cosicché i poveri non si invoglino della sua roba. Tutto il resto, è puramente di contorno.

    3) Gli italiani sono, veramente, poveri e miserabili. Una ristretta minoranza di essi nel senso economico del termine. Gli altri, moltissimi, dal punto di vista concettuale, morale, intellettuale, emotivo. La disposizione psicologica di cui al punto 2) ha generato, col passare dei decenni, uno stato di allucinazione collettiva che ci va fruttando molti tristi record: più elevato numero di persone che non cercano affatto lavoro e non lo cercheranno neppure, maggior senso di esclusione sociale, maggiore percezione di rischio personale e collettivo e tante altre di contorno. Di fatto, l’italiano vive costantemente in una paura che ha autogenerato, sia personalmente, sia come realtà collettive cui, pochissimo, partecipa.

    4) L’italiano medio si accorge benissimo di questo stato di cose, sia pure in maniera confusa, e se ne vergogna. Non abbastanza da cambiare stile di vita e punto di vista, ma sufficientemente da coltivare con determinazione tutta una serie di scusanti, attenuanti, soffici cuscini sui quali cadere che lo dipingono come vittima delle circostanze impossibilitata, o detentore di una ragione evidente e razionale. Cazzate, nella stragrande maggioranza dei casi. La necessaria pluralità dei punti di vista non solo non scusa i comportamenti e le idee riprovevoli, ma non toglie neppure la possibilità che detti punti di vista siano del tutto errati. Entra cioè in gioco la dissonanza cognitiva tra l’immagine di se stesso che vuole avere in quanto brava persona, cosa che in fondo, tutto sommato, è o tende ad essere fino a quando le cose non si fanno confuse e difficili, e la reale natura egoista e superficiale che lo porta a fare, pensare, dire ciò che in effetti fa, pensa e dice. Ma sempre con vergogna, e sempre in cerca di approvazione, della quale, vuoi per il suo stato di essere umano, vuoi per la sua immaturità, ha un enorme bisogno.

    5) Ci sono solo quattro cure possibili per questo stato di cose, e devono essere somministrate tutte insieme, a vari intervalli e regolarmente: a) istruzione, da sempre carente, troppo spesso di facciata, inservibile senza gli strumenti di logica di cui deve essere corredata e senza conferme della comprensione; b) lucidità, per prendere atto di quello che davvero accade e trarre profitto dal precedente punto; c) onestà, necessaria per tagliare le idee cui ci si è affezionati in virtù di quelle che si dimostrano migliori o semplicemente reali, e, d) coraggio, qualità di cui non è possibile fare a meno e la cui assenza pregiudica tutto il resto.

    [Mi sembra un’analisi eccellente. In particolare il primo punto mette in luce un particolare importantissimo: con la sua sbruffonesca rottamazione Renzi se proprio non fu l’iniziatore dell’antipolitica, fu tuttavia colui che sparò obici micidiali contro la politica, lanciati dalla Grande Berta posizionata alla Leopolda

    Qui sopra, la Grande Berta, prodotta dalle Officine Krupp, utilizzata dall’esercito tedesco durante il primo conflitto mondiale.

    N.d.Ar.]

  87. Sandra permalink

    Figurati se è finita. È un piccolo passo. Ma è la prima volta che non sento dire “ce lo chiede l’Europa” di sinistra memoria!

    [«In effetti quel “ce lo chiede l’Europa” era odioso. Equivaleva allo sciocco ricorso al principio di autorità (in realtà una fallacia cosiddetta “ad baculum”) che caratterizzava i peripatetici messi alla berlina dal Galilei. Non meno odioso è il gioco al massacro di Salvini. Il vituperato Minniti aveva visto giusto. E avevamo visto giusto anche noi — non fo per dire — che già due anni fa invocavamo il Primo principio della Termodinamica come assioma imprescindibile per una discussione razionale. Scrivevamo inoltre che, in base al Principio di Le Châtelier, il “sistema Italia” prima o poi avrebbe reagito ad una perturbazione impostagli (fondamentalmente dai cattoprogressisti, i “cattolici non credenti”) minimizzandone gli effetti. Non che la perturbazione imposta dalla Boldrina in Italia (o dalla dott.ssa Serra a Curno) fosse poi di così gran momento. Ma la loro comunicazione, il modo della comunicazione, fu devastante. I danni recati dalla Boldrina all’Italia, che ha agito come catalizzatore per l’avvento di Salvini, sono sotto gli occhi di tutti. L’analisi dell’operato della dott.ssa Serra è stata sviluppata costantemente in queste pagine: la Serra si è sfilata, è vero, per almeno due ragioni, per non subire la ripulsa dei cittadini e in vista di una carriera OltreCurno. Tutto sommato, anche se poi la carriera non c’è stata (ma non è detta l’ultima parola), fu una mossa intelligente. N.d.Ar.]

  88. Cristiana permalink

    L’ho dovuto ascoltare 2 volte perché non volevo credere… io la abbandonerei su un gommone al largo della Sicilia…

    “NON POSSIAMO PRETENDERE CHE UN AFRICANO SAPPIA CHE IN ITALIA, SU UNA SPIAGGIA, NON SI PUÒ VIOLENTARE”
    A parlare è Carmen Di Genio, avvocato che fa parte del Comitato Pari Opportunità Corte d’Appello di Salerno.

  89. Lycée Pascal Paoli permalink

    Rainer Maria Rilke

    Pour écrire un seul vers, il faut avoir vu beaucoup de villes, d’hommes et de choses, il faut connaître les animaux, il faut sentir comment volent les oiseaux et savoir quel mouvement font les petites fleurs en s’ouvrant le matin. Il faut pouvoir repenser à des chemins dans des régions inconnues, à des rencontres inattendues, à des départs que l’on voyait longtemps approcher, à des jours d’enfance dont le mystère ne s’est pas encore éclairci, à ses parents qu’il fallait qu’on froissât lorsqu’ils vous apportaient une joie et qu’on ne la comprenait pas ( c’était une joie faite pour un autre ), à des maladies d’enfance qui commençaient si singulièrement, par tant de profondes et graves transformations, à des jours passés dans des chambres calmes et contenues, à des matins au bord de la mer, à la mer elle-même, à des mers, à des nuits de voyage qui frémissaient très haut et volaient avec toutes les étoiles – et il ne suffit même pas de savoir penser à tout cela. Il faut avoir des souvenirs de beaucoup de nuits d’amour, dont aucune ne ressemblait à l’autre, de cris de femmes hurlant en mal d’enfant, et de légères, de blanches, de dormantes accouchées qui se refermaient. Il faut encore avoir été auprès de mourants, être resté assis auprès de morts, dans la chambre, avec la fenêtre ouverte et les bruits qui venaient par à-coups. Et il ne suffit même pas d’avoir des souvenirs. Il faut savoir les oublier quand ils sont nombreux, et il faut avoir la grande patience d’attendre qu’ils reviennent. Car les souvenirs ne sont pas encore cela. Ce n’est que lorsqu’ils deviennent en nous sang, regard, geste, lorsqu’ils n’ont plus de nom et ne se distinguent plus de nous, ce n’est qu’alors qu’il peut arriver qu’en une heure très rare, du milieu d’eux, se lève le premier mot d’un vers.

    [Già, ma vallo a dire ai poeti dialettali. Non solo: anche a quelli in lingua, cioè in italiano, che solitamente non conoscono, o che comunque non conoscono abbastanza bene, non sanno che è una lingua quasi perfetta. Una lingua che vuole il suo rispetto: da questo punto di vista, meglio se scrivono in dialetto. Ma anche qui, non bisogna fare di ogni erba un fascio: Porta era un poeta vero, in milanese; così il Belli, in romanesco. Ma avevano qualcosa da dire, mica dovevano dimostrare di essere fichi e rompere le palle al prossimo costringendoli ad ascoltare le loro cacatine. Bossi fu poeta dialettale, in lingua vernacola “bosina”, cioè varesina, immagino: si veda La scuola di Manuela Marrone, moglie di Bossi, rischia la chiusura: niente più soldi dalla Lega.
    Eppure ci sono ragionieri, agrimensori, maestrine femministe, culetti allegri, segretari comunali, assessorucoli, militari a riposo, mongomanager, perfino rappresentanti di preservativi che si permettono di scrivere “poesia”: cioè dicono delle cazzate andando spesso a capo. Non sanno che fare, e dicono “Ah, oggi quasi quasi scrivo una poesia”, si fanno venire in mente qualche parola difficile, i più diligenti la vanno a cercare sul vocabolario (ma non è detto che capiscano tutto), gli altri la buttano giù così come viene viene (l’importante è che “faccia colpo”, se non proprio sui letterati, almeno sui buzzurri), magari anche se l’inventano (vedrei bene lo “stravento” in qualche c.d. componimento poetico), scrivono e vanno a capo; scrivono ancora e vanno a capo. E scrivono… Merda alle sciacquette poetiche!
    N.d.Ar.]

  90. Nada.it permalink

    @Max Conti e Perlita Serra

    PD: con 80 € si fa la spesa 15 gg.
    (Poletti) PD: con 320 € si vive decorosamente
    PD: senza vitalizio muoiono di fame

  91. Nada.it permalink

    Ultimi giorni della passata legislatura. L’ex-Presidente Boldrini mi cacciava dalla Camera. Mi difesero Francesco D’Uva e Alfonso Bonafede. Sapete cosa era successo? L’ex-Presidente dichiarò inammissibili le proposte del Movimento 5 Stelle sul taglio dei vitalizi agli ex-deputati fatte durante la discussione del bilancio della Camera. Disse che non si potevano accettare in quanto la legge sul taglio dei vitalizi (la legge Richetti) era già passata alla Camera ed era in procinto di passare in Senato. Io le dissi che nessuno ci poteva garantire la sua approvazione quindi suggerivo intanto di tagliare i vitalizi degli ex-deputati dato che era possibile farlo. Nulla, la Presidente mi buttò fuori. Come andò a finire? Che la legge Richetti venne – come volevasi dimostrare – insabbiata al Senato e che il partito della Boldrini non è stato votato neppure dai parenti. Ve lo ripropongo questo passaggio e vi dico alcune cose ora che i vitalizi hanno le ore contate:
    1. Quando gli tocchiamo i vitalizi dicono “giù le mani, i nostri sono diritti acquisiti”, quando invece ci toccano le pensioni si difendono dietro il “ce lo chiede l’Europa”. Favolosi.
    2. Dissi in ogni modo che il PD stava facendo finta di abolirli facendo passare la legge solo alla Camera e insabbiandola al Senato. Ricordate? Dicemmo che si sarebbero potuti tagliare immediatamente con una delibera dell’ufficio di presidenza. Ricordate? Cercate di ricordalo per favore affinché l’estinzione politica del PD sia ancora più veloce.
    3. Nessuno ritiene che tagliando questo osceno privilegio medioevale si risolveranno magicamente i problemi dell’Italia, tuttavia è un segnale, un segnale importante che può far riavvicinare i cittadini alla politica.
    4. Tranquilli ex-onorevoli: se non riuscirete a campare presto potrete chiedere il reddito di cittadinanza. Scommetto che non lo riterrete più “assistenzialismo”.
    5. La strategia renziana dei pop-corn funziona alla grande, mentre loro si divertono così noi facciamo quelle cose che i cittadini aspettano da 20 anni.
    6. Adesso ancora più tosti, sono molti altri i privilegi da abolire!

    A. Di Battista

    • Rispondo al commento precedente con questo episodio di storia recente

      Boldrina determinata e in preda a delirio di potenza, mette la mordacchia a Di Battista
      Insopportabile!

      Se abbiamo il governo Conte, se Salvini fa il bello e cattivo tempo a spese di quel povero avvocato, le responsabilità della Boldrina e della gente come lei sono enormi.

      Questo dei vitalizi è uno dei pochi punti in cui i grilleschi meritano tutto il nostro appoggio. L’abolizione dei vitalizi infatti ha un grandissimo valore simbolico: dice bene Di Battista, i diritti cosiddetti acquisiti sono soprusi. È quel che diciamo da sempre su Nusquamia, non solo a proposito dei vitalizi. Se saranno veramente aboliti (attenzione al cazzeggio giuridico, che potrebbe imbrogliare tutto), costituiranno un precedente: dopo di che bisognerà usarlo bene,altrimenti non sarà servito a niente. Per la stessa ragione, per stabilire un precedente, votai “Sì” al referendum costituzionale, senza farmi impressionare dalle geremiadi di Zagrebelsky, che almeno è un uomo rispettabile sotto il profilo culturale; ma soprattutto senza dar corda alle sciacquette pochissimo rispettabili che, schierandosi a fianco di Zagrebelsky, pensano ipso facto di potersi elevare nella scala sociale, mostrando agli amici buzzurri una patente di onestà e rispettabilità e magari, avendo rinnegato gli antenati contadini, rivendicando la discendenza da una nobile prosàpia. Votai “Sì” al referendum costituzionale perché ci fosse un precedente, perché si stabilisse che qualcosa si poteva pur cambiare, in questo strafottuto paese, anche male (sotto la guida di Renzi). Possibilmente con una regia razionale. Non cambiò, perché ancora una volta la similsinistra, le varie Boldrine, i cattolici non credenti, le anime belle alla guida del sistema d’informazione, per l’occasione alleate con il M5S e con i fascioleghisti, fecero la scelta sbagliata.
      Ecco, adesso tenetevi Salvini, il puparo di Conte. Il guaio è che dobbiamo tenercelo anche noi, che non abbiamo punta responsabilità delle scelte sciagurate che si son dette.

  92. Sara.it permalink

    In quanto a stronzate i nostri politici sono imbattibili, nessuno escluso. Il vero problema è che l’Africa è stata da sempre cannibalizzata delle sue risorse per soddisfare il benessere dei paesi industrializzati. Ci piacciono la connessione Internet 24/24, l’aria condizionata a palla, i frutti esotici ad ogni stagione…. bene questo è il prezzo che dobbiamo pagare. E i Salvini le merkel i Macron i Trump e i Putin non sono altro che inutili comparse, condomini litigiosi che cercano di sottrarsi al pagamento dovuto:

    https://raiawadunia.com/le-vere-ragioni-dellimmigrazione-africana-il-furto-della-terra/

    • Tra le cause delle migrazioni: la falsa immagine dell’Occidente come Paese di Bengodi
      In realtà — con tutte le eccezioni del caso, nelle poche isole felici — l’Occidente diventa sempre più un Inferno. Mancano in Africa gli apostoli del socialismo, perché gli africani si ribellino e rovescino la loro classe dirigente corrotta

      Sì, ma non dimentichiamo che gli stessi paesi che ipocritamente si dicono a favore della pace, come l’Italia (art. 11 della Costituzione: «L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali…») vendono armi direttamente o indirettamente, mediante triangolazione, a Paesi che usano le armi che creano le condizioni di fuga dall’Africa: mai sentito parlare dell’Oto-Melara, della Finmeccanica? Vedi anche Export armi: Italia sfiora il record vendendo ai regimi autoritari.
      Dunque ci sono coloro che sfuggono la guerra e le devastazioni della guerra. Poi però ci sono i migranti cosiddetti “economici”, che sono tali non perché abbiamo sottratto loro i metalli del sottosuolo (per esempio), ma per come lo abbiamo fatto: con le guerre, appunto, o con interventi che hanno avuto un impatto ambientale disastroso. Ma abbiamo fatto di peggio. Non dimentichiamo che abbiamo lasciato che crescesse presso di noi, per poi subito esportarlo, un morbo micidiale, una sifilide ideologica a mio parere micidiale, peggiore dello sfruttamento coloniale (che adesso non si chiama più così, ma se non è zuppa è pan bagnato): dopo aver esportato in Africa malattie che colà non esistevano, abbiamo esportato quasi senza accorgercene, la sifilide ideologica, che è tutta nostra, e che si sta ritorcendo contro di noi. L’Africa ormai ne è appestata. Parlo dell’etica protestante del capitalismo, nella sua accezione degenerata, che ha sostituito l’etica del Vangelo (com’è noto, i protestanti hanno come riferimento principale la Bibbia, un insieme di libri scritti per un popolo (allora) primitivo, un popolo di pastori e predoni, come dice Voltaire. Il Vangelo è un’altra cosa, è frutto dell’innesto sublime della cultura greca in quel che restava della cultura ebraica. Anche se Gesù non si stanca di ripetere che egli adempie il vecchio patto, in realtà stringe i suoi fedeli con un nuovo patto, che contraddice a quello precedente.
      Ma noi abbiamo fatto strame dei valori del cristianesimo, la politica è avvelenata dai cattolici non credenti, gli stessi sacerdoti spesso sono non credenti. Sì, i preti si rompono le palle di stare ad ascoltare le vecchiette, vogliono occuparsi di temi moderni, inseguono — anche loro — “il nuovo che avanza”. Così si spiega il fenomeno Salvini, che per anni ha battuto i mercati rionali di Milano, ha parlato con le vecchiette e con i marginali, ha imparato a conoscerli, conosce le loro paure e sa come infonderne di nuove. E ha fato incetta dei voti di vecchiette, vecchietti e marginali.
      In complesso, siamo diventati un popolo di miserabili sotto il profilo spirituale: il mongomanager invece che un essere spregevole è considerato un esempio da imitare. I gingillini elettronici, i viaggi a cazzo (intrapresi per disperazione in modalità di “inclusive tour”) perché uno non sa dove andare a sbattersi nella vita reale), la globalizzazione, i “like” di Facebook, i flash mob, lo sballo, il denaro, il successo, la determinazione, la cultura degradata a fruizione di un festival estivo organizzato da assessorucoli, il fisico scolpito e il torace con tanto di tartaruga, le tette al silicone, i culetti allegri con la pensione di reversibilità ecc. Ecco che cosa siamo diventati. Poi mettiamo tutto in rete. Gli africani hanno i gingillini elettronici anche loro, magari di minor costo, ma li hanno. In rete vedono tutte queste stronzate. Quel che è peggio, pensano che il nostro inferno sia il Paese di Bengodi. Quelli fra loro che si sentono più forti e che riescono a trovare i soldi per pagare i trafficanti di carne umana affrontano il viaggio, corrono i rischi, e non sono pochi. Rischiano la vita, e altro ancora. Ma la posta in gioco è altissima, il gioco vale la candela.
      Non ho sotto mano dati ufficiali, dei quali comunque mi fido poco. Ma non ci vuol molto a capire che la maggior parte di coloro che attraversano il Mediterraneo più che la guerra sfuggono una realtà che al confronto della nostra pare loro una schifezza. Forse parrebbe meno una schifezza, e forse si adopererebbero per cambiare quella loro realtà, invece di partire — almeno i più forti, i laureati per esempio — se capissero che il nostro non è il paese di Bengodi. Il modo migliore di aiutare gli africani e tutti i popoli che oggi, obiettivamente, sono molto più miseri di quanto non fossero quando erano soggetti a regimi coloniali, sarebbe di inviare loro dei rivoluzionari di professione. I quali si troverebbero a dover combattere contro gl’interessi dell’Europa e — forse, più ancora — dell’Impero russo, dell’Impero cinese e dell’Impero americano. L’Inghilterra, al tempo del suo impero, faceva così, naturalmente pro domo sua: il romanzo Kim, di Rudyard Kipling ci fa capire come funzionasse il “Grande gioco” (nel quale aveva una parte lo stesso Kipling, agente dell’Impero britannico). Non vedo perché i problemi non possano affrontarsi anche oggi usando l’intelligenza di coloro che sono sopravvissuti ai danni portati alle facoltà intellettive da un’educazione femminista e politicamente corretta, invece che con il cervello di gallina dei cattoprogressisti, o di Salvini. Fra l’altro, smettiamola di fare gl’ipocriti, con la storia dell’art. 11 della Costituzione. Si abbia il coraggio di chiamare “atto di guerra” quel che è tale (anche se, ovviamente, la guerra è da evitare come metodo di soluzione dei problemi, al massimo la si minacci, come fece bimbo-Kim, il dittatore nordcoreano) e si proceda, se proprio necessario, in conseguenza. Come non mi stanco di scrivere, da un punto di vista opposto a quello salvinesco, il Primo principio della Termodinamica nega che l’Italia possa assorbire in permanenza l’ondata migratoria. Salvini e Di MAio sono stati la risposta al sonno della ragione, in Italia, in particolare, indotto dall’egemonia cattoprogressista. Una risposta prevedibile, in base al principio di Le Châtelier, come avevamo previsto su Nusquamia due anni fa, o forse più.

      Postilla, per capire meglio – Poiché sopra ho parlato della degenerazione dell’etica protestante del capitalismo, sarà bene mettere in chiaro che chiamare “etica” la concezione di vita di mongomanager, aziendalisti e sottoproletari della cultura è troppa grazia. Bene o male i quaccheri armatori del Pequod, la baleniera del capitano Achab, nel romanzo Moby Dick, avevano — sì — una loro etica: criticabile, ma si può ancora parlare di etica. Ma che “etica” vuoi che abbiano questi mongomanager, questi impiegatucci i quali pensano che un merdosissimo corso di formazione costituisca un idoneo “succedaneo” (come si dice in economia) della cultura? O questi giovani/giovanotte ambiziosetti/e freschi di pompini Erasmus/Orgasmus (veri o immaginari) a coronamento di un corso di laurea in Scienze (cosiddette) della comunicazione? Che etica possono avere questi servi di Mammona, queste persone che si vantano di essere “determinate”, senza che gli passi per l’anticamera del cervello che “determinazione” è sinonimo di prepotenza e maleducazione? Quale sarà mai l’etica di personaggi che si dicono cattolici giusto per usare le strutture della Chiesa, ma ogni giorno dimostrano di non aver scrupolo a calpestare la Buona novella (parlo in particolare dei cattolici non credenti). Quando parlano, usano acronimi e paroline inglesi, perché così hanno sentito dire, per conformismo, ma in realtà non sanno che cosa dicono, e non sono in grado di esprimere gli stessi concetti in italiano: infatti non conoscono, a ben vedere, né l’inglese né l’italiano.

      • Cristina S. permalink

        IL PUDORE AL TEMPO DI FB.
        Come si fa a esistere su Facebook, ovvero necessariamente con un pubblico, senza l’imbarazzo di pubblicare una banalità quando da qualche parte nel mondo sta succedendo una tragedia, o peggio ancora qualcuno la sta negando?

        Mi spiego meglio.
        Certamente non voglio farmi carico di tutto il dolore del mondo, né penso sia mai esistito un mondo senza dolore. Ma è esistito un mondo senza FB, Instagram e compagnia sociale. Una volta si apprendeva una notizia trasmessa pubblicamente e la si commentava/condivideva/ignorava/denigrava in forma privata. E la vita privata, persino quella animata dal più alto senso civico, era fatta soprattutto di tempo condiviso con la propria cerchia di affetti.
        Ora che la vita privata non lo è più, troviamo nello stesso contenitore, uno sotto l’altro, la strumentalizzazione della morte di tre bambini, le mie promo di tango tutta scosciata [beh, queste potrebbero interessare, cioè, dipende: vedi tu… N.d.Ar.], le foto di feste con gli amici, i gattini e il gattò [nel senso di ‘gateau’? N.d.Ar.] di patate. Così: davanti a 30/300/3000 contatti.
        Come si fa a non sentirsi a disagio? È una domanda senza polemica la mia.

  93. Tommaso permalink

    Il figlio di “Acciaio”:
    http://pochestorie.corriere.it/2018/07/03/cuore-di-padre-stalin-yacov-e-il-feldmaresciallo/

    [Non è facile essere figli di grandi uomini. A Mussolini andò bene con il figlio Romano, poi divenuto eccellente jazzista. Gli andò malissimo con la figlia Edda (poi Edda Ciano), e con quel figlio avuto fuori del matrimonio, Benito Albino Dalser, che morì internato in un manicomio psichiatrico. Un altro figlio nato fuori del matrimonio (uno dei tanti) fu un ottimo redattore presso la Mondadori. Vittorio Mussolini fu un grande cinefilo e un benemerito della settima arte (che in realtà dovrebbe essere la decima, perché le muse sono nove). Bruno Mussolini, il figlio prediletto, morì in un incidente aereo.
    Tra vedere e non vedere, meglio nascere figli di una sindachessa di Curno.
    N.d.Ar.]

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